Top Gun: Maverick vola sopra ogni aspettativa, ma non è un modello replicabile
Da Top Gun: Maverick l'industria hollywoodiana ha molto da imparare. C'è però rischio è che ne deduca le cose sbagliate
Hollywood non illuderti che Top Gun: Maverick sia un modello replicabile. Top Gun: Maverick è l’eccezione!
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Top Gun: Maverick è più una grande intuizione nostalgica
Top Gun: Maverick è tutto quello che un grande blockbuster può essere. Trova giovamento dai formati premium, in particolare l’immersivo e rumorosissimo IMAX, è divertente e nostalgico. Transgenerazionale, si potrebbe dire, porta in sala un segmento di pubblico più avanti con l’età rispetto a quello che frequenta i cinecomic, e questi convincono il resto della famiglia a seguirli in sala. Succede più di frequente il contrario.
È poi un film dannatamente divertente, con la trama ridotta all’osso e ripetuta all’inverosimile (quante volte abbiamo rivisto lo stesso piano di volo ripetuto ai piloti persino poco prima della loro missione! Non l’avevano capito durante l’addestramento?). Richiede un impegno intellettuale che permette di sgranocchiare popcorn senza perdersi nulla. Eppure è anche una delle esperienze di cinema più pure che si possano fare quest’anno. Ritorna la cinepresa come dispositivo spettacolare per fare esperienza di qualcosa che non è alla portata di tutti. Cioè sentirsi veramente sugli aerei, avere la sensazione della gravità e la vertigine dell’immagine in movimento. Ha anche una grande canzone per le radio, quella di Lady Gaga, e un grande passato, quello di Tony Scott.
Il successo grazie a quello che c'è, non a quello che manca
Tutto questo, si capisce, non è inscatolabile. Si può sapere che tutti questi elementi fanno un film dall’enorme presa sul pubblico, essere in grado di realizzarlo è un’altra questione. Perché, prima di tutto, Top Gun: Maverick non ha avuto successo perché parla di piloti e di aerei bensì per come filma il volo. Solo che, anche se qualcuno fosse in grado di intraprendere un’avventura produttiva come questa, arrivare a un risultato simile, o anche di poco migliore, non costituirebbe più una novità.
Come scrive The Gamer Top Gun: Maverick è un omaggio all’età dell’oro dei blockbuster. Ha un’idea di eroismo vecchia, un patriottismo d’altri tempi (oggi quasi tutti i film di questo tipo raccontano un’America divisa, con i propri valori in crisi) e un andamento narrativo anni ’80. Sarebbe un errore credere che basti andare a spulciare tra i propri cataloghi, prendere un vecchio cult e farne un seguito, per avere anche solo la metà del successo che ha avuto Tom Cruise. Il suo successo non deriva da quello che non ha (la trama, l'a profondità psicologica) bensì da quello che mette in scena: un intrattenimento rispettoso e sapiente come raramente se ne vedono.
Dove vai se Tom Cruise non ce l'hai?
Bisogna a questo punto riportare al centro della discussione l’attore. Perché Top Gun: Maverick è al 40% aerei, e al 60% Cruise. Con la sua idea di cinema, amatissima dagli esercenti, cioè che non può esistere un film senza la visione collettiva e la sua richiesta di schermi sempre più grandi per le sue azioni sempre più estreme. Mission Impossible insegna.
Il grande pubblico, al contrario dei facili populismi a cui spesso cadono sia gli addetti ai lavori che i cinefili, non si beve tutto. Il miglior marketing è, ancora oggi, un buon passaparola e un’idea interna al film che invogli a vederlo. Gli aerei ripresi dal vivo in una cornice di nostalgia e azione al cardiopalma; questa era la promessa che ha attivato l’interesse. Averla rispettata ha convinto il pubblico della seconda settimana ad acquistare il biglietto.
Top Gun: Maverick è ben bilanciato
Non è vero però che ciò che fa brillare questo film può essere applicato ad altri. La quasi totale assenza di trama è accettabile perché funzionale allo spettacolo. L’ideologia dell’uomo duro-pilota coraggioso non è ridicola solo perché compensata dall’astrazione geopolitica (i nemici sono figure anonime senza volto). È un gioco di contrappesi che non tutti sono in grado di fare. Richiede una forte conoscenza dei meccanismi psicologici del pubblico e di come funziona il cinema.
Poi in sottofondo c’è quell’idea del divo immortale. Della vecchia guardia che non si sostituisce. Tom Cruise e Jennifer Connelly si comportano da adolescenti, giovani amanti che fuggono dalla finestra per non farsi vedere. Un film popolato da gente che si rifiuta di invecchiare. Anzi, che ostenta il passare degli anni come un qualcosa che migliora, non che mette da parte. Ha un ottimismo che arriva nel momento giusto, e ben dosato.
La formula magica non è quindi nel concept, cioè il remake di un film degli anni ’80 molto amato. È semmai nella realizzazione: cioè nel fare il più possibile dal vivo, con un attore che sembra invecchiato di un decennio quando invece sono 36 anni. Serve un montaggio ben ritmato e comprensibile, aiutato da un reparto sonoro incredibile e una fotografia che esalta le forme dei bellissimi Jet. Hollywood può imparare a prendersi il tempo per girare tutto quello che è necessario senza badare a spese. Dovrebbe riconoscere più spesso i registi come Joseph Kosinski in grado di tenere insieme tutto questo.
Se Hollywood vuole replicare ciò che è stato Top Gun: Maverick non deve cercare singole idee o elementi che possano essere inseriti in altri film. Non deve copiare, deve prendere spunto dalla predisposizione psicologica con cui il film è stato creato. Deve cioè credere nelle sue storie e che un blockbuster funziona come tutte le altre opere: cioè cercando senza pigrizia di essere il miglior film possibile.
Facile, no?