Decision To Leave è in realtà il ritorno sotto mentite spoglie di Thirst di Park Chan-wook?

Tutto le ossessioni di Park Chan-wook che esplodono in Decisioni To Leave erano già lì 14 anni fa in Thirst

Critico e giornalista cinematografico


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Decision To Leave è uscito al cinema il 2 febbraio, Thirst è disponibile gratuitamente su Miocinema.it fino al 3 febbraio.

Sono passati 14 anni da Thirst e Decision to Leave, il nuovo film di Park Chan-wook ricomincia proprio da lì, da quella storia di vampiri come nessun’altra, tratta da un romanzo di Emile Zola (una di quelle idee che il mattino dopo non sono poi così brillanti come sembrava e che in pochissimi avrebbero potuto far funzionare), fondata su un triangolo sentimentale e come sempre piena di idee, temi e suggestioni diverse, tutte intorno alle maniere contorte con le quali proviamo dei sentimenti e realizziamo delle aspirazioni. Che poi è anche la storia di Decision To Leave:, molti fatti, molte svolte, molti generi (e un umorismo che esplode a tratti devastante) per affermare quanto sia difficile e contraddittorio cercare una realizzazione sentimentale.

Thirst è la storia di un uomo buono, retto e da una morale forte che fa parte del suo lavoro. È un prete cattolico, un’anima bianca in attesa di corruzione. E il detective integerrimo di Decision To Leave in questo senso non è molto diverso. Il prete è così retto e dedito agli altri da andare a lavorare dove c’è più bisogno e più rischio, in un ospedale che cura infetti di una malattia sanguigna sconosciuta e letale. Ne rimarrà contaminato e, nel tentativo di salvarlo con cure sperimentali, gli inietteranno del sangue contaminato, trasformandolo in un vampiro. Qui invece di iniziare l’inferno per gli altri, cioè le vittime potenziali del vampiro, inizia in realtà la sua odissea nel tradimento.

Tradire la fede facendo quello che era stato stabilito chiaramente essere inaccettabile per il cattolicesimo, cioè aiutare un suicida (così si procura sangue, aiutando chi si vuole suicidare), tradire il suo voto di castità con l’amore per una donna in difficoltà tenuta prigioniera da una famiglia e costretta a sposare un uomo deboluccio e sempre malato e poi ancora tradire la fiducia degli altri per salvare questa donna maltrattata. Tutto per amore e per un’attrazione sessuale a cui è impossibile scappare in questa nuova vita da vampiro, con i sensi sempre al massimo e la fame che pulsa.

La trovata geniale è visiva chiaramente. Il prete che di notte entra ed esce dalle finestre, si muove furtivo e penetra negli ambienti con quell’abito talare nero che lo fa sembrare Nosferatu. Eppure questo non è mai un horror, non ha proprio il senso di tensione e di paura dell’horror. Non c’è niente da temere da questo vampiro bonaccione, terrorizzato all’idea di fare del male davvero a qualcuno e sempre in cerca di un modo per aiutare gli altri. Anche quando decide di commettere un vero omicidio per amore sarà una scena ridicola, presa pari pari da Teresa Raquin, il romanzo di Zola che funziona da canovaccio. Ma in realtà il tono è come spesso avviene in Park Chan-wook una strana forma di noir, la storia di un uomo che in un mondo derelitto viene corrotto dall’attrazione per una donna che lo manipola.

Anche Decision To Leave, nell’anima è un noir, la storia classica di un detective che sì innamora della principale sospettata e di lei che tramite il loro legame cerca di sviare i sospetti. Un noir continuamente stemperato da moltissima commedia che lo alleggerisce e da un romanticismo melodrammatico anche più forte di quello di Thirst, che invece dovrebbe essere più emo e perduto ma in realtà vive di una tensione malata per una donna che sempre di più si rivela terribile, avida di tutto e così maltrattata da aver sviluppato un desiderio di rivalsa meschino.

Riscoprire adesso Thirst è come vedere la stessa storia di Decision To Leave consegnata con tutti altri toni e un altro inquadramento. Eppure Park Chan-wook sempre lì si muove, intorno alla mescolanza continua dei generi, non tanto nel film in generale quanto nelle singole scene. Salta tra un genere e l’altro di continuo fino a spiazzare, sfrutta i capisaldi (la fuga dalla luce del sole per i vampiri o gli interrogatori e la caccia ai criminali nella detective story) e poi gli indizi visivi più smaccati (la pelle emaciata e il mantello nero per i vampiri, le scene di deduzione per il detective) anche se le scene più memorabili appartengono tutte ad un altro mondo, quello della commedia, quello del romanticismo, quello del noir o quello del dramma letterario.

Esiste in Thirst un senso profondo di stordimento di fronte alla mescolanza che non si trova in altri film eccezionali del regista. Non nella trilogia della vendetta (molto più coerente nel suo saltare tra stili) e non in Mademoiselle o Stoker (più decisi su un genere solo). Quello stesso senso fa capolino in questa storia di insonnia e detection, lo stordimento di fronte ad una trama che non procede come ci aspettiamo, che non compie il giro di boa dove dovrebbe né ha le sue svolte nel momento in cui penseremmo, eppure tiene avvinti in modi che per forza sono solo suoi. La porta di ingresso per Decision To Leave.

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