Toro scatenato ha 40 anni: dare tutto, non morire e fare anche un film

Ripercorriamo l'inferno che 40 anni fa ha creato il capolavoro di Toro Scatenato, scritto da Paul Schrader e diretto da Martin Scorsese

Critico e giornalista cinematografico


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Il 17 Novembre del 1977 Martin Scorsese sta festeggiando il suo 35esimo compleanno a casa di Samuel Fuller (che di anni ne aveva 65 e di lì a tre anni avrebbe diretto Il grande uno rosso). Lì, in quella serata, si mette in testa di un film a cui sta lavorando, Toro scatenato, inserendoci il seguito di Italianamerican, il documentario che ha girato sui suoi genitori, e chiudere così la trilogia iniziata con Who’s That Knocking on My Door? e Mean Streets parlando della morte dei suoi nonni. Era un film problematico e così l’avrebbe risolto.

Versava nel panico più totale. Era reduce da un insuccesso che avrebbe segnato la sua vita, quello di New York New York, stava lavorando contemporaneamente ad American boy, The Last Waltz e The Act, il suo secondo matrimonio stava fallendo e già aveva capito che la figlia che aveva appena avuto, Domenica, non sarebbe cresciuta con lui. La cocaina e il tentativo di suicidio erano ad un passo.

Aveva capito benissimo, Scorsese, che la sua carriera iniziata molto bene pochi anni prima non sarebbe stata quella di Coppola e figuriamoci di Spielberg, non avrebbe incassato così tanto, non sarebbe stato un regista commerciale. Il tonfo di New York New York l’aveva massacrato, preparava due documentari, qualcosa di piccolo e commercialmente minore, senza pressioni sugli incassi. Intanto batteva fortissimo dentro di lui Toro scatenato, ma soprattutto dentro Robert De Niro. Gliel’aveva messo lui in testa di fare un film sull’autobiografia di Jake LaMotta. A Scorsese lo sport non era mai interessato, era asmatico! E inizialmente non aveva nemmeno capito cosa ci fosse là dentro, era solo una storia in cui buttarsi per non morire, una che gli pareva vicina: cattolicesimo, senso di colpa, speranza di redenzione. Roba sua.

toro scatenato
Nell’ultima pagina della sceneggiatura aveva aggiunto una citazione dal vangelo di Giovanni, uno scambio tra Nicodemo e Cristo sulla necessità di rinascere spiritualmente prima di accedere al regno dei cieli. Non era mai stata sua intenzione usarla nel film ma voleva che tutti quelli che avessero letto la sceneggiatura sapessero che per lui era questo quello che la sceneggiatura significava. Rinascere spiritualmente. Per non morire.

toro scatenato ring

Come si può non amare questo regista e la sua folle identificazione autodistruttiva con il cinema e il proprio destino professionale, fino a condizionarne la sanità mentale? Sembra uscita da un romanzaccio Young Adult scritto su Wattpad da una 15enne, invece è tutto vero e produce capolavori. Martin Scorsese è l’unico regista americano per il quale i film sono davvero questione di vita o di morte, l’unico per il quale (almeno per un certo periodo) non farli voleva dire non risolvere qualcosa di cruciale dentro di sé.
Dopo New York New York l’idea era che piuttosto che fare 10 film compromettendosi con gli studios, tanto valeva farne un altro onesto e integro e poi basta. Esattamente come ragionerebbe un adolescente.

toro scatenato guantoni

La sceneggiatura intanto era un disastro perché il libro era un disastro, pieno di parti da cambiare, didascaliche e noiose in cui LaMotta spiega se stesso a parole, c’erano personaggi superflui e non un vero centro. Cosa ci avesse visto De Niro non lo sapeva spiegare nemmeno De Niro! A parole diceva lui stesso di non essere in grado di spiegarlo ma che sentiva una connessione con il materiale. Addirittura sembra che ad una prima lettura non notò nemmeno la frase che apre la biografia: “Quando ripenso ai miei ricordi mi pare di guardare un vecchio film in bianco e nero” anche se questa potrebbe essere una possibile tagline del film. Di una cosa erano sicuri entrambi, che non sarebbe stato un film sulla boxe, quella non interessava a nessuno dei due.
Scorsese chiamò Mardik Martin a rimetterci mano e da quel passaggio ne uscì una struttura se non altro sensata, senza contare che i temi principali cominciavano ad emergere, le idee di Scorsese venivano integrate. Rimanevano però dei buchi e mancava un vero senso a tutta la storia, la ragione per la quale fosse importante raccontarla. Ci voleva Paul Schrader.

toro scatenato ray

L’arrivo di Paul Schrader è stato un caso da manuale di deus ex machina, qualcuno chiamato per un aiuto che arriva e da solo mette a posto tutto indicando ai protagonisti la via da battere. Schrader lavora quasi da solo, prende tutto il materiale, lo rivede lo riscrive e lo sistema. Poi riconsegna spiegando perché ha fatto i cambi che ha fatto. E come sempre quando si mettono insieme Schrader e Scorsese il risultato è lo studio di un’anima piena di problemi, specie sessuali, piena di demoni e con un forte disprezzo per se stesso. Una discesa all’inferno di un uomo che aspira al paradiso raccontata (stavolta) con un esplicito immaginario spirituale. Perché Scorsese all’inferno ci stava davvero.

