The Visit, quando M. Night Shyamalan tornò tra noi
The Visit è un ritorno in grande stile (e pochissimi soldi) per M. Night Shyamalan dopo i flop di L’ultimo dominatore dell’aria e After Earth
Fino al 2015, la carriera di M. Night Shyamalan è stata determinata da una regola non scritta (questa è una delle tante variazioni) che prevedeva che con ogni nuovo film il regista nato in India perdesse una fetta consistente di approvazione di pubblico e critica. Un corollario meno discusso ma altrettanto importante di questa regola dice che fino al 2015 i film di Shyamalan sono andati peggiorando con il crescere del budget a disposizione: Il sesto senso, ancora oggi il suo film più famoso e amato, costò 40 milioni di dollari e ne incassò quasi 700, mentre After Earth, probabilmente la sua opera più insalvabile, ne guadagnò 240 a fronte di un budget di 130. The Visit, uscito proprio nel 2015, è la prova che la regola della parabola discendente di Shyamalan si può anche infrangere, nonché la dimostrazione che il nostro lavora meglio quando ha pochi soldi a disposizione e deve quindi affidarsi alle idee.
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The Visit: le persone anziane sono strane
Finanziato di tasca sua con appena 5 milioni di dollari, e successivamente preso in carica da Jason Blum e dalla sua Blumhouse che si occupò della distribuzione, The Visit è un thriller che sarebbe potuto essere una commedia o un film sperimentale, stando a quanto raccontò all’epoca lo stesso Shyamalan. Si basa su un’idea molto semplice e un po’ crudele: quando hai 13 anni o giù di lì, le persone anziane ti sembrano strane; sempre, invariabilmente, non importa se sono tuo nonno o la vecchietta che passeggia sempre davanti alla tua scuola: superata una certa età il corpo umano comincia a comportarsi in modi imprevedibili e spesso umilianti, e difficili da capire se hai l’invece l’età in cui ogni singola parte di te funziona alla perfezione.
The Visit: queste persone anziane sono particolarmente strane
Ovviamente, visto che stiamo parlando di Shyamalan, lo stesso che fece un film nel quale il protagonista muore nella prima scena e noi lo scopriamo solo nell’ultima, la situazione si fa più complicata e misteriosa di una semplice vacanza in famiglia. Per quanto apparentemente adorabili e amorevoli, i nonni si lasciano andare qui e là a comportamenti bizzarri – il nonno si veste in ghingheri per andare a una festa che non esiste, la nonna si aggira nuda per casa e prende a testate le porte –, che turbano Rebecca e Taylor ma che vengono puntualmente giustificati e derubricati dalla madre (che non è con loro, ma con la quale sono spesso in contatto via Skype) a “cose normali che succedono quando invecchi”.
Dovrebbe ora esservi più chiaro perché Shyamalan dice che The Visit poteva essere una commedia come un film sperimentale; da un lato ci sono quelle che sembrano simpatiche follie dei due nonni, che sono il motore di diverse sequenze nelle quali si ride anche di gusto, dall’altro c’è il racconto di un’incomunicabilità generazionale multipla, con due anziani che non riescono a entrare in contatto con i nipoti ritrovati e che vivono nell’imbarazzo legato ai limiti del loro corpo, e due giovani che capiscono che c’è qualcosa che non va ma non riescono a farsi prendere sul serio (e forse neanche a prendersi sul serio da soli) e si vedono quindi quasi costretti ad accettare le rassicurazioni dell’adulta di turno sul fatto che tutto quello che sta succedendo è perfettamente normale.
Found footage e dintorni
Ovviamente non lo è, anche perché, nel dubbio, Shyamalan ha deciso di non seguire nessuna delle due strade, ma di imboccarne una terza, e di trasformare The Visit in un horror fatto e finito – un genere con il quale il regista ha sempre flirtato prendendone a prestito tematiche e anche linguaggio, ma con il quale non si era mai davvero cimentato prima del 2015. E siccome il budget era basso, e a Shyamalan piace parlare di cinema quando fa cinema, ecco l’idea geniale che imposta il tono di tutto il progetto: The Visit è un meta-film, perché Rebecca, aspirante regista, parte per la vacanza armata di macchina da presa, intenzionata a girare un documentario-verità sulla sua esperienza e sui suoi nonni ritrovati. E siccome per una volta sorella e fratello non si odiano ma sono anzi grandi amici, anche Taylor decide di partecipare al progetto e di riprendere tutto quello che può: in questo modo Shyamalan ha a disposizione due punti di vista, che gli permettono di usare tutta una serie di trucchi di messa in scena senza mai uscire dalla finzione del “quello che state vedendo è il girato di Rebecca e Taylor”.
Trasformare i due protagonisti in altrettante unità di ripresa consente per esempio di seguire l’azione in due luoghi diversi contemporaneamente, o di usare tecniche da cinema classico tipo il campo-controcampo nei dialoghi senza rovinare la grammatica da found footage del film. In più, Rebecca è un’intellettuale cinefila e classicista, che considera la messa in scena fondamentale anche in un documentario amatoriale: in questo modo Shyamalan usa la caratterizzazione di un personaggio per giustificare certe inquadrature troppo belle e ben costruite per poter passare per spontanee – e si evita anche di girare un intero film con camera a mano traballante alla Blair Witch, che avrebbe rovinato l’impianto quasi teatrale di The Visit.
Il found footage (che tanto found non è, visto che non è mai stato lost prima, e forse “mockumentary” sarebbe il termine più adatto in questo caso) è la scorciatoia verso il terrore: vediamo solo quello che vedono Rebecca e Taylor, e non sappiamo mai nulla di più di quello che sanno loro. Che è il motivo per cui funzionavano i twist dei film precedenti di Shyamalan e il motivo per cui quello di The Visit colpisce particolarmente duro: invece di arrivare sul finale, costringendo chi guarda a mettere in pausa e rivalutare tutto quanto visto fin lì, M. Night se lo gioca alla fine del secondo atto, una rivelazione che trasfigura completamente il terzo e trasforma il film in quell’horror che fino a lì aveva solo promesso di essere – è la parte in cui si smette di ridacchiare un po’ a disagio e ci si aggrappa ai braccioli della poltrona/divano/sedia/pezzo di mobilio, ed è lunga e angosciante, e le ultime sequenze una liberazione. Nonché una promessa mantenuta: “sono tornato” diceva M. Night Shyamalan.
A giudicare dai successivi Split e Glass, faceva sul serio.