Top Gun: Maverick è vecchio ma non obsoleto

Top Gun: Maverick è il momento in cui Tom Cruise ammette di stare invecchiando, ma conferma di non avere intenzione di smettere. Il film è da oggi disponibile in streaming su Paramount Plus.

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Top Gun: Maverick è disponibile da oggi in streaming su Paramount Plus

C’è una certa fetta di Hollywood che negli ultimi anni – diciamo con il volgere del millennio, per fissare una data arbitraria – sta prendendo coscienza del proprio invecchiamento, e lo sta portando al cinema trasformandolo in carburante per storie.

Sylvester Stallone ha cominciato con la doppietta Rocky Balboa/Rambo IV, le sue auto-riflessioni (e anche confessioni) sull’invecchiamento; il suo ex rivale ora amico Schwarzenegger ha preferito un approccio più soft, limitando le sue “confessioni di un futuro ottuagenario” a film piccoli e quasi sperimentali. Liam Neeson con una telefonata ha inaugurato un’intera genìa di “attori un po’ in là con gli anni che si riscoprono star dell’action”, l’ultimo dei quali (per ora) è Bob Odenkirk in Io sono nessuno. E poi, in questo panorama di prese di coscienza, c’è un attore che continua a comportarsi come avesse vent’anni e a trattare il suo corpo come se l’obsolescenza non esistesse. Parliamo ovviamente di Tom Cruise, e nello specifico del fatto che Top Gun: Maverick è il primo film che abbandona questo approccio e segna il suo ingresso nel club di chi sta prendendo coscienza dei propri sopraggiunti limiti.

Top Gun: Maverick si apre esattamente come Top Gun, in quella che è una dichiarazione d’intenti fortissima, e ben sapendo che non c’è nulla di male a citare (copiare) il predecessore quando il predecessore stesso non era un modello di originalità, piuttosto una storia antica declinata in un modo (non particolarmente) nuovo e che puntava tutto sulle sensazioni e l’impatto visivo e sonoro. Bastano pochi minuti, però, per notare almeno due differenze fondamentali con il film di Tony Scott. La prima è di natura squisitamente tecnica e non ha a che fare con il discorso fatto fin qui (per cui magari ci torneremo dopo): dove Top Gun era un film sul quale erano state appiccicate in maniera un po’ posticcia un po’ di riprese aeree girate alla bell’e meglio per questione di costi e tempi, Maverick ha a disposizione tutti i soldi e tutto il tempo del mondo, e può quindi mettere in scena aerei, portaerei, decolli e atterraggi con una precisione e una spettacolarità che l’originale semplicemente non poteva permettersi.

La seconda cosa che si nota è che il pubblico di Top Gun: Maverick è lo stesso di Top Gun – non nel senso della stessa categoria, ma proprio delle stesse persone. Ed è dunque un film malinconico e crepuscolare, un’ultima missione e non l’inizio di una scintillante carriera, una storia che in ultima analisi parla della differenza tra esseri vecchi ed essere obsoleti. Nonostante abbia le fattezze di Tom Cruise, che come forse saprete è un vampiro e quindi non invecchia, Maverick non è più il giovane astro nascente dell’aviazione bellica americana, ma un capitano di lungo corso che non è mai andato oltre quel grado perché l’unica cosa che gli interessa è continuare a far volare i suoi aerei, non finire dietro una scrivania a dare ordini a gente più giovane.

In altre parole: ritroviamo Maverick trent’anni dopo che fa ancora le stesse cose che faceva allora, ma le fa nella consapevolezza che non potrà continuare a farle per sempre. Ora non effettua più missioni di combattimento, ma si limita a testare aerei militari per scoprire quali siano i loro limiti. Un mestiere che, come gli fa notare Ed Harris, è destinato a scomparire o per lo meno a ridimensionarsi, come d’altra parte accadrà anche al mestiere del pilota: siamo nel futuro, ci sono i droni, gli assi dell’aviazione sono passati di moda. Maverick si rifiuta di invecchiare, nel senso che si rifiuta di ammettere che il suo corpo ha dei limiti; ma non può far nulla per il fatto che anche il resto del mondo sta invecchiando, o forse in realtà svecchiandosi, comunque cambiando in maniera troppo radicale perché lui possa sperare di farne ancora parte.