toro scatenato muro

Werner Herzog spesso dice che per fare davvero un film degno di questo nome deve andare a strapparlo dalle mani del diavolo in persona. Questo fece Scorsese. Peter Biskind in Easy Riders, Raging Bulls descrive il regista, in quel periodo. come lo specchio di LaMotta: “Sempre arrabbiato, pronto a lanciare bicchieri e provocare le persone, antipatico e pronto ad offendersi per qualsiasi cosa appositamente”. Ma Toro scatenato è la redenzione, come dice la citazione nel copione, la rinascita spirituale strappata al demonio. Difficile vedere quelle immagini sul ring e pensare che sia un film realistico, che il ring non sia uno luogo trascendentale in cui si gioca una partita spirituale invece che un incontro. Anche se poi di incontri Scorsese era andato a vederne parecchi per documentarsi e da lì aveva preso le immagini delle corde che gocciolano sangue, le spugne rosse e lo sprizzare di sangue dal volto. Insomma la violenza.

toro scatenato movimento

E poca ce n’è nel film! Nella versione che Schrader aveva sistemato e mandato indietro, oltre a fondere due personaggi in quello che è diventato il fratello, cioè Joe Pesci (“Ma il fratello sono io!” dice Scorsese) c’erano scene poi eliminate di Jake che mette al tappeto la sua prima moglie ad una festa e poi, pensando di averla uccisa, cerca di liberarsi del cadavere.
Il punto di tutto è lavorare su questa coppia per mostrare una vita quasi tribale, da veri animali. Un nucleo familiare dove regnano istinti e non ragione. Insomma era uno script ancora più estremo pieno di umiliazioni e scene scioccanti. Pure per gli standard di Scorsese.

In questi casi vale sempre ricordare da dove venisse Schrader, come racconta sempre Biskind, cioè da un periodo in cui se non si metteva una pistola in bocca non riusciva a prendere sonno (ma Schrader l’ha più volte negato).

toro scatenato rivale

Per 10 minuti totali di boxe nel film sono state necessarie 10 settimane di riprese, una settimana a minuto davanti ad un pubblico di comparse intelligentemente prelevato dalle case di riposo e attirato con la promessa di una televisione gratis in cambio. Tutto storyboardato nel minimo dettaglio, nessuna aderenza alla realtà, il ring non è nemmeno mai della stessa dimensione, si allarga e si restringe a seconda delle esigenze. Non è un luogo reale (di nuovo) ma uno mentale, spirituale, della percezione, uno che racconta Jake LaMotta e non cosa accadde. Ci sono ralenti e parti velocizzate, oltre a simbolismi schiacciati in faccia come la vaselina sul naso messa come fosse una benedizione. Era la prima volta che Scorsese collaborava ufficialmente con Thelma Schoonmaker al montaggio (prima lei aveva solo dato una mano) e si vede. Cambia tutto, inizia il Martin Scorsese che conosciamo oggi, quello dal ritmo impensabile e dall’energia che scaturisce direttamente dai movimenti della macchina da presa (che poi è lo stile che ha influenzato tutto il cinema da quel momento in poi). La rinascita spirituale che diventa umana giocandosi tutto con un impegno e una dedizione mortali.

toro scatenato jake

Non stupisce che per Michael Chapman, direttore della fotografia, il film fosse praticamente un’opera, Cavalleria Rusticana (come suggerisce la musica utilizzata), in cui gli incontri sono le arie. In un crescendo i primi match mantengono qualcosa di reale, l’ultimo è pura astrazione, c’è la nebbia e ci sono i grandangoli in un ring grande ormai il doppio del normale. Anche noi, il pubblico, siamo pronti ad arrivare altrove, alla fine della sua Divina Commedia. Tutto in bianco e nero perché ad una proiezione di giornalieri Michael Powell (il genio di Scarpette Rosse ex marito di Thelma Schoonmaker, amico di Scorsese) si lamentò del fatto che i guantoni erano rossi e non del colore dell’epoca. L’idea che per rimediare si potesse virare il girato mostruoso in bianco e nero e riprendere anche il resto del film in bianco e nero dando a tutto il film un’altra trascendenza, penetrò la testa di Scorsese come un treno.

L’ispirazione a quel punto diventò la fotografia decisa e contrastata di James Wong Howe di Piombo rovente.

toro scatenato pesci

Il film alla fine incassò poco più del suo budget, un insuccesso. L’ennesimo, che aprì le porte a Martin Scorsese di un decennio di passione tra insuccessi (Re per una notte), progetti molto personali (L’ultima tentazione di Cristo) lontani dagli studios e opere a volte bellissime e stranissime (Fuori Orario), tutto fino a Quei bravi ragazzi.

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