Transformers - L'Ultimo Cavaliere non va preso come blockbuster ma come arte concettuale

Il meno "artistico" dei registi hollywoodiani sta diventando il più complesso. La saga di Transformers ha cambiato per sempre il cinema di Michael Bay

Critico e giornalista cinematografico


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C’è di che uscire rintronati dalle due ore e mezza di Transformers - L’Ultimo Cavaliere, ma non per l’eccessivo clamore, più per come Michael Bay satura lo schermo di immagini, colori, dettagli, elementi e la sua consueta furia estetica. Al quinto capitolo di un franchise immenso, con budget incredibili a disposizione, Bay confeziona uno dei film più densi e “faticosi” da guardare della sua carriera, un’orgia di eventi, personaggi, movimenti da seguire, azioni da guardare.

Se da quando ha iniziato la saga di Transformers questo regista che non riesce a pensare in piccolo ha dato una svolta muscolare, artistica e concettuale al suo cinema (culminata paradossalmente al di fuori della serie, con Pain And Gain), con il quinto film arriva all’apice della densità visiva.

In occasione dell’uscita dell’ultimo film (L’Era Dell’Estinzione) giravano in rete un po’ di fotogrammi di Transformers accostati a noti quadri futuristi o di arte moderna in generale, con il logico risultato di mettere a nudo come, volente o meno (noi propendiamo per la seconda ipotesi), Bay abbia un legame potentissimo con le arti visive più innovative tra le classiche. La saga di Transformers canta la macchina, la guerra, il conflitto di ogni sorta (ma è incredibile come non divide i personaggi in fazioni, continuando a mescolare le barricate di continuo), la velocità, il fragore, il frastuono, il battere e l’animosità, quella sorta di fiamma interiore che anima un film di una vitalità incontenibile. Basti guardare questo video a 360 gradi della lavorazione di alcune scene per capire come un film simile, che per la sua maggior parte è animazione, sia fatto ricostruendo una guerra.

Si può non amare la storia, i personaggi e il grande infantilismo del film (gli “alleggerimenti comici” sono terribili anche stavolta) ma è davvero difficile, se si è appassionati di cinema, non riconoscere che la ricerca del bello di Michael Bay ha da tempo superato il calco dei videoclip musicali (che ha girato per almeno un decennio prima di approdare al cinema) e della pubblicità (con cui ha in comune l’idea di “vendere” allo spettatore un mondo sexy e desiderabile) per arrivare ad una sintesi tutta sua. Non è solo che un film di Michael Bay si riconosce dal primo fotogramma, è che ognuno di questi fotogrammi riconoscibili in Transformers - L’Ultimo Cavaliere è tale per la maniera in cui sovverte e rimescola le regole non scritte del blockbuster, le sue consuetudini conservative, i suoi timidi punti fermi. E per farlo si spinge nel territorio dell’accumulo, della frenesia e dell’eccezionale. Il contrario di quel che ogni studio di produzione vuole, l’opposto di quel che fa la maggior parte dei suoi colleghi cui è spesso erroneamente accomunato.

Nonostante il film abbia una trama, abbia (più o meno) una sua coerenza interna e dei personaggi che agiscono dotati di un arco narrativo, le sue virtù stanno più nella maniera in cui ripensa il cinema, in cui mette in questione le regole che conosciamo della macchina blockbuster e come lo faccia a partire da un uso diverso delle immagini. Nel delirio futurista di Michael Bay fatto di paesaggi in movimento, oggetti in movimento, immagini sfocate, non sempre centrate o mosse, sempre per via dell’onnipresente movimento, dell’esaltazione della velocità e delle sensazioni forti (per non dire proprio del concetto di macchina), non c’è inquadratura che non sia una composizione cromatica e plastica fenomenale, anche fermando la proiezione in un punto a caso si troverebbe un piccolo quadro.

Forse è un’esagerazione ma la verità è che il film per tutta la sua impressionante durata fornisce l’impressione di non distrarsi mai un attimo dalla ricerca dell’immagine perfetta. A partire dalla color correction orange and teal (tutta arancione e azzurro) spinta fortissimo e dai corpi esibiti o dalle macchine giganti di cui ama mettere in risalti il dettaglio, i meccanismi, le piccole viti, l’essere composte da ingranaggi che poi muove in configurazioni ammalianti, Transformers - L’Ultimo Cavaliere destruttura lo svolgimento classico che conosciamo, lo contamina con la maniera in cui sono raccontati i blockbuster cinesi e ripensa tutta la forma del film per farne un po’ meno un racconto e un po’ di più un’esperienza sinestetica, artistica, concettuale là dove il concetto è la forma stessa.

Ci sono tantissime trame (almeno 5), con una decina di protagonisti più tutti gli altri personaggi secondari, ci sono archi narrativi che iniziano e terminano prima ancora della fine del primo tempo e un paio di sottotrame. Tutto per arrivare al delirante finale in cui due pianeti si scontrano letteralmente. È evidente a tutti che non sono i concetti del film ad interessare nessuno (raramente è stato così nei film di Michael Bay), quanto la capacità di pensare un cinema davvero diverso, davvero capace di avere nelle immagini tutto quel che c’è da dire.

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