Tombstone è davvero “uno dei migliori western di sempre”?

Tombstone, dice Kurt Russell, è ricordato come uno dei migliori western di sempre. La verità, però, è più complicata

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Lo dice Kurt Russell, non noi! Tombstone, ha detto di recente, “viene considerato uno dei migliori film western di sempre e sono felice di sentirlo. Non posso affermare io una cosa del genere, ma posso dire che mi piace sentirlo dire. Sempre più persone lo sostengono”. Se fossimo stati presenti e con una gran voglia di fare polemica gli avremmo chiesto, con tono da Internet, “fonte?”. Ma in effetti è vero che il film di George Pan Cosmatos (forse) (ci torniamo), che pure nel 1993 venne confrontato sfavorevolmente con Gli spietati, uscito un anno prima, è stato negli anni rivalutato fino a essere considerato superiore anche sul suo più diretto concorrente, il Wyatt Earp di Lawrence Kasdan. E dunque la domanda è lecita: possiamo davvero considerare Tombstone uno dei migliori western di sempre?

Tombstone è uno dei migliori western di sempre

O forse no. La domanda di per sé è un po’ stupida, a dirla tutta: che cosa intendiamo con “uno dei migliori”? È una questione di numeri, cioè: è tra i 100 migliori western di sempre? Con ogni probabilità sì. È tra i migliori 10? Questo è già più discutibile. Tra i migliori 3? Ci sentiamo di affermare con sicurezza di no. O forse la questione va intesa in maniera più netta: i film western si dividono tra i migliori di sempre e i peggiori di sempre, e Tombstone sta senza alcun dubbio nella prima categoria. Di certo alla base di tutte queste non-risposte c’è una semplice considerazione, e cioè che quello di Cosmatos è un grande film.

Lo è perché il western è un genere di facce, un teatro minimalista sullo sfondo di orizzonti infiniti nel quale muovere una palpebra o l’angolo della bocca vale quanto un monologo di dieci minuti in un film di Woody Allen. E in Tombstone tutte le facce sono quelle giuste, anche grazie a scelte di coerenza artistica assoluta come quella di imporre agli attori di non usare baffi finti (con l’eccezione del povero Jon Tenney, che aveva appena finito di girare un film nel quale era completamente rasato e non aveva avuto il tempo di farsi ricrescere la peluria) (tutte cose raccontate dallo stesso Cosmatos nel commento audio al film), ma soprattutto grazie al talento infinito dei vari Kurt Russell, Val Kilmer, Sam Elliott, Bill Paxton, Michael Biehn… stiamo parlando di un film nel quale Billy Bob Thornton fa una particina quasi muta, Billy Zane ha due righe di dialogo e la voce narrante è di Robert Mitchum. Come può venire male un western con questi presupposti?

Tombstone non è uno dei migliori western di sempre

E infatti Tombstone è quello che la critica di un certo livello definirebbe un filmone. È un western che racconta la fine della frontiera, e quel momento storico nel quale l’ordine e la legge rubarono terreno al vecchio West fino a costringerlo a rifugiarsi in un angolino dell’Arizona, in una sorta di versione anarchica e brutale del villaggio dei Galli di Asterix. Lo fa usando figure storiche ed episodi diventati leggendari, la sparatoria all’OK Corral, la vendetta di Wyatt Earp, Doc Holliday e Johnny Ringo… E grazie a loro racconta una storia che non è distante da quella raccontata da Clint Eastwood in Gli spietati: un ex uomo di frontiera ritiratosi a vita privata viene suo malgrado coinvolto in uno scontro tra la gente indifesa di un paese in mezzo al nulla e una banda di criminali; seguono sparatorie. Si può davvero sbagliare un racconto così?

In un certo senso sì. La prima critica che viene da fare a Tombstone è che è un film fatto a regola d’arte, ma che non aggiunge nulla al genere. È come dovrebbe essere, e tutto è all’ennesima potenza; ma non dice nulla di nuovo che non fosse già stato detto da altri autori precedenti. E c’è poi il discorso sul come lo dice: a differenza di Gli spietati, che pescava a piene mani dal western classico e al limite da certe storie più urbane anni Settanta che Clint Eastwood stesso aveva contribuito a raccontare, Tombstone è indiscutibilmente anni Novanta, pieno zeppo di battute indimenticabili e di momenti di puro eroismo e coolness che sono un po’ faciloni se confrontati con il grigiume morale del film di Eastwood, e portano i protagonisti (Russell in particolare) fin troppo dal lato dell’eroe senza macchia. Se l’impianto visivo è classico che più classico non si può, la scrittura è fin troppo contemporanea, e risente spesso del peso degli anni.

Ma alla fine va bene così

Va bene così perché Tombstone fu anche un tentativo di portare il genere in un nuovo decennio rinnovandolo qui e là, e provando anche a renderlo più appetibile a un pubblico che con gli anni se ne stava sempre più staccando. E quindi per quanto ci siano aspetti del film che sono invecchiati peggio del previsto, e che un po’ privano Tombstone di quell’aura senza tempo e lo collocano decisamente nella sua epoca, quello che ci rimane trent’anni dopo sono due intensissime ore in compagnia dei baffi di Kurt Russell, di parecchi proiettili e di altrettanti tramonti rosso fuoco.

Mettiamola così: se credete che per essere annoverato tra “i migliori di sempre” un film debba innovare, inventare, proporre qualcosa di nuovo, su Tombstone sarete in disaccordo con Kurt Russell. Se invece credete che nella definizione ci sia spazio anche per i film confezionati a regola d’arte e interpretati da una masnada di gente in stato di grazia, correte a riguardarlo e alla fine urlerete “hai ragione tu, Wyatt!”.

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