Travis Strikes Again: No More Heroes non è altro che sé stesso e per questo lo detestiamo

Non c’è alcun substrato metaforico in Travis Strikes Again: No More Heroes e (anche) per questo è un gioco mediocre

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Spoiler Alert
Giocare con la metareferenzialità, che spesso e volentieri trascende in autoreferenzialità, è un’arte entusiasticamente cavalcata da Goichi Suda, artista, prima ancora che game designer, che ha reso questa forma espressiva la sua personalissima firma, stilema con cui indagare sugli stessi personaggi che pone al centro della scena, strumento imprescindibile per sviluppare le tematiche che si annidano, si celano, si travestono da cliché, autentici specchietti per allodole spesso incapaci ci carpire appieno il senso dell’opera, la morale appena sussurrata, il messaggio intrinsecamente veicolato dalle produzioni di Grasshopper Manufacture.

Con Contact è stato così. RPG classico in tutto e per tutto, con tanto di sessione all’interno di altri videogiochi, in un “Inception” che ha di fatto anticipato l’espediente su cui si erge Travis Strikes Again: No More Heroes, con un finale tale da gettare una luce inquietante non solo sull’avventura appena vissuta in prima persona, ma, più in generale, sull’ordinario operato del videogiocatore alle prese con titoli che, generalmente, inquadrano ed incasellano la sua condotta etica in scompartimenti dicotomici.

L’orginale No More Heroes fece qualcosa di estremamente simile, travestendo un’intima e profonda analisi di sé stessi, un’avventura di formazione in soldoni, in un’insensata mattanza nei panni di uno spietato killer con la passione per gli anime, il wrestling e i seni prosperosi.

[caption id="attachment_193152" align="aligncenter" width="1000"]Travis Strikes Again No More Heroes screenshot Talmente inespressivo e imperturbabile da sembrare di cera. Anche per quanto riguarda la totale assenza di qualsiasi espressione sul volto di Travis si spera fino all’ultimo che ci sia una spiegazione metaforica e allegorica. Nulla di tutto ciò purtroppo[/caption]

Tra corse in moto, esplorando una (volutamente) deserta Santa Destroy, evidente allegoria del crescente amore per gli open-world, e minigiochi in pieno stile WarioWare, serie della Grande N citata non a caso vista la filosofia che ha garantito fama e successo a Nintendo Wii, console su cui originariamente vide la luce la creatura di Suda 51, No More Heroes, con una nonchalance tale da essere facilmente scambiata per superficialità, consegnava all’utente la chiave di lettura dell’intera epopea al termine dello scontro con Holly Summers, ennesimo assassino da eliminare per scalare la classifica di cui il nostro voleva essere a tutti i costi il numero uno.

La spirale di carneficina e volgarità, di fronte alla pacata accettazione della morte della giovane, si interrompe, mostrandoci, per la prima volta, il vero volto di Travis Touchdown, finalmente libero da una maschera che, da lì in avanti, avrebbe celato con minor efficacia il motivo ultimo che lo ha spinto ad abbracciare una vita fatta di sangue e violenza."E' proprio la costante ed insensata riproposizione della metareferenzialità a rendere tanto patetico e noioso lo spin-off"

Tanto in Contact, quando nell’originale No More Heroes, due tra i titoli sviluppati da Grasshopper Manufacture che più di altri si prestano allo stesso discorso, la citazione e il cliché sono espedienti utili a distrarre l’utente, a ironizzare su certe consuetudini spesso e volentieri poco credibili. Identicamente, il continuo sfondamento della quarta parete, tanto più significativo nell’RPG per Nintendo DS, il titolo stesso del gioco spiega l’importanza del diretto coinvolgimento di chi sta al di qua dello schermo, non è altro che una strategia con cui Suda 51 coinvolge, interroga, mette sotto accusa il videogiocatore, reo di non opporsi in alcun modo alle scelte imposte da altri (gli sviluppatori in questo caso), le cui conseguenze, tuttavia, cadono ora sul povero Terry, incerto di aver parteggiato per il “bene”, ora su Travis, che non può sottrarsi in alcun modo all’escalation di omicidi, anche in seguito alla toccante battaglia con Holly Summers.

Questa brillantezza tematica e concettuale, si diluì già in No More Heroes 2: Desperate Struggle, ma solo con Travis Strikes Again: No More Heroes siamo stati testimoni, purtroppo, della definitiva trasformazione di una passione, nonché di un esercizio di stile, in una mortale ossessione.

Come abbiamo già avuto modo di sottolineare in sede di recensione, è stata proprio la costante ed insensata riproposizione della metareferenzialità a rendere tanto patetico e noioso lo spin-off dell’ancora apprezzata serie.  Laddove in altre occasioni ad essa era associato un preciso intento stilistico, in questo caso il tutto è assolutamente fine a sé stesso, un autentico trucco con cui si è grossolanamente cercato di nascondere la superficialità con cui il progetto è stato concepito e (mal) realizzato.

La prova più lampante ci è offerta dalla visual novel in stile 8-bit che, in linea teorica, avrebbe dovuto stuzzicare il palato dei nostalgici e, al tempo stesso, ovviare all’impossibilità di realizzare cut-scene che avrebbero mostrato le modalità con cui Travis entra progressivamente in possesso delle Death Ball. L’idea di ovviare a limiti tecnici, rifacendosi al cliché o all’autoreferenzialità, insomma, è sempre al suo posto. A mancare totalmente è il substrato metaforico del tutto.

Volenti o nolenti, si è così costretti a sorbirsi linee su linee di dialogo che ironizzano sui limiti di budget del team di sviluppo, sulla verbosità delle sequenze stesse, sulle assurde apparizioni e sparizioni di personaggi che non hanno il minimo spessore psicologico.

[caption id="attachment_193153" align="aligncenter" width="1000"]Travis Strikes Again No More Heroes screenshot Qualcosa del glorioso passato della saga, fortunatamente, è rimasto[/caption]

La fiera dello stereotipo, del resto, è giustificata dalla base concettuale su cui si fonda l’intera avventura: i viaggi di Travis e Mad Man in videogiochi superati ed antiquati. Si spiegano (e soprattutto si giustificano) così i fondali raffazzonati, la scarsa cura per i dettagli di ogni ambientazione, il pesante riciclo di asset, l’insufficiente modellazione poligonale di avatar e nemici.

Ci può stare, avremmo anche potuto accettarlo, soprattutto perché Grasshopper non ci ha mai abbagliati con comparti grafici all’altezza delle generazioni di console di riferimento. Eppure, è inevitabile biasimare anche questo aspetto non appena ci si accorge, proprio nella conclusione, che persino il superamento di giochi nel gioco ha un significato più profondo, una ragione più valida del pur coerente voler riportare in vita la figlia di Mad Man, volto noto a chi ebbe il piacere di completare il capitolo originale della serie.

Travis Strikes Again: No More Heroes è colpevole di non essere altro che sé stesso. L’ultima fatica di Grasshopper Manufacture non cela alcun tesoro nascosto, né si compone come una gigantesca allegoria che allude ad altro che non sia una scialba sequela di citazioni e livelli poco ispirati che conducono ad un epilogo sconclusionato.

Se questo spin-off poteva essere l’ennesima ghiotta occasione per dimostrare di poter fare arte anche, e soprattutto, in mancanza di tempo e soldi, questa volta Suda 51 ha miseramente fallito.

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