The Room non è (solo) un film brutto
The Room è brutto, molto brutto, forse uno dei film più brutti di sempre, ma descriverlo solo così è limitante
Ross Morin, docente di film studies alla St. Cloud University of Minnesota e premiato regista, passerà alla storia per un altro motivo: fu lui, nel 2008, a descrivere per la prima volta The Room di Tommy Wiseau come “il Quarto potere dei film brutti”. E anche se non avete mai visto The Room avete capito di cosa stiamo parlando. È uno dei film più famosi della storia del cinema, e sicuramente quello con la proporzione tra “gente che l’ha visto” e “gente che sa di cosa si tratta” più clamorosamente sbilanciata verso la seconda metà dell’equazione. Lo trovate in ogni classifica possibile di “film brutti” o “film peggiori della storia del cinema”, spesso al primo posto, e non solo su siti di listicle di dubbia qualità: The Room è entrato a gamba tesa nel mainstream (anche grazie a James Franco), e anche le riviste più pop e quelle più paludate e criticamente ineccepibili lo usano come irrinunciabile pietra di paragone di tutto quello che non bisogna fare con un film. Eppure descrivere The Room solo come “un film brutto” non rende giustizia, secondo noi, a questo esperimento unico; fallito, ma unico.
E infatti i suoi film, per quanto brutti, sono diventati dei cult, e si sono stampati nell’immaginario collettivo. Prendete un altro caso clamoroso di “film brutto” che è stato venduto proprio in quanto tale: Birdemic, un progetto costruito a tavolino da gente che ha visto tantissimi film brutti nella propria vita ed è riuscita a individuare quegli elementi chiave che identificano immediatamente un’opera in quanto tale, e ha sfruttato questa conoscenza per girare un film volutamente brutto, costruito in laboratorio per essere brutto, e quindi privo di ogni forma di spontaneità. Oggi di Birdemic ricordiamo solo il titolo, e quei dieci minuti durante i quali ci sembrò una buona idea.
The Room rientra decisamente nella categoria dei film brutti giusti, perché Tommy Wiseau non l’ha scritto e poi girato perché fosse brutto, ma anzi perché fosse il suo capolavoro, l’opera che gli avrebbe permesso di farsi notare a Hollywood e svoltare definitivamente una carriera che fin lì era stata più che altro misteriosa. Si scriverà ancora per anni dei soldi che Wiseau trovava chissà dove e che spese per assecondare una serie di ubbie creative perfettamente inutili: set ricostruiti da zero e usati al posto di location perfettamente adeguate e già pronte, attrici licenziate senza motivo apparente, un intero film girato sia su pellicola sia in digitale grazie a un rig creato appositamente dallo stesso Wiseau che poi finì per usare solo le riprese in 35mm buttando quindi via ore di girato digitale…
Il punto è che niente di tutto questo era una gag, non c’era niente di costruito o di spettacolarizzato per avere materiale succoso con il quale promuovere il film. Tommy Wiseau era un entusiasta, un autodidatta e anche un testardo, convinto (come Uwe Boll) che la sua visione fosse unica, originale e soprattutto intoccabile – che stesse a lui e solo a lui decidere se e come rigirare una scena. Che tutta la gente che era sul set e che non era lui non capisse davvero che cosa dovesse essere The Room, e che solo lui potesse dare al film la direzione che nella sua testa era così chiara, limpida e soprattutto magnifica. The Room non è solo brutto perché The Room è spontaneo, è il frutto quasi intatto di una mente visionaria e arrogante, e con un cattivo gusto cinematografico che si è visto raramente nella storia del medium.
Conoscete il catalogo della Asylum? Guardare i vari Mega Shark vs. Giant Octopus è l’equivalente di sedersi intorno a un tavolo con tante birre e tanti amici e rimbalzarsi idee assurde su film altrettanto assurdi; è qualcosa che si guarda perché è divertente trastullarsi con l’idea, più di quanto lo sia guardare il film stesso (che in quanto studiatamente brutto è, quasi sempre, brutto e basta). Guardare The Room è come assistere a un incidente in diretta, in slow motion e molto da vicino. Non c’è alcuna rottura della quarta parete, nessun ammiccamento dell’autore verso il pubblico: è un dramma romantico a tinte thriller che vuole affrontare la materia con tutta la serietà che richiede, non concede nulla all’autoironia o al postmodernismo.
Ed è per questo che The Room non è solo “un film brutto”: perché la definizione ormai si è allargata, e ha cominciato ad abbracciare prodotti che fanno della bruttezza un valore estetico studiato e costruito, non un accidente dovuto alla genuina incompetenza del suo autore. O in altre parole: Tommy Wiseau non ha girato The Room pensando di girare un film brutto. L’ha fatto pensando di girare un capolavoro, solo che non aveva il talento per farlo, solo la dedizione e ovviamente i soldi. E il risultato è quindi un film genuinamente brutto e fatto male, che diventa ancora più inaccettabile nel momento in cui lo si guarda pensando che Wiseau era convinto di stare facendo grande cinema.
Spesso, guardando un “film brutto”, è difficile mantenere alta l’attenzione per più di dieci minuti alla volta; ci si distrae quando non succede nulla, ci si concentra quando compare un brutto mostro in CGI, poi si torna a pensare ad altro, e così via, in loop. Al contrario, staccare gli occhi da The Room è impossibile, perché è un film convinto di quello che fa, un film sinceramente brutto – e la sincerità fa tanto, soprattutto quando manca tutto il resto.