Total Recall - Atto di forza è un remake perfettamente inutile

Total Recall – Atto di forza non aggiunge nulla all’originale di Verhoeven, in compenso ne elimina tutti i motivi d’interesse

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I trent’anni di Atto di forza di Paul Verhoeven ci danno l’occasione di parlare di un altro film che ne condivide il titolo e l’ispirazione letteraria – e poco altro. Total Recall – Atto di forza uscì nel 2012 per la regia di Len Wiseman e l’interesse di pochissime persone: già prima della sua uscita non era chiaro perché qualcuno avesse sentito la necessità di rifare da zero un film forse imperfetto ma iconico e influente come poche altre opere di fantascienza moderna, e il dubbio non svanì neanche con l’arrivo in sala. Anzi: Total Recall – Atto di forza venne accolto malissimo da pubblico e critica, incassò meno dell’originale nonostante fosse costato il doppio e piacque così poco che ogni progetto di dare un sequel alla storia di Douglas Quaid venne stroncato sul nascere.

Otto anni dopo non è cambiato nulla, e Total Recall – Atto di forza è ancora un film del quale avremmo fatto a meno.

Total Recall - Atto di forza Farrell

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Total Recall – Atto di forza: perché esiste?

A differenza dell’originale, che dovette venire riscritto una quarantina di volte prima di venire finalizzato e le cui riprese cominciarono con il film ancora privo del terzo atto, Total Recall – Atto di forza ha avuto una storia produttiva semplice e lineare – è un progetto nato a tavolino per sfruttare il buon momento della sci-fi cinematografica e una certa voglia di una certa fetta di pubblico di riavere indietro, riveduti, corretti e abbelliti, alcuni dei momenti migliori della loro infanzia. È un’operazione-nostalgia, in altre parole, che venne annunciata nel 2009 e nel giro di tre anni portata a compimento, con una spesa produttiva che superò i 120 milioni di dollari.

Un progetto costoso e di lusso, insomma, guidato da un Colin Farrell all’apice della sua vendibilità mainstream e diretto da Len Wiseman, che si era fatto un nome con la saga di Underworld e aveva dimostrato di sapersela cavare anche con i thriller ad alto contenuto tecnologico dirigendo il quarto capitolo di Die Hard. Non necessariamente i peggiori presupposti del mondo, eppure si capiva che qualcosa non andava già ascoltando le interviste promozionali al cast: parlando con Jon Stewart, per esempio, Jessica Biel spiegò che il film sarebbe stato “non un remake di quello del 1990, ma l’adattamento diretto del racconto di Philip Dick”. Cosa c’è di strano? Che Biel nel film è Melina, personaggio interpretato nell’originale da Rachel Ticotin e che nel racconto di Dick... non esiste.

Colin Farrell la vastità

Total Recall – Atto di forza, la Terra e Marte

Qualche idea interessante, in tutta onestà, Total Recall – Atto di forza ce l’aveva; o quantomeno faceva qualche timido tentativo di staccarsi dal modello. Innanzitutto, nel film di Len Wiseman non esiste Marte – non nel senso che il sistema solare dove vive Colin Farrell ha un pianeta in meno, ma che quella che nel film di Verhoeven era una colonia terrestre sul pianeta rosso, nel remake diventa... l’Australia, una terra desolata abitata dagli operai che ogni giorno salgono su un ascensore gravitazionale che passa per il centro del pianeta e che li porta dall’altro capo del mondo, nelle fabbriche dove lavorano spaccandosi la schiena per pochi soldi.

È un tentativo di approccio ancora più politico alla materia, e basato peraltro su un’idea (quella dell’ascensore gravitazionale) con nobili radici nella fantascienza: teorizzato per la prima volta da Arthur Clarke in Le fontane del Paradiso, più di recente è stato utilizzato anche da Kim Stanley Robinson nella sua magnifica trilogia ambientata (guarda un po’) su Marte. Tutto questo per dire che Kurt Wimmer e Mark Bomback, gli sceneggiatori di Total Recall – Atto di forza, non erano dei novellini del genere (come dimostra anche il resto della loro carriera), ma due che ne conoscevano le regole e la storia a sufficienza da imbastire quantomeno delle fondamenta interessanti. La scelta di spostare tutta l’azione da Marte alla Terra, per esempio, spoglia il film di quell’aria quasi mitologica che caratterizzava le sequenze aliene dell’originale, e permette di spingere il pedale dell’acceleratore sul lato più thriller della vicenda, sulla paranoia, le cospirazioni, i segreti, la sensazione di essere seguiti.

Triseno

Niente di nuovo sul fronte terrestre

Il problema è che questi lodevoli intenti vengono strozzati in culla nel momento in cui il film passa dalla carta al set. Total Recall – Atto di forza ricalca più o meno pedissequamente l’originale, eliminandone chirurgicamente tutte le stranezze e idiosincrasie per sostituirle con qualcosa di più facile e digeribile. Il film di Verhoeven si apriva con il sogno marziano di Arnold Schwarzenegger, una sequenza disorientante, sul momento incomprensibile, tutta virata al rosso per amplificare il senso di straniamento; quello di Wiseman si apre con la prima di tantissime sparatorie in generici corridoi grigio-bluastri, che ci rivela fin da subito che il Douglas Quaid di Colin Farrell è un letale agente segreto ed è innamorato della donna che lo sta aiutando (la Melina di Jessica Biel, alla quale Quaid dice “ti amo” già nei primi cinque minuti di film).

È una sequenza indicativa di quello che sarà il più grosso problema del film: non tanto la sua tendenza a risolvere ogni situazione con una sequenza action (tutte parecchio spettacolari, peraltro, anche se girate con quella tendenza alla confusione creativa che ha rovinato così tanti film di genere negli ultimi vent’anni), ma la sua incrollabile e inattaccabile seriosità. Atto di forza era, come tutti i film di Verhoeven, un film che raramente si prendeva al 100% sul serio, e nel quale il primo a giocare era proprio il protagonista; il contrasto tra il fisico statuario di Schwarzy e la sua aria da operaio dimesso e un po’ sfigato bastava da solo a dettare il tono e il ritmo del film. Wiseman invece decide di eliminare ogni traccia di humor (volontario e involontario) e di eccessi: persino l’ultraviolenza viene calmierata e trasformata nel più classico e anemico dei body count.

“If I’m not me, then who the hell am I?”, “se io non sono io, chi diavolo sono?” si chiedeva Arnold Schwarzenegger in una delle scene più iconiche dell’originale: il resto del film era una corsa a cercare una risposta. Se lo chiede anche Colin Farrell nel remake, ovviamente, perché certe one-liner devono rimanere al loro posto: è la stessa domanda che ci facciamo noi sull’intera operazione.

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