Tomorrowland, un’overdose di ottimismo

Tomorrowland di Brad Bird vi lascerà addosso una grandissima fiducia nel futuro, o in alternativa vi farà sperare nell’Apocalisse

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Tomorrowland va in onda su 20 Mediaset questa sera alle 21:04

Se cercate sul dizionario la definizione di “ottimista” ci troverete una foto di Brad Bird sul set di Tomorrowland, il suo spettacolare e costosissimo flop del 2015 che voleva lanciare un messaggio di speranza al mondo e che fu invece ricevuto con sbadigli e pernacchie. E nonostante tutto questo, Bird ci crede ancora: appena l’anno scorso su Twitter invitava il fandom del film a “continuare a guardarlo”, perché secondo lui “Hollywood raramente realizza sequel di film che vanno in perdita. È successo (con Blade Runner o Tron per esempio), ma soltanto dopo che la gente ha trascorso decenni a riguardarli”. Il ragionamento è chiaro – anche un film che ha floppato può tornare utile decenni dopo per farne un sequel/remake se nel frattempo ha raggiunto l’ambitissimo status di cult –, ma ripensando a Tomorrowland e alla sua valanga di contagioso ottimismo ed entusiasmo, preferiamo pensare che Bird intendesse qualcosa come “se continuate a guardare il mio film e a sognare un sequel, il potere della vostra immaginazione lo trasformerà in realtà”.

Tomorrowland e i parchi divertimenti

Tomorrowland era un film ottimista e positivo anche prima della sua nascita. L’idea è di Damon Lindelof, che al tempo (si parla del 2010, Tomorrowland ci mise cinque anni a vedere la luce) era ancora principalmente “quello di Lost”; Lindelof ebbe l’idea di un film di fantascienza ambientato a (o basato su) Tomorrowland, una delle, per semplificare, categorie di attrazioni più famose delle varie Disneyland del mondo, una terra del futuro dove tutto è possibile e la scienza ha elevato l’essere umano e tutta una serie di altri slogan che esaltano le magnifiche sorti e progressive dell’umanità.

Il primo Tomorrowland aprì nel 1955, ed era un parco divertimenti che assomigliava in qualche modo anche a un’Expo: secondo la Disneyland Encyclopedia di Chris Stodder, tra gli espositori di quella prima versione di Tomorrowland c’erano tra l’altro Monsanto, American Motors e Richfield Oil. Con il passare dei decenni Tomorrowland si è trasformata e ora ospita tra le altre cose attrazioni dedicate a Star Wars, ma l’idea molto post-bellica di costruire un parco divertimenti dedicato a magnificare il progresso e il futuro che ci aspetta influenzò intere generazioni – tra cui Lindelof e Brad Bird, a sentire loro – , ed è alla base della sceneggiatura scritta da Lindelof e riscritta multiple volte insieme allo stesso Bird, che incidentalmente in quello stesso periodo si avvalse della sua consulenza non accreditata per sistemare Ghost Protocol.

Clooney

Tomorrowland e le nobili origini

Il risultato dei quattro anni di brainstorming (ancora una volta, parole di Bird, non nostre) tra i due deve relativamente a Tomorrowland, e tantissimo a una serie di altre fonti più o meno improbabili, e che sono tutte figlie dello stesso spirito un po’ forzatamente ottimista che animava il mondo occidentale ai tempi della corsa allo spazio – come la spiega Lindelof, “mi interessa l’idea che avevamo del futuro negli anni Sessanta, che non erano poi un gran periodo in cui vivere; voglio dire, eravamo costantemente sull’orlo della guerra nucleare!”. Eppure, così se la ricordano i due, nonostante il rischio di annichilimento istantaneo della razza umana, negli anni Cinquanta e Sessanta ci si nutriva di speranza, la speranza di un futuro migliore (forse come reazione a quanto successo meno di vent’anni prima).

E Tomorrowland, inteso come il parco divertimenti, è un esempio, ma non il più clamoroso: sempre in quegli anni, Walt Disney concepì anche EPCOT, la Experimental Prototype Community of Tomorrow, una sorta di microstato indipendente e utopistico, una città aziendale perfettamente regolata da un’autorità centrale e onnipresente, dove non esiste la proprietà privata né la politica né il diritto di voto ma solo il bene collettivo definito dagli obiettivi aziendali e da una non meglio definita idea di “progresso” e di “responsabilità comune”. Rispetto a Tomorrowland, che voleva essere solo una finestra sul futuro, EPCOT sarebbe dovuto diventare un progetto da mettere in pratica nel presente, per sperimentare nuove forme di organizzazione sociale e provare a capire se potessero essere scalabili. È un’idea che in qualche modo ricorda Galt’s Gulch, l’utopia ultracapitalista di La rivolta di Atlante, ma senza l’elitarismo insito nel romanzo di Ayn Rand, ed è una delle tante ispirazioni per Tomorrowland.

Sì, ma di che parla questo film?

Tomorrowland, la città del futuro del film di Bird, è un mix di quanto citato finora. È una pubblicità per il futuro: è stata costruita dalle migliori menti scientifiche e artistiche del pianeta (un po’ come la Rapture di Bioshock, un’altra opera ispirata dalle stesse idee che stanno dietro Tomorrowland), che hanno anche creato un esercito di “reclutatori” che devono girare per il pianeta in cerca di nuovi, potenziali residenti. È EPCOT, a partire dal design, e dall’idea di comunità chiusa e autosufficiente che però lavora per il bene collettivo. È Galt’s Gulch, perché, come scopriamo nel corso del film, l’elite si è rinchiusa nella sua torre d’avorio e non vuole avere nulla a che fare con il popolo, che nella sua ignoranza procede a testa bassa verso l’autodistruzione.

