Timeline, una webserie dei Finley. Perchè?

Che le webserie siano arrivate al punto massimo di riconoscibilità presso i giovani lo testimonia Timeline, la nuova webserie dei Finley prodotta da MTV...

Critico e giornalista cinematografico


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Che le webserie siano arrivate al punto massimo di riconoscibilità presso il target giovanile lo testimonia Timeline, la nuova webserie dei Finley prodotta da MTV. Com’è facile intuire già solo dai credits si tratta di un veicolo promozionale per il nuovo album. Dal primo episodio, messo online su mtv.it (mentre i prossimi andranno direttamente sul canale YouTube della band) è evidente che non c’è una narrazione propriamente detta nè l’idea di confezionare uno show (nonostante l’uso del termine webserie) ma si tratta di un appuntamento a tappe nel quale viene mostrata la lavorazione del nuovo disco.

Di webseriale Timeline ha la fotografia ma non il taglio nè la messa in scena, sembra quindi qualcosa fatto per apparire come il resto delle produzioni per la rete ma realizzato da chi lavorava nell’audiovisivo già prima che nascesse YouTube.
L’idea è quella di un grande special televisivo che abbia al centro la band ma sia privo di conduzione, i Finley raccontano se stessi iniziando con un po’ di ruffianerie da voce fuoricampo e un paradossale salottino a tre, nel quale i membri sembrano raccontarsi a vicenda come sia l’album che hanno già fatto.

Il poster dice “diaro di produzione” più sotto indica VideoDoc e più sotto ancora si ripete Web Series (al plurale). Una confusione terminologica che non corrisponde al contenuto, invece molto chiaro. In un’era in cui il senso commerciale del videoclip diventa sempre più marginale e impostato su una veicolazione in rete, proprio MTV sta cercando nuove forme visive per i suoi contenuti musicali, che nascano pensate per quel luogo in cui oggi si guarda e si ascolta la videomusica: YouTube.

Contenuti di questo tipo, che cioè raccontano la nascita di un album o la lavorazione di un’opera, solitamente guardano indietro, utilizzano materiale d’epoca per fare un discorso a posteriori, anni dopo che l’opera è uscita, per riflettere sul proprio oggetto ma anche sul contesto, la società e il mondo in cui è nato, rispetto alla modernità in cui ci si riflette. Tutto questo non può che essere inevitabilmente assente dall’idea di videodoc dietro Timeline, un contenuto per definizione “instant” che non può quindi mascherare eccessivamente la sua natura promozionale dietro ad un improbabile racconto.

Certo è anche vero che nel caso specifico poco importa. Timeline è destinato al pubblico dei fan della band e quindi ha come requisito principale veicolare informazioni sul gruppo e sul nuovo album. In questo senso non si discosta troppo da un trailer o da una featurette, quei contenuti pubblicitari su film e serie televisive con i quali si cerca al tempo stesso di creare attesa e dare informazioni.

Eppure non è possibile non pensare che Timeline non solo non è nulla di nuovo ma che, ferme restando le intenzioni promozionali, poteva comunque essere qualcosa di più. Un paragone utile è quello con ciò che, in un’era pre-youtube e pre-internet di massa (almeno in Italia), fece Jovanotti con un curioso mediometraggio intitolato L’Albero e diretto da un giovanissimo Eros Puglielli. Si trattava di un racconto ironico e grottesco di Jovanotti stesso e la sua band che, finita la registrazione del disco, capiscono di aver fatto l’album perfetto ma per un incidente perdono tutti i dati dal computer (“lo salvo su un dischetto” si dice ad un certo punto, era il 1997, quanta ingenuità.....) e sono costretti a rifarlo in pochissimo tempo sapendo che quel miracolo non si ripeterà mai più.
Ecco quel mediometraggio senza destinazione (a stento andò in televisione) aveva tutte le caratteristiche dei video che oggi vanno online (spensieratezza, voglia di imitare modelli alti, cattiva recitazione, un modo di fare furbo, rapido e svelto) e pur mantenendo fede al proposito di fare da veicolo commerciale raccontava una storia che si sporcava le mani con i concetti di creatività, pressione dell’industria discografica e consapevolezza di quel che si crea. Insomma era un racconto vero.

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