The Social Network: è arrivato il momento di un sequel?
Dieci anni fa uscì The Social Network di David Fincher, e Facebook aveva 600 milioni di utenti. Oggi ne ha quasi tre miliardi: è l’ora di un sequel?
LEGGI ANCHE: The Social Network: Aaron Sorkin lavorerebbe al sequel a una condizione
LEGGI ANCHE: The Social Network, 10 anni fa David Fincher andava “il più vicino possibile ad un film di John Hughes”
The Social Network dieci anni fa
Il film di Fincher (qui la nostra recensione) contribuì in maniera decisiva a costruirne la mitologia: scegliendo di concentrarsi sui protagonisti e non sullo strumento, The Social Network ci spiegò come funzionano le cose in una Silicon Valley che tra tradimenti, voltafaccia e pugnalate alle spalle pareva Westeros, e soprattutto elevò la figura di Mark Zuckerberg da semplice umano a “uno degli artefici dei nostri tempi”. È da dieci anni che vediamo Zuckerberg come il paradigma di una persona che è arrivata in cima grazie al suo intuito e alla mancanza di scrupoli, il modello di imprenditore senz’anima che finge di voler cambiare il mondo quando in realtà pensa solo al suo conto in banca.
The Social Network: che fine hanno fatto
La prima cosa da fare se dobbiamo discutere di un sequel è parlare dei protagonisti: oltre a Mark Zuckerberg, The Social Network ha consegnato agli annali del cinema anche altri nomi, e se non seguite le vicende della Silicon Valley è lecito che non sappiate che fine hanno fatto. Ebbene:
Eduardo Saverin (Andrew Garfield) ha avuto un decennio intenso. Nel 2010 ha fondato la charity Aporta, nel 2011 ha rinunciato alla cittadinanza americana per non pagare circa 700 milioni di dollari di tasse (anche se lui dice che è perché voleva vivere a Singapore), e nel 2015 con la neonata B Capital ha cominciato a investire qui e là nel sudest asiatico e in India.
Dopo Facebook, Sean Parker (Justin Timberlake) ha lavorato per qualche anno insieme a Peter Thiel, il volto ufficiale del trumpismo nella Silicon Valley, prima di mettersi in proprio e aprire tra l’altro una “piattaforma di impegno civico” chiamata Brigade. In quanto investitore seriale ha contribuito tra l’altro all’esplosione di Spotify.
I gemelli Winklewoss (Armie Hammer) hanno fondato il fondo d’investimento Winklevoss Capital Management e più in generale puntato tutto sulle criptovalute.
Divya Narendra (Max Minghella) ha creato una community online per professionisti dell’investimento chiamata SumZero.
Dustin Moskovitz (Joseph Mazzello), il più giovane “self-made billionaire” della storia del pianeta, ha mollato Facebook anche prima dell’uscita di The Social Network per creare Asana, un applicativo che gestisce un sacco di cose utilissime per un’azienda con nomi altisonanti tipo project management, il task management, il productivity management e la team collaboration. Nel 2016 donò 20 milioni di dollari alla campagna Clinton, che lo resero il terzo donatore più generoso d’America.
Da Facebook a The Wolf of Wall Street?
Magari vi è sfuggito il fil rouge che unisce le vite di tutti coloro che abbiamo citato nel paragrafo precedente; niente paura, riassumiamo noi: i giovani rampanti di The Social Network sono diventati investitori seriali quarantenni, e hanno dedicato gli ultimi dieci anni alla ricerca della startup perfetta nella quale investire milioni e milioni di dollari. Un sequel di The Social Network che si concentrasse sugli stessi personaggi assomiglierebbe più che altro a un remake di The Wolf of Wall Street, magari con meno feste in ufficio e meno droghe pesanti (sostituite da smart drugs e altre sostanze nootrope), ma senza nulla dell’ingenuità e dell’energia del film di Fincher – niente jeans e maglietta e notti insonni, al loro posto completi firmati stirati di fresco e riunioni in grossi saloni al ventesimo piano con le pareti di vetro e un immenso tavolo ovale al centro.
C’è poi quell’altro elefante nella stanza il cui nome di battesimo è Mark. Lo Zuckerberg di Fincher c’entra poco o nulla con quello che è diventato oggi il fondatore di Facebook, un uomo accusato da più parti di essere il principale artefice dello sgretolamento delle fondamenta delle democrazie occidentali, uno che ha cominciato rubacchiando idee altrui e che ora si ritrova con regolarità seduto di fronte al Senato americano a dover rispondere delle azioni della sua azienda. Gli ultimi dieci anni di vita di Mark Zuckerberg sono stati intensissimi, materiale per biografie, interviste, analisi, saggi, studi accademici; ma sono stati dieci anni vissuti prevalentemente sulla difensiva, nel tentativo di tenere a bada la crescita incontrollabile della sua creatura. Dieci anni che erano cominciati con progetti filantropici incredibili tipo Internet.org e che sono degenerati in damage control costante: probabilmente non c’è nessuno al mondo che odia la parola “fake news” più di Mark Zuckerberg, e se considerate che questo è il riassunto migliore del suo ultimo decennio capirete perché il materiale per un sequel all’altezza del primo film scarseggia.
Ma Sorkin ha detto...
C’è però l’altra faccia della medaglia: è vero che The Social Network parlava di Zuckerberg più che di Facebook, ed è vero che di cose nuove e interessanti su Zuckerberg da raccontare in un film ce ne sono pochissime. Ma è anche vero che di cose nuove e interessanti su Facebook ce ne sono a bizzeffe, e che l’argomento sia caldo anche per il pubblico lo dimostra per esempio il recente successo di The Social Dilemma (un film che non a caso ha scatenato la risposta proprio di Facebook). Forse è questa la soluzione per un eventuale sequel di The Social Network: dimenticarsi di Zuckerberg e concentrarsi sulla sua piattaforma, raccontando quello che le è successo negli ultimi dieci anni.
In fondo Aaron Sorkin l’ha detto chiaramente: io lavoro volentieri a un sequel, ma solo se lo dirige ancora David Fincher. E chi meglio di lui per girare un techno thriller che parla di sorveglianza, paranoia, notizie false, hacker, potenze straniere e il governo degli Stati Uniti d’America? The Social Network era insieme un manifesto di, e una denuncia verso, la generazione di Zuckerberg, gli startupper da Silicon Valley che con le loro invenzioni hanno plasmato il mondo negli ultimi trent’anni; un sequel potrebbe essere l’occasione per aggiornare quel manifesto, e vedere a che punto siamo.