Top 2014: i migliori 10 film dell'anno secondo Gabriele Niola

Una grandissima annata, con poco di italiano ma graditi ritorni da parte di maestri che si credevano perduti e almeno un paio di scoperte totalmente nuove

Critico e giornalista cinematografico


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Già un anno fa l’avevamo detto e grazie al cielo tocca ripeterlo pure quest’anno: è stata una grande annata.
Se nel 2013 eravamo stati costretti a fare una top20 invece che top10, visto il numero esorbitante di ottimi film arrivati nelle sale italiane, quest’anno riusciamo a rimanere nel confine dei 10 titoli senza fare torti intollerabili. Rimane però il fatto di aver assistito ad una fortissima annata, debole forse solo dal punto di vista del cinema italiano (l’11esimo classificato è Smetto quando voglio) che tuttavia ha concentrato molte delle pellicole più attese nel 2015.

10. Melbourne
Asghar Farhadi con Una separazione ha creato un piccolo solco nella storia del cinema contemporaneo e consacrato uno stile di racconto (quello che oscilla tra due posizioni in un medesimo scontro di idee per confondere la posizione che lo spettatore desidera prendere). Ne stanno risentendo un po’ tutti ed è normale quindi che i primi a conformarsi siano i registi iraniani. Nima Javidi ha sicuramente rubato molto dal film di Farhadi (in primis il protagonista), lo stesso però Melbourne è un film riuscito e potente, minimalista (si svolge in un ambiente solo) e intelligente, in cui il mood paranoico è più importante ancora degli eventi cui assistiamo.

9. Italy in a day
Non è un’idea originale, tuttavia la maniera in cui Salvatores e il suo team hanno scelto e montato le diverse clip pervenutegli ha di molto superato l’originale Life in a day. C’è tantissimo in questo film fatto di video generati dagli utenti, molto sul paese, sulla razza umana e molto anche di incredibilmente semplice. Il viaggio di Salvatores si sofferma su momenti di evidente e commovente umanità come non era scontato aspettarsi.

8. Lei
Non è la storia d’amore con un computer, è l’elaborazione della fine di un altro amore (visto nei flashback) attraverso una storia passeggera. Non è un’affermazione dell’eccessiva pervasività della tecnologia nelle nostre vite ma un inno al romanticismo di tutto ciò che è falso (vedasi anche la tenerezza del videogioco volgare). Non è un film melenso ma anzi uno molto sagace. Lei, è un piccolo capolavoro di pensiero divergente rispetto alla massa, uscito da Hollywood.

7. Due giorni, una notte
Nei film dei fratelli Dardenne c’è sempre un intreccio nel senso stretto del termine, un fatto, un evento o un mistero che tiene annodati dei personaggi che cercano di liberarsi. Stavolta è Marion Cotillard che cammina di porta in porta, di casa in casa per chiedere ai suoi colleghi di non votare per il suo licenziamento ma in questo percorso lineare c’è di nuovo il nodo di un sistema e di regole che non vanno accettate per forza. Un cinema tutto corpi in movimento e parole, minimale nella messa in scena ma complesso e sofisticato nella pianificazione. Eccezionale.

6. All is lost
Era da molto che non si vedeva un film così deciso e duro, che ha la sua forza nella presa di posizione realista di non far parlare il protagonista per tutto il film e di comunicare solo con il rapporto che esso, in ogni inquadratura, intrattiene con il paesaggio in cui è confinato suo malgrado (la sua barca a vela si è bucata ed è solo in mezzo all’oceano indiano intento a sopravvivere). Un tour de force che riempie gli occhi.

5. Si alza il vento
Si potrebbe non finire mai di incensare quest’opera evocativa e audace, in cui Miyazaki si confronta con le proprie idiosincrasie e in cui opera una sintesi di invidiabile serenità tra molte spinte diverse del proprio animo. Eppure, come tutti i veri grandi capolavori, Si alza il vento nel parlare di Miyazaki (attraverso Jiro Horiskoshi) racconta dei contrasti interni di chiunque.

4. Mommy
Ci voleva un film come Mommy e una consacrazione a Cannes perchè anche in Italia si distribuisse Xavier Dolan. Bene così. Più si viene a sapere che nel mondo c’è qualcuno determinato a raccontare le cose più difficili (un rapporto di amore filiale che flirta con l’odio) nella maniera più irruenta e con idee diverse da solito meglio è.

3. Boyhood
Che fosse destinato ad entrare nella storia del cinema lo sapevamo anche prima di vederlo, essendo stato girato in 12 anni con attori (e quindi personaggi) che invecchiano realmente. La vera sorpresa è che un film così difficile da fare abbia anche una narrazione poco convenzionale e tremendamente coinvolgente. 12 anni nella vita di un bambino e poi ragazzo americano narrati attraverso i momenti meno importanti, nessun evento clamoroso, solo discorsi e incontri come tanti altri. Singolarmente vogliono dire poco, aggregati sono fondamentali e dipingono una parte di una vita.

2. A proposito di Davis
È probabilmente questa la vera missione del cinema, riuscire a comunicare quello che a parole non si può dire. Non c’è un discorso che possa rendere quel che sta alla base di A proposito di Davis, ci vuole una storia messa per immagini per riuscire a dirlo. Che nella vita non c’è un vero ordine, che alle volte qualcosa sembra accanirsi contro l’uomo come contro una povera volpe ma non c’è niente di preordinato e che esiste un generale senso di ordinaria ingiustizia nell’esistenza di chiunque, una mestizia nel dover venire a patti con l’accanirsi degli eventi che è triste e normale al tempo stesso.

1. The wolf of wall street
Ci può essere evento più lieto del ritorno ai suoi massimi livelli di uno dei massimi cineasti della modernità, uno dei migliori e più infaticabili sperimentatori nel manovrare la messa in scena e contemporaneamente uno dei più lucidi a leggere il presente?
La vita di Jordan Belfort è un’odissea di piacere, un’orgia eccessiva di denaro, successo, donne, sesso e droga di stupefacente varietà e depravazione, immersa in un mondo finanziario che va nella medesima direzione. Gli anni che hanno preceduto e causato la crisi odierna sono raccontati con uno stile frenetico e imbizzarrito che solo Scorsese e Thelma Schoonmaker potevano controllare a questa maniera. The wolf of wall street non racconta gli eccessi di bulimia vitale, li mette in scena con terrorizzata partecipazione alla stessa maniera in cui nei dipinti cattolici si mostrano i più abietti peccati: per shockare e affascinare, attirare e spaventare al tempo stesso.

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