Ed è anche un luogo da favola la cui esistenza Casey Newton (Britt Robertson), che per hobby sabota strutture governative, scopre (non) per caso grazie all’intervento di Athena (Raffey Cassidy), che è convinta di vedere in lei una nuova forma di speranza: quella di salvare Tomorrowland, che nonostante le premesse è comunque riuscita a collassare e a rinchiudersi in se stessa. Per farlo, le due devono convincere Frank Walker (George Clooney) ad aiutarle; il problema è che Frank è un ex residente di Tomorrowland in esilio, che non può più rimettere piede in città pena la morte e che non ha alcuna intenzione di farsi trascinare in quest’avventura. Ne nasce quello che più che “un film ambientato a Tomorrowland” è un road trip, durante il quale Casey e compagnia vengono inseguite da robot assassini e sfruttano i pochi momenti di pace per tentare di formulare un piano per salvare Tomorrowland e il mondo intero.

Tomorrowland Casey

Eh?

Abbiamo appena notato che riassumere la trama di Tomorrowland in poche righe cercando di preservare le sorprese ma di restare comunque nel campo del comprensibile è un’impresa improba: Bird e Lindelof hanno scritto un film denso, corposo, intricato e ricco di mitologia (world building, se preferite), e hanno buttato talmente tanta carne al fuoco che l’unico modo per spiegare di che cosa parla è un elenco puntato:

  • È la classica parabola campbelliana dell’eletta, una persona normale che scopre un giorno di essere speciale e affronta un viaggio di formazione alla fine del quale potrà mettere in atto tutto quello che ha imparato per salvare qualcosa (tendenzialmente il mondo) e trionfare

  • È una storia sulla perdita della speranza, e quindi di uno scopo nella vita, e su cosa serva per ritrovarla: qui non parliamo più di Casey ma di Frank, la cui vicenda umana è ulteriormente arricchita da uno strato di fantascienza grazie alla sua amicizia con una bambina-robot che potrebbe o non potrebbe aver superato la propria programmazione e sviluppato sentimenti reali

  • È un film postapocalittico, ma ancora di più è un film preapocalittico, che parla dell’imminente fine del mondo e di come l’umanità non stia facendo nulla non solo per prevenirla ma anche per ammettere ad alta voce che sta arrivando; ed è anche un film preapocalittico perché ci fa vedere cosa succederà quando i robot si ribelleranno contro i loro creatori (per essere un film Disney con un evidente target giovane c’è una quantità inaspettata di esseri umani polverizzati)

  • È un richiamo alle elite, non si capisce se intese in senso accademico, finanziario, sociale o che altro: non lasciateci indietro, dicono Bird e Lindelof, non dateci per spacciati, e non fate quella faccia strafottente da “noi ve lo diciamo da decenni che il mondo sta finendo”. Questo è forse il punto più spinoso dell’intero discorso fatto da Tomorrowland. Da un lato c’è l’idea che non importa quanto male vadano le cose, l’importante è affrontarle con ottimismo e crederci tantissimo, perché i sogni son desideri: è un bel sentimento, ma talmente ingenuo che se affrontate il film con anche una goccia di cinismo vi metterete a ridere più volte durante un paio di scene madre. Dall’altro c’è l’innegabile constatazione che Bird e Lindelof, per parlare di fine del mondo, hanno puntato tutto sulla crisi climatica (c’è una scena in cui si vede la casa di Casey in versione post-apocalittica: non ci sono scarafaggi mutanti ma tre metri d’acqua che la ricoprono), e per quanto sia lodevole l’idea di affrontarla dicendo “ce la faremo, ma dobbiamo crederci!”. La spinta per avere una comunicazione più positiva a riguardo non è un’idea di Tomorrowland, e anzi se ne discute da tempo (provate a leggere qui, qui e qui, se masticate un po’ d’inglese), ma ci sono diverse prove (per esempio qui) che non è la strada giusta, e che la comunicazione apocalittica è più efficace – è impossibile vedere Tomorrowland oggi, nel 2021, e non sovrapporre a certi discorsi la faccia di Greta Thunberg che dice “non voglio la vostra speranza, voglio che andiate nel panico, voglio farvi sentire la paura che provo tutti i giorni”. Sapendo che Brad Bird è un ambientalista convinto, sarebbe interessante sapere se ha cambiato idea rispetto al 2015.

Casey

La finiamo qui con l’elenco puntato perché ci stiamo dilungando troppo, ma il succo rimane: Tomorrowland è un film strapieno di idee e un evidente opera di passione, animata da un entusiasmo contagioso che nasce su carta e si riversa anche sull’immagine – dura due ore e passa, sarebbe dovuto durarne di più nelle intenzioni degli autori ed è un continuo, gigantesco parco giochi, una collezione di invenzioni visive e richiami estetici a qualsiasi cosa, dallo steampunk alla fantascienza ipermoderna in stile Apple Store passando per Star Wars. È anche scombinato e arruffone, soprattutto nel corso del secondo, lunghissimo atto che avrebbe beneficiato di un altro paio di sforbiciate; e si chiude con un finale talmente rigonfio di speranza per il futuro, inviti a diventare persone migliori, lacrime telecomandate e ammiccamenti a chi guarda che, se anche solo avete un po’ di nervoso addosso perché il corriere di Amazon è in ritardo, potrebbe venirvi voglia di prendere a pugni lo schermo. Se invece avete voglia di affrontarlo con il candore e l’entusiasmo dei suoi autori possiamo garantirvi che ora della fine vi troverete a sognare un sequel sperando che il potere dell’immaginazione possa tramutare il sogno in realtà.

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