The Room non è il film più brutto di sempre. Una critica ragionata

Le soluzioni ridicole, la recitazione terribile, i dialoghi assurdi e il punto di vista da adolescente, tutto in The Room è risibile ma, se non altro, vitale e personale

Critico e giornalista cinematografico


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The Room non è un film veramente brutto, è semmai un film pieno di errori.

Forse è uno dei film non amatoriali (perché prodotto e distribuito in sala, realizzato con maestranze professioniste e ad un budget serio) con più errori mai realizzato, motivo per il quale è così facile (e divertente) prenderlo in giro. Ma non è il più brutto di sempre.

Certo abbastanza brutto lo è, soprattutto recitato molto male e fotografato con una dozzinale faciloneria, senza nessuna idea ma semplicemente illuminando chi parla. Eppure la storia, nella sua goffa scrittura da dodicenne e tra le pieghe delle mille cretinerie, ha una sua autenticità.

The Room racconta di un uomo convinto di vivere un idillio sentimentale con la propria fidanzata (tutto rose e regalini) la quale in realtà non solo ha una storia parallela con un altro ma gli mente non appena può, causando sistematicamente la sua infelicità. Intorno a loro si muovono amici, parenti e conoscenti, che compatiscono il protagonista e biasimano la fidanzata. Difficile riuscire a dire di più, perché una delle caratteristiche del film di Wiseau è che esiste solo il suo personaggio, gli altri hanno senso unicamente in funzione sua e la sua evoluzione non esiste: macera nella propria convinzione di una bella storia d’amore mentre in realtà non è così, fino al tragico finale.

Qui però è subito chiara una cosa, cioè che a differenza di tanti film fatti senza un vero perché, per compiacere qualcun altro, per convenienza, per raggiungere un successo cavalcando elementi di moda o per sfruttare un talent famoso (solo per rimanere in Italia si pensi ai recenti Game Therapy o agli storici Troppo Belli e Alex L’Ariete, film che non esprimono la personalità di nessuno), vedendo The Room si ha la netta impressione di aver capito benissimo cosa ci sia dietro questa storia, quali pulsioni e quali frustrazioni. Che è ben più di “qualcosa”, significa aver fatto di un’opera, brutta, un volano per i propri sentimenti. Non è 0 insomma, ma almeno arriva ad 1.

Come in preda ad un delirio vanitoso adolescenziale, Tommy Wiseau ha scritto una storia da cui il suo personaggio esce immacolato, vittima delle donne, pronto a dare affetto ma a qualcuno che non fa che farlo soffrire e senza ragioni, per il piacere di farlo. Il genere di pensiero perverso che può animare una mente vittimista o una troppo giovane per aver capito come funzionino le relazioni. Ma la grande immaturità filmica sta nel voler imporre tutto ciò al pubblico invece di suggerirlo, volergli imporre cioè cosa pensare di ogni personaggio, scorciatoia che in The Room è così macroscopica e goffa da diventare grottesca ma che si trova in tantissimo cinema più professionale e privo di errori.

Un intreccio vero e proprio ad ogni modo non esiste, lo stesso c’è una grande ambizione di mescolare i toni che genera mostri come le musiche R&B che partono a razzo sulla scena di bacio sulla scala a chiocciola o il ragazzo che piomba sul letto dei due amanti per fare a cuscinate. Se tuttavia fossero solo questi i problemi, qualsiasi film-italiano-da-1-giorno-in-sala batterebbe The Room quanto a bruttezza. Invece il segreto della forza infernale di questo film sta nella follia dei dialoghi.
Tutti salutano tutti continuamente e inspiegabilmente, tutti giocano a football senza un vero motivo (e senza saper giocare), tutti si spostano sul tetto a parlare come in una piece teatrale, tutti infine ridono di colpo, soprattutto il protagonista, che segue le frasi dei suoi interlocutori con risate in alcuni casi fuori luogo (la migliore è quella che viene dopo il racconto di un fatto tragico) o con l’ennesima scena madre tempestosa ed intensa, che regolarmente non lo è. La più famosa è quella in cui Wiseau in persona in un delirio di onnipotenza e vanità replica il “You’re tearing me apart” di James Dean in Gioventù Bruciata con forzatissima intensità.

A questo chiaramente va aggiunto il rafforzativo della recitazione stentata, che tuttavia proviene meno dall’essere cattivi attori (anche se Wiseau lo è certamente) e più dal contesto. Su un set del genere infatti è quasi impossibile recitare bene, non c’è un senso, non c’è nessuno che serva le battute, non c’è direzione, non c’è un background dei personaggi e non c’è un carattere, solo cattive battute che sarebbero allucinanti in bocca a chiunque.
Il resto è folklore, condimento buono per un’altra risata come l’uso di un green screen immotivato e costosissimo, alcune scene improvvisamente dotate di prospettive ravvicinate di nuovo fuori tono e finalizzate ad un effetto così evidente da essere infantile, i momenti di sesso sfasati e risibili, le mamme che arrivano e confessano di avere un cancro senza che questo abbia influenza nella trama e molto altro.

Per diventare un film di culto come The Room però serve ancora un’altra caratteristica, quella che anima anche The Lady di Lory Del Santo e che è l’ultima dimostrazione del fatto che The Room non è assolutamente il film peggiore di sempre, cioè occorre avere un certo ritmo e la capacità di non ripetersi. Il brutto di The Room è un brutto sempre diverso.
Il brutto quello vero invece, quello insalvabile dei film terribili, non solo non dice nulla dei suoi autori ma è anche noiosissimo, intollerabile dopo soli 10 minuti, vacuo, impossibile da sostenere, figuriamoci da rivedere! Nemmeno buono per più di una risata perché la stessa stupidaggine annoia alla terza iterazione, invece Tommy Wiseau in ogni scena inventa un cinema diverso, pieno di errori, infantile, puerile e sostanzialmente scemo e sbagliato, ma suo e in un certo senso (perverso di certo) vitale.

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