Tre metri sopra il cielo ma è un bel film

Tre metri sopra il cielo, ma reimmaginato con altri attori, una regia diversa, un’altra trama, insomma è un altro film

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Tre metri sopra il cielo è su Amazon Prime Video, per qualche motivo con il titolo di Three Steps Above Heaven

Il film si apre esattamente come l’originale, ma l’intero cast è stato sostituito da gente che sa recitare. Si salva solo Pollo, sopravvissuto ai tagli insieme al cane Pepito. A dirla tutta, il film non si apre neanche come l’originale: è proprio un’altra roba, la storia di Pollo e Pepito, un road movie sgangherato che attraversa tutta l’Italia da Trieste in giù. Tipo Io sono leggenda ma senza i vampiri. O magari i vampiri ce li mettiamo! Pollo e Pepito contro i vampiri, tre metri sopra il cielo. Ora dobbiamo solo trovare il modo di giustificare narrativamente la seconda parte del titolo. E l’originale? Step e Babi? I lucchetti? I lucchetti non ci sono neanche nel film di Luca Lucini, di cosa vi lamentate? Se volete però qui c’è un video – caricato su Dailymotion, nientemeno – che parla di quella moda fortunatamente passeggera e che venne stroncata dal comune di Roma, dalle Belle Arti e da Capitan Buonsenso, supereroe che raramente mostra il suo volto in Italia ma che in certi casi non può proprio esimersi.

Ci siamo persi. “Tre metri sopra il cielo ma è un bel film” era la consegna. “Svuotare il Mediterraneo con un cucchiaino” è la prossima voce nella lista delle cose da fare. Basta la prima scena per trovarsi già nell’imbarazzante situazione di non sapere che cosa salvare. Quello di Lucini è un film indecifrabile, criptico, che ti bombarda di domande fin dai primi minuti. Perché Scamarcio sta menando questo tizio? Perché si è scelto di fotografare questa scena come se fosse ancora il 1995 e il mondo dei giovani si stesse riprendendo dalla botta di Kurt Cobain guardando a rotazione brutti video di band post-grunge su MTV? Perché, oh perché, chi è quella persona che nel corso del processo di lavorazione di questo film ha esclamato le fatidiche parole “quello che serve a Tre metri sopra il cielo per fare il salto di qualità è una bella voce narrante che accompagna l’intero film con le sue banalità da Bacio Perugina misto Osho e che lo fa, in questa storia romana fino al midollo, con un clamorosamente fuori posto accento milanese, talmente caricaturale che anche il signor Marco Brambilla, la cui famiglia risiede in zona piazza Tricolore dai tempi in cui nel 1028 il vescovo Ariberto deportò i catari di Monforte a Milano per convincerli ad abiurare la loro eresia, si è sentito un po’ offeso”?

C’è un film del 1982, magari lo conoscete, si chiama Blade Runner, che uscì al cinema in una versione appesantita (dicono – per noi è fantastica, ma questo è tutt’altro discorso) dalla voce narrante di Harrison Ford, e venne quindi corretto in corsa dal suo regista in quella che è una delle Director’s Cut più famose della storia del cinema. Questa vicenda è uno dei motivi per cui Tre metri sopra il cielo è un’esperienza lisergica: da qualche parte nel nostro continuum spaziotemporale c’è una persona che ha scelto di rinunciare alla voce di Harrison Ford per migliorare il suo film, e in questo stesso continuum c’è un’altra persona che ha pensato che la voce di Dj Bu$ fosse l’ingrediente segreto che avrebbe reso migliore la sua opera. E quindi si sono messi in tre a scrivere tutti i suoi monologhi, partendo dal presupposto che questo personaggio del quale non sappiamo nulla e non vediamo mai non sarebbe stato mai zitto; avrebbe avuto un’opinione su tutto, e nessuna di queste interessante. È incredibile pensare quanto potrebbe migliorare un film disastroso come Tre metri sopra il cielo semplicemente eliminando una quindicina (o erano una cinquantina?) di tracce vocali.

Continuiamo a pensare a come si possa raddrizzare il disastro, e continuiamo quindi a bloccarci sullo stesso ostacolo. 3MSC è la storia di un amore intenso ma fuggevole tra due ricchissimi figli di papà: lei rappresenta lo yang dell’alta borghesia, la ragazza perfetta con un germe di ribellione in seno che attende solo il giusto stimolo per fiorire. Lui è lo yin, è il ricco che gioca a fare il povero, ed è anche violento, tossico e sempre aggressivo con tutti compreso il fratello Paolo, anche lui dotato di inspiegabile accento del nord Italia forse causato dal fatto che ha chiaramente studiato economia in Bocconi, e ci viene quindi presentato nel film come una sorta di alieno uscito dalla pubblicità di uno sbiancante per denti. Stavamo per scrivere che questo amore proibito ha tratti quasi shakespeariani, ma arrivati a “sha” ci è scappato da ridere.

