The Prestige, tutto il meglio e il peggio di Nolan

The Prestige è il film di Christopher Nolan che meglio ne rappresenta la poetica e le ambizioni, ma anche i limiti e i difetti

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The Prestige va in onda su Iris questa sera alle 21:00 e in replica domani alle 16:33

Nella non vastissima ma più che soddisfacente filmografia di Christopher Nolan è difficile trovare veri passi falsi. Ha fatto film controversi e che ancora oggi dividono, ma nessun vero flop riconosciuto – persino quello più facile da attaccare, il terzo Batman, ha comunque schiere di estimatori pronti a difenderlo, e anche chi lo critica più ferocemente non può non riconoscergli almeno qualche merito. C’è sempre qualcosa di interessante nei film di Nolan, un’idea stimolante, magari sviluppata male o più spesso sviluppata in un modo considerato insoddisfacente da chi guarda – uno dei rischi di fare cinema come lo fa lui, puntando anche su sorprese, colpi di scena e ribaltamenti di prospettiva – ma comunque sempre presente: è considerato un regista freddo e impersonale, ma finora deve ancora fare un film di servizio solo per incassare. In questo panorama così ricco, The Prestige spicca per un motivo preciso: forse non è il suo film più bello, di sicuro non è quello che ha avuto più successo, ma è il film da cui partire per capire tutto quello che è venuto dopo.

The Prestige prima di The Prestige

Una sfortunata coincidenza di eventi ci impedisce di cominciare questo paragrafo con una frase tipo “c’è un Nolan pre-Prestige e uno post-Prestige”; questa sfortunata coincidenza si chiama Batman Begins, che non solo è uscito al cinema un anno prima del film con Christian Bale e Hugh Jackman, ma addirittura è il motivo per cui The Prestige è uscito solo nel 2006. Tratto da un romanzo di Christopher Priest, è stato trasformato in sceneggiatura dai fratelli Nolan – l’altro è Jonathan, ovviamente, che negli anni ha smesso di essere “il fratello di Christopher” per diventare “quello di Westworld” – nel corso di cinque lunghi anni: un lavoro iniziato subito dopo Memento e che ha attraversato anche la produzione di Insomnia (unico film di Nolan che non riporta il nome “Nolan” di fianco a “sceneggiatura”) e, soprattutto, il primo passo del regista inglese nel mondo dei grandi, o per lo meno della gente ad altissimo budget.

Batman Begins è stato un punto di svolta per la carriera di Nolan, il trampolino di lancio che gli ha consentito ad arrivare oggi a budget che toccano i 200 milioni di dollari e un chiaro esempio dell’importanza delle priorità in ambito creativo – o detta altrimenti: se ti chiedono di fare un film su Batman e tu intanto stai lavorando a un film su due maghi rivali, il film su due maghi rivali viene temporaneamente messo in ghiaccio perché certi treni passano una volta sola. Begins è una creatura strana nella filmografia di Nolan, diverso dai due film supereroistici che sono seguiti ma anche diverso da tutto il resto della sua produzione: più dritto e focalizzato, più lineare, nasconde a malapena una certa timidezza nell’affrontare un franchise così famoso, delicato e pieno di storia – timidezza che sparirà con Il cavaliere oscuro, ma questo è un altro discorso. Quello che conta è che il progetto Batman Begins arrivò sul piatto dei Nolan mentre stavano lavorando al loro manifesto, che venne temporaneamente messo in pausa e ripreso un anno dopo, diventando il modello per tutte le successive opere di Christopher.

ScarJo

The Prestige e le nolanate belle

Eppure se guardiamo alla carriera di Nolan prescindendo da Batman Begins è chiaro che The Prestige è un punto di svolta, che da un lato contiene tutte le ossessioni tematiche e stilistiche che l’autore aveva già messo in evidenza nei suoi primi lavori, dall’altro dimostra che si tratta di idee perfettamente scalabili e adattabili a budget più alti, contesti più sontuosi e opere anche visivamente più ambiziose – tanto che è uno snodo decisivo anche nella carriera di Wally Pfister, che fino a lì, con l’eccezione di The Italian Job, aveva come Nolan lavorato principalmente a progetti a budget ridotto, e che da allora è andato sempre in crescendo fino al suo (peraltro sfortunatissimo e mediocre) debutto da regista, Transcendence.

