Tre chicche dagli Stati Uniti

Scopriamo chi è l’anti Michael Moore americano, impegnato a documentare la guerra in Iraq in maniera ultrarealistica, come è stata affossata la scoperta del secolo e qual è la migliore colonna sonora del 2006…

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Ogni tanto, fa bene leggere Vanity Fair. Ovviamente, non mi riferisco all’edizione italiana, piena di firme ‘prestigiose’ (si fa per dire) e ultragossipara, quanto a quella americana. Nel numero di marzo di quest’anno, che come tradizione è dedicato agli Oscar, c’è un ritratto straordinario di Pat Dollard. Fino a poco tempo fa, era uno degli agenti più potenti di Hollywood e rappresentava registi come Steven Soderbergh. Poi, in seguito a diversi problemi di alcool e droga, affronta una sorta di crisi mistica, che lo porta a recarsi in Iraq, dove segue da vicino le truppe americane. E quando si dice da vicino, non ci si riferisce a certi giornalisti che rimangono chiusi in albergo e si fanno portare le notizie assieme al servizio in camera. Dollard va sul campo per riprendere le opinioni dell’esercito e soprattutto le azioni di guerra più feroci, tanto che in una missione due soldati vengono uccisi, mentre lui si salva per un pelo. Il risultato è una serie di materiale assolutamente sconvolgente, sia perché dà la possibilità di far parlare le truppe senza filtri, sia per il potere ipnotico della violenza mostrata. Così, abbiamo teste tagliate, un ribelle che viene ucciso, esplosioni violentissime e bombe che scoppiano da tutte le parti, come possiamo vedere sul suo sito personale

Così, Dollard diventa un idolo della destra conservatrice americana, collaborando a più riprese con il canale Fox News. Certo, le sue idee (è un sostenitore accanito del conflitto e dell’amministrazione Bush) sono discutibili, quanto meno per i risultati poco brillanti in territorio iracheno. Ma, francamente, è difficile non concordare con lui quando prende in giro personaggi come George Clooney e Michael Moore, ironizzando sul loro ‘coraggio’ nel realizzare pellicole come Syriana e Fahrenheit 9/11, come se poi a Hollywood fosse un problema dichiararsi liberal.

In attesa di vedere completato il lavoro di Dollard (quando sarà strafamoso, ricordatevi dove ne avete sentito parlare per la prima volta), parliamo di un altro documentario importante (mai uscito da noi, nonostante sia del 2006), Who Killed the Electric Car? Come si evince dal titolo, si parla dell’auto elettrica, che avrebbe permesso (se diffusa massicciamente) di diminuire decisamente le emissioni di anidride carbonica e quindi ridurre l’effetto serra. Nel 1997, personalità importanti di Los Angeles come Tom Hanks e Mel Gibson incominciano ad utilizzare queste vetture, che ovviamente non hanno bisogno di carburante, ma soltanto di essere ricaricate. Nonostante gli indubbi vantaggi, l’invenzione viene affossata dal mancato appoggio statale, nonché dalle ovvie pressioni dei produttori di petrolio.
Si tratta di un documentario interessante su un argomento decisamente poco dibattuto, ma che presenta comunque dei difetti imbarazzanti. Intanto, la macchina elettrica viene promossa anche per le prestazioni eccellenti in fatto di velocità. Qualcuno dovrebbe spiegare agli autori che, se non è bello morire per cancro alla pelle dovuto all’effetto serra, anche avere degli incidenti (come capita a milioni di persone nel mondo ogni anno) per colpa di qualche macchina potentissima non è proprio il massimo. E poi, le star che si fanno arrestare per non permettere la distruzione delle macchine in questione, potrebbero evitare certi atti simbolici inutili? Visti che i progetti della macchina non verranno certo distrutti, qual è il problema se le vetture vengono mandate alla demolizione? In realtà, forse sarebbe stato meglio cercare anche le colpe nel pubblico, che in generale fa finta sempre di volere prodotti ecologici, ma poi di fronte alle difficoltà (come la poca autonomia, circa 150 chilometri) lasciano perdere.

Infine, chi aveva ammirato la colonna sonora di Requiem for a Dream (magari anche solo per un remix utilizzato per un trailer de Le due torri), non potrà perdersi il nuovo lavoro (sempre per il regista Darren Aronofsky) di Clint Mansell e del Kronos Quartet, ossia The Fountain. Sebbene la pellicola non abbia ricevuto grandi consensi critici (e sia stata soprattutto un flop), lo score è di altissimo livello (peccato che non se ne siano accorti agli Oscar), con pianoforte e viola a farla da padrone. Per una storia d’amore che dura mille anni, una colonna sonora all’insegna del romanticismo e della tristezza descritta…

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