Il problema è che questo amore nasce da presupposti talmente sbagliati (come potete ammirare già dalla foto di copertina del pezzo) che non esistono parole, in italiano o in altre lingue vive o morte, che riescano a esprimere a sufficienza quanto siano non giusti, errati, discutibili, impresentabili. Vi ricordate quando Obama, anima bella, firmò un ordine esecutivo per mettere fuorilegge il waterboarding e dichiarò che quella pratica era tortura, scusandosi per l’uso che ne avevano fatto gli Stati Uniti nell’ultimo secolo circa? Era il 2009. Cinque anni prima, Stefano “Step” Mancini aveva usato quella tecnica per fare colpo su Fabrizia “Babi” Gervasi. Ma d’altra parte, in quella stessa scena, a quella stessa festa, l’amica del cuore di Fabrizia “Babi” Gervasi, di nome “Pallina”, si era innamorata di Pollo (sempre sia lodato) perché l’aveva beccato che le stava rubando i soldi dal portafogli. Quindi, come si dice in gergo tecnico, di cosa stiamo parlando?

L’unico modo per salvare Tre metri sopra il cielo sarebbe riscrivere da capo i personaggi e le loro interazioni. È un problema che esiste a monte di tutto il resto, dall’inesistente direzione degli attori ai terrificanti flashback new metal che vorrebbero trasudare dramma ma che assomigliano in realtà ai finti trailer di Maccio Capatonda. È un problema di scrittura a un livello molto profondo, perché alla base di tutto quanto, di Babi e Step e il castello e le corse clandestine, c’è una relazione tossica e che non dovrebbe esistere, figurarsi venire glorificata. E poi, santa polenta, va bene che gli adolescenti sono ondivaghi e incontrollabili, ma questo non significa che puoi far cambiare personalità alla tua protagonista da una scena all’altra senza alcuna spiegazione, giustificandoti solo con “eh, ma gli ormoni…”. È tutto un crescendo: verso la fine del film ci sono quattro o cinque scene di fila nelle quali Babi cambia continuamente idea sulla stessa cosa, al punto che quando lei e Step si reincontrano nel momento più drammatico e romantico del film si fa fatica a farsi coinvolgere perché non ci si ricorda più se in quel momento hanno fatto la pace o stanno ancora litigati.

Si finisce per vivere l’esperienza fissandosi sui dettagli più inutili, oppure ridendo a crepapelle. Ogni volta che Tre metri sopra il cielo dimostra un minimo di personalità e criterio si comincia a esultare e a darsi il cinque da soli sul divano. Alcuni spunti degni di nota:

  • il cane Pepito

  • l’idea assolutamente non patriarcale di fare le corse clandestine legando la pupa alla schiena dell’uomo, così che la pupa stessa possa fare da contrappeso e facilitare il suo maschio nel per nulla fallico gesto dell’impennata con sgumma

  • a un certo punto il padre di Babi decide di fare il Discorsetto a Step per convincerlo a starsene alla larga da sua figlia. Finisce con una partita di biliardo, alcune birrette e una virile stretta di mano. Questa sequenza non ha alcuna importanza all’interno del film

  • il finale, soprattutto quando lo schermo diventa nero e partono i titoli di coda con Le Vibrazioni. È doloroso, e dimostra che nella vita non si smette mai di soffrire, ma profuma di traguardo

Restiamo comunque convinti che da qualche parte dentro Tre metri sopra il cielo ci sia nascosto un bel film. Magari senza Babi e Step, che diciamolo chiaramente sono un po’ l’anello debole di tutta la catena. E quindi senza le loro famiglie: non sarebbe bello liberarsi dell’antipaticissimo Paolo, lo stereotipo del milanese acquisito che ha con il fratello romano la stessa magnetica alchimia che hanno l’acqua e l’olio? E di Daniela, che fa sembrare le prime apparizioni di Dawn Summers un’esperienza piacevole? Daniela, in realtà, tutto sommato, è l’unica che vince bene: la sua gimmick è che è troppo giovane e per tutto il film sogna che il suo fidanzatino le dia un bacino, e sul finale la ritroviamo, sei mesi dopo, che spiega all’amica quanto sia comodo prendere la pillola quando passi ogni secondo libero della tua giornata a scopare. Grande Daniela, non sappiamo cosa sia successo in quei sei mesi ma siamo sicuri che sia più interessante della drammatica e maledetta storia d’amore che ha coinvolto tua sorella. Però ti togliamo comunque dal film, se non ti dispiace. Togliamo anche la professoressa, i genitori di lui, i genitori di lei, i genitori in generale. Svuotiamo Roma, svuotiamo tutto: teniamo solo Pollo e Pepito. E i vampiri.

La volete sapere la cosa peggiore? Mica finisce qui: c’è pur sempre un sequel. E da queste parti tendiamo al completismo.

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