Oltre a essere la storia di una missione difficilissima, e dell’aviatore che insegnerà ai suoi ragazzi tutto quello che conosce per trasformarli in piloti provetti, Top Gun: Maverick è quindi anche, forse soprattutto, la storia di Tom Cruise (inteso anche come attore) che viene a patti con il suo essere invecchiato, ma che vuole comunque dimostrare, anche solo per l’ultima volta, di non essere obsoleto; vuole far vedere a chi lo vorrebbe mettere in soffitta che c’è ancora bisogno di lui, del pilota migliore del mondo ma anche, metacinematograficamente, dell’attore che ha in programma di andare a girare un film nello spazio.

Per tutti questi motivi, Top Gun: Maverick è contemporaneamente una copia-carbone del primo e un film molto diverso, perché non si concentra su un gruppo di giovani piloti e sulla loro ascesa all’Olimpo ma su colui che nel 1986 stava dall’altra parte – il sistema e non il ribelle da inquadrare, il maestro e non gli allievi. E di conseguenza ha gli stessi beat di trama del film di Tony Scott, ma non ha un decimo della sua spensieratezza e carica adolescenziale. È un film maturo dove la romance non è una passione selvaggia tra due giovani carichi di ormoni ma la delicatissima ricucitura di un rapporto vecchio di anni che viene affrontata con la cautela dei cinquantenni e non con lo slancio dei ventenni.

Tutto quanto scritto finora contrasta in maniera perfetta con la messa in scena, e non è un caso che Joseph Kosinski abbia 12 anni in meno di Tom Cruise. Tanto è dimessa e meditativa la prima metà del film quanto la seconda è un’esplosione d’azione che non fa rimpiangere Tony Scott, ed è una cosa gigantesca da scrivere. Non perché Kosinski abbia il suo stesso talento (nessuno ha lo stesso talento che aveva Tony Scott, che peraltro in Top Gun era ancora parzialmente inespresso), ma perché ha a disposizione tutti i giocattoli del mondo e una gran voglia di usarli.

Talento visivo gigantesco, Kosinski è finora stato fermato soprattutto da sceneggiature non all’altezza, e soprattutto dall’aver lavorato in film che avrebbero invece beneficiato di buona scrittura. Top Gun: Maverick non ha bisogno di puntare all’Oscar, visto che è costruito su un modello di enorme successo ed efficacia; e quindi Kosinski è libero di dedicare più del 50% del minutaggio del film a farci vedere evoluzioni aeree come non si erano mai viste prima al cinema, e gli ultimi 45 minuti alla missione finale, una delle sequenze più spettacolari di questo millennio che da sola basterebbe per scrivere una legge che obbliga a riportare Maverick al cinema una volta l’anno.

In questo senso, quindi, Maverick riesce addirittura a essere un film migliore del precedente, perché in un film di aerei le scene di aerei hanno una discreta importanza. Ma è anche un film che non funzionerebbe allo stesso modo se al posto di Tom Cruise l’occhio di bue fosse stato puntato su un giovane nuovo protagonista a caso: le inquadrature impossibili non bastano se non c’è qualcuno che te le sa vendere, e nessuno al mondo sa vendere una scena pericolosa quanto Tom Cruise. Vederlo sfrecciare con il volto sfigurato dalla gravità tra i cieli del luogo senza nome dove si svolge il film è un piacere impossibile da replicare con qualsiasi altro attore, tanto più che in giro ancora non si vede un suo vero erede.

Sarà vecchio, quindi, come vecchio è Top Gun: Maverick, un film degli anni Ottanta realizzato con i mezzi del 2022. Ma Tom Cruise non è ancora obsoleto, c’è ancora bisogno di lui, della sua voglia di spingere il proprio corpo oltre ogni ragionevole limite, del suo sprezzo del pericolo. E quindi c’è ancora bisogno di film come Top Gun: Maverick.

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