Tomb Raider – La culla della vita è il salto dello squalo più rapido della storia del cinema
Tomb Raider – La culla della vita, il film che uccise la carriera di Jan De Bont, è un esempio perfetto di come gli studios possano rovinare un film
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Qualche minuto dopo nel film compare anche uno squalo. Infine, al termine della sequenza con la quale si apre il film, Lara Croft incontra lo squalo e gli tira un cazzotto.
Tomb Raider – La culla della vita e il salto dello squalo
Se avete familiarità con la storia della televisione, saprete che “salto dello squalo” è un’espressione nata in occasione di un episodio particolarmente discusso di Happy Days, nel quale Fonzie salta letteralmente uno squalo con gli sci d’acqua: è un momento che per la critica e il pubblico rappresenta il momento in cui la serie, ormai a corto di idee, fece un passo di troppo e finì nel reame dell’implausibile e dell’involontariamente ridicolo. Da allora, qualsiasi prodotto seriale vive nel terrore del momento in cui salterà lo squalo e smetterà di essere rilevante.
Tomb Raider – La culla della vita, secondo capitolo di un franchise che si era aperto con uno straordinario successo al botteghino e che nasceva sulla scorta di una serie di videogiochi di altrettanto successo, è il caso più clamoroso, soprattutto per la rapidità con cui ci è arrivato, di salto dello squalo applicato al cinema, e il fatto che entro i primi venti minuti di film si assista sia a un salto, sia all’arrivo di uno squalo, sia al terrificante momento in cui Angelina Jolie scazzotta un selace, è molto simbolico in questo senso.
Tomb Raider – La culla della vita e l’eredità di Lara Croft
Qualsiasi ragionamento su La culla della vita non può prescindere da alcune considerazioni sul capitolo precedente, che era un mediocre action a sfondo archeologico che si appoggiava a un franchise ben noto per rendersi identificabile e attirare l’attenzione ma che non aggiungeva nulla di suo, né una sceneggiatura scritta decentemente né sequenze d’azione all’altezza della fama del personaggio. Lara Croft: Tomb Raider andò comunque benissimo al box office, alla faccia della valanga di recensioni negative, e riuscì per qualche motivo anche a far passare l’idea che Angelina Jolie fosse un’attrice action all’altezza del compito, o per lo meno accettabile. La culla della vita è qualcosa che va dal primo film e gli urla in faccia IL RE È NUDO!
La critica lo salutò come “un passo avanti rispetto al predecessore”, lodandone l’azione e la prestazione attoriale di Angelina Jolie. Segno forse che ci si accontentava di poco, nel 2003: la sola sequenza iniziale, quella che si sviluppa tra il salto con la moto d’acqua e il pugno in faccia allo squalo, è un manuale su come non si girano scene sott’acqua, sparatorie e neppure le parti di parkour e free climbing, che il regista Jan de Bont (ci torneremo) trasforma in manuale di anatomia della sua attrice strizzata in completini talmente aderenti che, come direbbe Woody Allen, si distingue non solo il sesso ma anche la religione (d’accordo, la battuta non funziona se applicata ad Angelina Jolie).
Una collezione di disastri
Una scena girata male però può capitare a tutti, anche ai migliori; il problema è che La culla della vita non si riprende più da quei venti minuti che sembrano presi di peso da un brutto film della domenica pomeriggio su Rete Quattro. Innanzitutto, de Bont si trova fin da subito a fare i conti con un duplice dilemma: quando Angelina Jolie e il suo terrificante accento inglese sono in scena non si può fare altro che far girare tutto intorno a lei e alle sue smorfiette in favore di camera, ma quando l’attenzione si sposta altrove (per esempio sul cattivissimo Ciaran Hinds) è fin troppo chiaro che Tomb Raider – La culla della vita nasce e muore con la sua protagonista, e neanche un supervillain che di mestiere crea armi batteriologiche letali attira l’attenzione quanto l’archeologa seminuda.
Perché è inutile girarci intorno: La culla della vita, come il suo predecessore d’altronde, sono soprattutto una scusa per prendere una delle donne più belle del mondo, vestirla molto poco e farle fare acrobazie estremamente suggestive, o in alternativa farle fare la faccia cattiva. La Lara Croft dei due film con Angelina Jolie non è un personaggio, non ha una personalità, neanche quelle tracce di umorismo british che caratterizzavano la grezzissima Lara dei videogiochi; è solo una tizia molto bella che fa sempre quello che vuole, e che si aggira come una dea su dei set che sono stati creati apposta per lei e per la celebrazione del suo corpo. Difficile non vederla come oggettificazione, considerato anche che dopo questo film Jolie stessa disse di non volerne più sapere nulla del personaggio di Lara Croft.
La scusa di de Bont
Non bisogna comunque dimenticare che il film uscì in questo modo non per colpa (non del tutto, almeno) del suo regista: Jan de Bont, olandese, che in carriera ha diretto o fotografato un’enorme quantità di film di successo, parla del set del secondo Tomb Raider come di una sorta di incubo, come vi abbiamo raccontato qui, con costanti intrusioni sia della produzione sia della gente di Core Design, che voleva poter dire la propria sull’opera.
Il risultato è che de Bont si è sentito contestare anche per la scelta dei bottoni della camicia di Ciaran Hinds (o Gerard Butler, dall’intervista non è chiaro, visto che il regista non si ricorda il nome dell’attore in questione), si è visto costantemente tagliare il budget e ritoccare la scenggiatura, e non è riuscito a fare il film che avrebbe voluto fare e che aveva in mente. Ci piace pensare che sia tutto vero e che la colpa del disastro non sia sua – ma d’altra parte è anche la persona che ha dato l’OK ad Angelina Jolie che prende a pugni uno squalo, per cui...