Trainspotting 2 ha aggiornato "Scegliete la vita" all'insegna delle lamentele personali

Cosa raccontava nel 1996 e cosa racconta nel 2017 l'elenco di Mark Renton. Cosa Trainspotting 2 fa per imitare il primo e perchè non ci riesce mai

Critico e giornalista cinematografico


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Spoiler Alert
Chi andrà a vedere Trainspotting 2 si troverà di fronte ad un altro monologo “Scegliete la vita” fatto da Mark Renton, uno adatto a questi anni, aggiornato ma anche meno spontaneo e più forzato. Mettendo a confronto i due elenchi (quello originale che apriva il film del 1996 e quello del 2017) emergono anche molti dei problemi di questo sequel.

C’erano due ragioni, una molto precisa e una più imponderabile, per le quali il monologo del 1996 ebbe l’effetto di un canto liberatorio, di un inno generazionale indimenticabile. Il primo e più semplice era che prendeva uno slogan molto abusato, un po’ naive e decisamente goffo nel suo buonismo esasperato, sovvertendone le premesse per esporne il perbenismo stantio. Usare quelle stesse parole e immagini per svelarne l’inconsistenza e la mendacità.

Scegliete un lavoro, una famiglia, una carriera, un maxitelevisore del cazzo, e poi i lettori CD, gli apriscatole elettrici, il colesterolo basso, il mutuo, famiglia, il fai-da-te la domenica mattina, il salotto comprato a rate e ancora i figli e gli amici per finire con una terza età di schifo fino ad una morte infame.
Perché dovrei scegliere tutto questo?” si chiedeva Mark Renton chiudendo adeguatamente l’elenco di piccolezze e sogni di medietà, di omologazione e di falsa sicurezza. E sembrava davvero appropriata come domanda. Andando a fondo nello “scegliere la vita”, elencando esattamente cosa si dovrebbe davvero scegliere, ne esponeva il retrogusto conformista.

L’altro motivo, più difficile a comprendersi ma anche così potente da colpire chi nel 1996 non sapeva niente di quella campagna anti-droga, delle magliette degli Wham e di tutto ciò che era attaccato allo slogan, aveva a che vedere proprio con l’elenco. Lì c’era tutto ciò che un ragazzo adolescente o postadolescente in ogni epoca può legittimamente scegliere di non scegliere, tutto quello che era parte dello spirito del tempo del 1996 (ma non così “instant” da suonare vecchio oggi) e che sembrava così legittimo non voler scegliere. In quell’elenco di “buoni propositi” da (non) scegliere c’era la parte più eterna ed immortale dello spirito punk, cioè la disillusione verso il futuro come viene promesso e venduto dai media, dalla pubblicità, dalla scuola, dai genitori e da tutte le istituzioni che si preoccupano che ognuno stia bene.
Qualcosa di così poco attraente, originale, dirompente o anche solo autentico che faceva sembrare anche la droga una scelta più valida, farsi male come rifiuto di quel mondo.

Ora Trainspotting 2 ripropone l’idea dell’elenco, prima lo spiega, di fatto distruggendo la possibilità che la seconda ragione per cui il primo era così forte potesse avere un senso, cioè il suo potere universale e irrazionale, poi parte con una spinta meno autentica e più forzata, proprio perché (anche all’interno del film) è “a richiesta”. Così poco spontaneo è il modo in cui Renton ripropone l’elenco di cosa non vada bene scegliere, e così tanto Trainspotting 2 si sente in dovere di ricalcare la parte più famosa dell’originale che è difficile davvero pensare che il personaggio creda in quel che dice.

I social media e la solitudine online, il revenge porn, i pessimi contratti lavorativi di oggi, i reality show, poi il complottismo, le teorie assurde veicolate online fino (finalmente!) alla droga, quelle moderne, chimiche e cucinate.
Quel che nel 1996 era generale qui diventa particolare, quel che era un elenco di situazioni, oggetti e sogni approvati dalla società qui è un elenco di problemi che la società stessa disprezza. Renton non sta più elencando le false promesse che vengono fatte, le alternative alla droga che sembrano peggiori della droga stessa, ma una serie di dettagli del vivere contemporaneo che poco hanno a che vedere con le false promesse mediatiche o sociali. Renton si sta lamentando di quella che è la sua vita, probabilmente, e non di quel che si rifiuta di scegliere o della vita che gli vogliono proporre.

Nessuno obbligava Trainspotting 2 a ripetere la parte più appropriata all’età dei personaggi nel 1996, quella meno applicabile ad un 40enne. Proprio per questo è così imperdonabile che l’abbia dovuto fare e fare male, tradendone lo spirito ultimo: prendere in giro il buonismo, la correttezza e la tendenza di tutte le istituzioni a scrivere un futuro e un ruolo sociale per ognuno, vendendolo come ideale quando non lo è per tutti.

Trainspotting poi era scritto con tale sottile cinismo che nel riproporre nel finale quasi il medesimo elenco, come se fosse stato accettato, lo chiudeva con un terribile “tirando avanti, lontano dai guai, in attesa del giorno in cui morirai” che non conciliava con niente ma rafforzava l’idea punk che aderire a quel mondo di conquiste materiali e allineamento con il resto della società non fosse propriamente un ideale da perseguire. Era una della molte maniere in cui quel film cavalcava l’anticonformismo adolescenziale, esprimendo in maniera compiuta pensieri e parole di opposizione che il pubblico di riferimento sapeva di provare. Non c’era da contestarne le idee ma da ammirare la maniera in cui sapeva farsi interprete del pensiero del pubblico, rendendo rabbia e senso di esclusione.

Si poteva fare di meglio nella versione 2017? Probabile. Ma è anche vero che un conto è un attacco ironico ad un futuro che non si vuole scegliere fatto da un ragazzo e un conto è la stessa cosa fatta da una persona che quelle scelte ormai le ha fatte, oppure non le ha fatte ma comunque non ha il medesimo futuro davanti. Forse Renton avrebbe potuto elencare ciò che non ha voluto scegliere, forse poteva parlare esclusivamente di ciò che gli si prospetta davanti ora, di come comunque, anche a ben più di 40 anni, esista un mondo di false promesse e proposte fintamente rassicuranti. Se davvero andava replicato doveva allora prendere di petto cosa la società continui a vendere come idilliaco e desiderabile, come lo stile di vita da tenere, quando, ad una lettura un pochino più dettagliata, non è poi così ottimale. E non somigliare ad un elenco di mali della modernità che si legge sulle stesse pagine Facebook che critica.

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