The Walking Dead: fumetti, serie TV o videogiochi che siano, il punto centrale resta l’essere umano

A poche settimane dalla pubblicazione di The Final Season, un’analisi su cosa sia realmente The Walking Dead

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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C’è un dettaglio, spesso ignorato e sconosciuto persino ai fan della prima ora, che chiarisce, esplicita e definisce l’iter, l’esperienza, la filosofia di fondo del brand di The Walking Dead attraverso le sue varie incarnazioni. Fumetto, serie TV e videogiochi sono declinati, piegati, influenzati da una tematica comune, vecchia almeno quanto la presenza stessa degli zombie nell’immaginario degli artisti, dei creativi e dei registi che hanno voluto utilizzarli per lanciare un messaggio, oltre che per mostrare scene gore e cariche di tensione.

L’intento di Robert Kirkman, padre del marchio, era ed è quello di parlare dell’essere umano, mettendone in mostra i suoi aspetti peggiori, sottolineandone la naturale tendenza alla crudeltà, all’egoismo, alla violenza e prevaricazione. Per farlo ha architettato e costruito un gigantesco esperimento sociale, su scala mondiale, utilizzando come variabile (impazzita) i non-morti, fattori (semi)senzienti che causano l’abbattimento della civiltà, l’estinzione di ogni convenzione, l’abolizione di qualsiasi legge.

[caption id="attachment_187588" align="aligncenter" width="1000"]The Walking Dead screenshot Da fragile sopravvissuta, Clementine è diventata una donna pronta a tutto pur di proteggere chi ama[/caption]

Gli zombi, in breve, servono solo a restituire all’umanità il libero arbitrio, una responsabilità consegnata alla nostra specie in forma pura, tutt’altro che influenzata da questioni religiose, economiche, politiche. L’individuo diventa diretto responsabile delle sue azioni, che deve scegliere, di volta in volta, a quale sistema di valori fare riferimento. Non ci sono divinità onniveggenti, né uomini di legge con poteri coercitivi, Kirkman ci presenta un’umanità feroce e sanguinaria proprio perché svincolata da qualsiasi obbligo.

I non-morti si tramutano in una sorta di doppio, di immagine riflessa di un’umanità abbruttita, deturpata, putrefatta, per l’appunto. Le creature che Rick Grimes e compagnia bella combattono con tanto fervore, non sono altro che metafore, alter ego di loro stessi, un’attualizzazione dei loro istinti più bassi, destinati prima o poi ad esternarsi in un modo o nell’altro."The Walking Dead è proprio questo, una raffinata indagine, pessimistica ovviamente, sulla moralità della nostra specie"

The Walking Dead è proprio questo, una raffinata indagine, pessimistica ovviamente, sulla moralità della nostra specie. Tuttavia, laddove George Romero ne La Notte Dei Morti Viventi, effettuando la medesima operazione di critica, preferiva che fossero le allegorie, le immagini a sviluppare il concetto, Kirkman si affida ai dialoghi, alle relazioni che lentamente si creano (e si distruggono) tra i vari personaggi che si alternano in scena.

Come abbiamo avuto modo di apprezzare nel corso degli anni, è un meccanismo che funziona benissimo nei fumetti. Le conversazioni tra i superstiti ci permettono di scoprire di più sul loro passato, sulla situazione degli altri accampamenti, sui primi, drammatici, giorni che hanno visto il crollo della civiltà, sulle cause, tutt’ora sconosciute, che hanno permesso il propagarsi dell’infezione.

A rendere il tutto più emozionante, eccitante ed imprevedibile, ci pensano ovviamente le scene più movimentate, spesso fonte di inaspettati colpi di scena, quando non di dolorose dipartite.

Questo equilibrio, come ben sappiamo purtroppo, non è stato raggiunto con la stessa efficacia nella serie TV, che pur di rincorrere il principio su cui si basa The Walking Dead ha sacrificato fin troppo in termini di varietà ed azione, consegnandoci qualcosa che si avvicina più ad una soap-opera, che non ad un horror dalle tinte gore.

Al di là delle critiche e degli apprezzamenti personali, va riconosciuto l’assoluto rispetto per i dettami imposti da Kirkman, leggi e regole auree, ipotizziamo, che avranno anche aiutato la produzione a contenere i già alti costi sostenuti in ogni stagione.

In questo senso, i videogiochi sviluppati da Telltale Games rappresentano il perfetto punto d’incontro tra l’armonia strutturale dei fumetti e l’impatto visivo che, pur raramente, la serie TV sa regalare. Il raccordo con le altre manifestazioni del brand è sempre quello: l’uomo, la scoperta dei limiti morali, la messa a nudo dei suoi punti di rottura.

Telltale Games, grazie alle caratteristiche uniche del medium videoludico, l’interazione su tutte, ribalta completamente il campo d’indagine, sposandolo dai personaggi che si alternano sullo schermo, all’utente stesso. Oltre a muoverli in mondi virtuali, il videogiocatore ha infatti il dovere di prendere delle scelte in momenti particolari della storia, scelte che non avranno solo ripercussioni istantanee, ma che influenzano pesantemente il corso degli eventi. La sopravvivenza di un alleato dipenderà spesso e volentieri da voi, dalle vostre necessità, dal vostro codice morale. Chi è solito affezionarsi ai propri beniamini sarà meno incline a fargli correre dei rischi, al contrario potreste mandarli allo sbaraglio pur di garantirvi maggiori risorse o una via di fuga più sicura.

Come nella vita, tuttavia, spesso non si possono conoscere tutte le conseguenze delle proprie azioni. Scaturiscono così i principali colpi di scena, e i momenti più struggenti, a cui ci hanno abituato le buone, quando non ottime, tre stagioni dedicate a The Walking Dead.

[caption id="attachment_187587" align="aligncenter" width="1000"]The Walking Dead screenshot Il toto scommesse su quale volto noto ai fan vedremo ricomparire in The Final Season è ancora aperto. Voi chi vorreste rivedere?[/caption]

Difficile prevedere se con The Final Season, prevista per il prossimo agosto, la serie di Telltale Games si concluderà realmente, resistendo anche all’idea di dedicare qualche spin-off ad alcuni dei personaggi più amati. Ciò che è certo è che nonostante una seconda stagione non irresistibile, il livello qualitativo medio si attesta ben sopra il par, grazie soprattutto ad una sceneggiatura curatissima, capace di tratteggiare personaggi sfaccettati e di investire l’utente con una lunga serie di sconvolgenti colpi di scena.

La speranza è che anche in quest’ultima stagione le cose proseguano su questo sentiero, mostrandoci finalmente la definitiva maturazione di Clementine, vero protagonista di The Walking Dead in salsa videoludica. Fin’ora l’analisi antropologica effettuata sul suo personaggio, e di conseguenza sul videogiocatore, ha prodotto ottimi ed interessanti risultati.

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