Da un lato c’è la passione per il racconto non lineare e la confusione di piani temporali, ma sempre incastonata in una struttura che contiene abbastanza elementi da permettere a chi guarda di non perdersi, ma non abbastanza da svelare tutto e subito: parlando dei suoi film, Christopher Priest, l’autore del romanzo The Prestige, ha detto che Nolan “sta cercando di essere un moderno Kubrick ma farebbe meglio a cercare di essere un moderno Hitchcock”, e per quanto provocatoria l’affermazione ha perfettamente senso. A Nolan piace il mistero, gli piace confondere le acque e fare al suo pubblico quello che il pifferaio di Hamelin faceva con i topi, ma gli piacciono anche i colpi di scena, le spiegazioni fulminanti, le sorprese che rimettono in prospettiva quanto visto fin lì: più che opere simboliche e aperte a diverse interpretazioni, come erano i film più criptici di Kubrick, quelli di Christopher Nolan sono puzzle, qualcosa sì da risolvere ma che contiene in sé tutti i pezzi per arrivare a una soluzione, solo non presentati in maniera lineare. Sono sistemi chiusi, come i migliori gialli di Hitchock appunto, non aperti come le opere di Kubrick. E in The Prestige questa caratteristica è talmente preminente che il film fornisce tutti gli elementi per svelare il mistero fin dalle primissime immagini, quel mare di cappelli a cui si tornerà a pensare, capendolo, più di un’ira dopo.

Bowie

Dall’altro, come dicevamo, The Prestige è un evidente salto di qualità e di scala rispetto alle opere precedenti di Nolan. A partire dal fatto che è il suo primo period piece, e che è quindi necessariamente più costoso in termini di costumi e scenografie, e anche più sfarzoso, perché una volta che ti prendi la briga di ricreare il mondo di due maghi illusionisti alla fine dell’Ottocento, be’, tanto vale farlo bene. Un altro dettaglio apparentemente minore: Following durava 70 minuti, e né MementoInsomnia raggiungevano le due ore; The Prestige tocca i 130 minuti, molti dei quali sono inutili per portare avanti la trama ma necessari per creare atmosfera e facilitare l’immersione. Per la prima volta Nolan si prende del tempo per girare sequenze che non hanno alcuno scopo se non quello di essere gradevoli alla vista, e il risultato è che The Prestige è il primo dei suoi film ad avere un po’ di respiro e di bellezza superflua (e quindi assolutamente necessaria).

E quelle brutte

La storia di Angier e Borden, che non staremo qui a raccontare ma che si riassume in “fanno lo stesso mestiere, si odiano, la loro rivalità rovina la vita a entrambi e alle persone che stanno loro intorno”, ha tanto in comune con quella del Giovane (il protagonista di Following) quanto ne ha con i personaggi di Inception o Tenet; non in termini di contenuti, ma di modalità del racconto: certo, in The Prestige le scatole cinesi non sono rappresentati da tuffi nell’inconscio ma da un paio di diari, e di diari dentro i diari (diariception?), ma l’idea di fondo è la stessa, quella di prendere una storia lineare, spezzettarla, riarrangiarla e presentarla non come un racconto ma come un enigma, stimolando chi guarda a provare a risolverlo in corso d’opera.

Jackman

E proprio questo dettaglio è utile per allungare una mano anche verso chi sostiene che The Prestige sia tutt’altro che un capolavoro. Se è vero infatti che una volta arrivati in fondo alla corsa è tutto molto chiaro, anche le cose che sembravano non avere senso nel corso della visione, è anche vero che alcuni dei trucchetti usati da Nolan per risolvere le situazioni più spinose sembrano, appunto, trucchetti, soluzioni artificiali per uscire da un vicolo cieco (pensate alla facilità con cui al momento giusto spunta dal nulla il deus ex machina sotto forma di sosia di Angier), o ancora peggio risposte valide con il senno di poi, ma impossibili da prevedere perché dipendenti da elementi che il regista ha deciso di nasconderci (il twist finale in particolare viene molto criticato da 15 anni proprio per questo motivo). C’è, in alcuni snodi narrativi di The Prestige, una certa meccanicità che ammazza in parte la sospensione dell’incredulità e ci ricorda che stiamo guardando un film; un difetto che ritornerà in alcuni (non tutti) i film successivi di Nolan, Interstellar su tutti.

C’è ovviamente anche la freddezza di cui lo si accusa da sempre, una sensazione favorita anche da una certa inspiegabile rigidezza sia di Jackman sia di Bale, sicuramente adeguati al ruolo ma soffocati dal macchinario nel quale si muovono; in parte è certamente una richiesta di Nolan, che immaginiamo non avesse voglia di fare un film “di attori”, e in parte è perché i loro personaggi sono definiti esclusivamente dalla reciproca rivalità, e nascondono poco se non nulla sotto questo strato – sono archetipi più che persone. È una scelta, certo, e in un film come The Prestige ha perfettamente senso e funziona; il problema è che da allora è rimasta l’unica scelta di Nolan, che sa fare bene tante cose tra le quali non annoveriamo purtroppo “scrivere personaggi tridimensionali” – ecco perché secondo noi una parte delle critiche rivolte negli anni a The Prestige sono alimentate a senno di poi, e figlie del fatto che nel frattempo Nolan ha fatto altri film e ha dimostrato di avere sempre gli stessi difetti. Capita, è uno dei rischi che si corrono facendo un film che è anche un manifesto artistico e tematico, e che contiene tutto quello che serve per capire il resto di una carriera. Come The Prestige, appunto.

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