The Suicide Squad, anche Stallone ha il suo Groot

The Suicide Squad è uno dei migliori film di “supereroi” di sempre, ed è anche l’occasione per Sly di superare Vin Diesel

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Questo speciale su The Suicide Squad fa parte della rubrica Tutto quello che so sulla vita l’ho imparato da Sylvester Stallone.

Parlare di The Suicide Squad nell’ambito di una rubrica su Sylvester Stallone è come parlare di cene di pesce nell’ambito di una rubrica sul limone: certo il limone rende migliore la frittura, e si potrebbe anche sostenere che senza di esso la cena non sarebbe la stessa, ma è chiaro che non è il piatto principale; è un optional di lusso, senza il quale il pasto (o il film, ci siamo persi nella metafora culinaria) peggiorerebbe ma non crollerebbe miseramente. Questo per dire che il punto di The Suicide Squad non è, chiaramente, Nanaue. Ma il fatto che il re degli squali faccia parte della squadra la migliora; e soprattutto, il personaggio è l’occasione perfetta, per Sylvester Stallone, per provare a superare uno dei suoi allievi, cioè Vin Diesel.

In realtà non vorremmo trasformare tutto il pezzo in una diatriba sull’argomento “è meglio Groot o Nanaue?” – solo mettere in evidenza le somiglianze tra i due personaggi. Entrambi sono doppiati da un attore action con un curriculum lungo così, entrambi si esprimono con poche, selezionate parole (seppure il personaggio di Sly abbia un vocabolario più ampio di quello usato da Vin Diesel), ed entrambi fungono contemporaneamente da comic relief e da sfogo emotivo un po’ a sorpresa: Groot è protagonista di alcune delle scene più strappalacrime dell’intero universo cinematografico Marvel, e a Nanaue vengono riservati momenti di dolcezza particolarmente rari, e quindi ancora più preziosi, in un film cinico e scanzonato come The Suicide Squad.

Dopodiché, il confronto potrebbe finire qui, se non altro perché la squadra dei Guardiani è una Famiglia (come poteva essere altrimenti, essendoci Vin Diesel) mentre quella del film di James Gunn è la classica accozzaglia di gente messa insieme contro la propria volontà e costretta dalle circostanze a collaborare. Resta il fatto che entrambi i personaggi sono un mezzo miracolo di Stallone e Diesel, costretti a tirare fuori il meglio da un repertorio limitato di battute e senza neanche il supporto della mimica facciale e corporea.

Come dicevamo, però, il punto di The Suicide Squad non è ovviamente Nanaue, ma più in generale la formazione di rapporti tra personaggi con apparentemente poco da spartire che scoprono di avere traumi in comune e li usano come collante per ricostruire una parvenza di famiglia, per quanto temporanea. Quello che sorprende è la facilità con cui Gunn riesce a trasportare questi temi, già esplorati in un contesto più educato come quello dei Guardiani della galassia, in un film per il quale lo stesso regista ha combattuto per farlo uscire rated R. Sarebbe stato facile puntare tutto sul gore e sulle battutacce e mantenere i rapporti tra i membri della squadra a un livello superficiale e utile solo come motore di ulteriori gag.

Invece Gunn, che pure ha cominciato con la Troma, è riuscito nel mezzo miracolo di fare di The Suicide Squad un film scemo, sì, ma non stupido. Una sequela di gag e battute quasi inarrestabile – e (lasciatecelo dire) di qualità superiore alla maggior parte di quelle elaborate dalla Marvel negli ultimi tot film – e di teste che esplodono e budella che sventolano, con scene di tortura e momenti di crudeltà purissima, che però trova anche il tempo e il modo di farti affezionare ai personaggi, di farteli conoscere al di là del loro superpotere e del loro trauma. Un esempio clamoroso è il fatto che il Bloodsport di Idris Elba abbia paura dei ratti, e nella squadra ci sia la Ratcatcher di Daniela Melchior (forse il vero cuore pulsante di tutto il film). È una scelta strategica stupidissima e che infatti diventa bersaglio di un paio di gag, ma riesce anche, scena dopo scena, a diventare il simbolo della distanza che separa il cecchino dal resto del mondo, e prima di tutto da sua figlia; un arco che ha una risoluzione quasi disneyiana, ma che riesce comunque a non risultare fuori posto perché è stata guadagnata (a differenza, per fare un esempio a caso, del rapporto tra Will Smith e sua figlia nel Suicide Squad di David Ayer, del quale avevamo parlato tra l’altro qui).

Capirete che di fronte a tutti questi spunti (e ancora abbiamo solo scalfito la superficie di un oceano parecchio profondo), la presenza di Sly in The Suicide Squad passa un po’ in secondo piano, anche perché non vedendo la sua faccia è facile dimenticarsene, e farlo assorbire interamente dal suo personaggio, la cui personalità è data in buona parte dalla sua fisicità. È innegabile, però, che Stallone ci metta del suo, anche solo in virtù del fatto che la sua voce è inconfondibile, non importa quanto provi a camuffarla rendendola goffamente buffa (o buffamente goffa).

Al momento non sappiamo se Nanaue avrà un futuro – o meglio, sappiamo che non ce l’avrà perché il sequel di The Suicide Squad è stato cancellato, ma ora che Gunn è diventato il plenipotenziario di DC chissà che non possa riservarci in futuro qualche piacevole sorpresa. Di sicuro resta uno dei ruoli più bizzarri e anche casuali della carriera di Stallone, uno di quelli riusciti meglio e soprattutto uno dei suoi flop più ingiusti (anche se non del tutto ingiustificati, visto che uscì al cinema in un momento, diciamo così, non felicissimo).

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