The Miracle Club: l’ultima prova di Maggie Smith ha dentro tantissimo di Maggie Smith

Il rigore con cui Maggie Smith ha costruito nell'ultima parte della sua carriera il suo personaggio "tipo", per poi renderlo complesso ed emozionante, non si vede solo in Harry Potter o Downton Abbey, ma è presente anche in piccoli film come The Miracle Club

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Agli attori molto anziani deve piacere un sacco fare cinema. Altrimenti perché lo farebbero? Oppure arrivati a un certo punto della carriera continuano perché hanno qualcosa da dire. Una missione artistica. Non è mai riuscita a ingannare nessuno Maggie Smith: dai ruoli cinici e imbronciati dell'ultima parte della sua carriera, nelle battute sarcastiche e negli sguardi severi, emergeva sempre una sottile gioia di fare cinema. Era quella di un’attrice instancabile anche dentro set complicati (da Harry Potter a Downton Abbey). Un volto che più invecchiava, più diventava personaggio. Un corpo prestato più alla vecchiaia che alla giovinezza, con la sua forma magra e nervosa, gli occhi penetranti a esprimere un senso interiore di giustizia e rettitudine. Eppure Maggie Smith non è mai stata vittima del carattere tipo, non è mai stata solo un cliché. I suoi personaggi, simili per temperamento di film in film sono stati plasmati di volta in volta dall’attrice. Piccoli ritocchi che, sommati, le hanno fatto guadagnare una profondità umana peculiare e irripetibile. In The Miracle Club c’è l’ultimo ruolo cinematografico di Maggie Smith. È uno che ne può riassumere molti. 

The Miracle Club di Thaddeus O’Sullivan è un film strano. Uno dei rari film in cui lo stile visivo non corrisponde a quello che sarebbe logico adottare per raggiungere il proprio proposito. In apparenza è una commedia solare, di vecchiette che vincono un viaggio a Lourdes e ci vanno nella speranza di un miracolo. I toni della fotografia sono ovviamente pastello, la musica gradevole, ma ingombrante, la recitazione sopra le righe e l’umorismo viene ovviamente dagli scambi dei dialoghi litigiosi. Eppure il film parla di altro. È tutt’altro che superficiale. Laddove la religione sembra contenere il più schietto sentimentalismo, viene invece messa in discussione. Si parla di maternità indesiderate, di morti del passato mai accettate. Le simpatiche protagoniste sono a sorpresa delle donne con sofferenze enormi. Maggie Smith, in questo scenario così ambiguo, ci sguazza alla perfezione. 

C’è una scena che rappresenta tanto del lavoro cinematografico fatto da Maggie Smith. Lei ha lavorato spesso sulla rabbia contenuta. L’indignazione che sembra essere sul ciglio di esplodere in uno sfogo, ma rimane soffocata. Questa tensione della recitazione apre i suoi personaggi verso il cinismo. Il loro sguardo è pronto per vedere tutto crollare. Così, quando questo accade, non se ne stupiscono. 

Lo sguardo di Maggie Smith sul mondo

In The Miracle Club la piscina di Lourdes è l’oggetto catalizzatore di una sequenza comica che cambia molto nella dinamica delle fedeli. Kathy Bates (nei panni di Eileen) scopre che quell’acqua miracolosa non elargisce i suoi doni con tanta frequenza. Lei sperava di guarire da una massa sospetta, forse un tumore. In quel momento di delusione viene immersa nella piscina gelida. Le sue grida si sentono all’esterno dove attende il suo turno Lilly, ovvero Maggie Smith. All’udire le lamentele dell’amica, Lilly si spaventa e con faccia scandalizzata risponde alla suora che la invita a farsi avanti dicendo “Siamo pronte!” con un secco “Io no!”. 

La piscina sarà poi luogo chiave di un’altra scena in cui Lily invece si immerge e facendolo riaggancia i legami con il suo passato. Ammette il suo senso di colpa. Forse, per via di un’azione compiuta decenni prima, ha portato suo figlio al suicidio. 

Stanno qui dentro i personaggi rigidi di Maggie Smith. Non sanno molto ridere di se stessi, ma con la loro autorevolezza fanno un po’ ridere lo spettatore e poi lo inteneriscono. Lei non ha mai catturato l’attenzione con la sua sola presenza fisica (seppur in grado di incutere timore), bensì con la sensazione che sia una bomba pronta ad esplodere anche se non si sa perché. Donne, personaggi, tenute vistosamente con il freno a mano e per questo incendiarie e potentissime! 

Non è solo Lady Violet, che è dovuta andarsene prima di lei in Downton Abbey II - Una nuova era, a incarnare la nobiltà dei suoi personaggi migliori. In tante parti, anche quelle lontane dalla nobiltà vera, come una professoressa di magia, una governante di una casa con un Giardino Segreto o, appunto, una vecchietta in viaggio, c’era la solennità femminile di una regina. Oggi si potrebbe parlare di caratteri emancipati, un tempo erano personaggi lontani dalla frivolezza del femminile più stereotipato, entrando in un altro stereotipo. Lei, sottilmente, lo evitava. Ne faceva colonne salde, cinematograficamente quasi eroiche (o da villain). Caratteri duri che bucano lo schermo con complessità.

Partire dal disagio per arrivare all’emozione

Maggie Smith non comprava lo spettatore. Lo teneva distante per poi avvicinarlo a suon di pochi colpi essenziali. Persino in una produzione agile come The Miracle Club è riuscita a fare questo. Quando scioglie la rigidità, scioglie anche la tensione narrativa. In quel momento si capisce che la suspense del film era tutta sulle sue spalle. Il personaggio di Lilly lo esplicita: il caratteraccio nasce da un trauma del passato, tenuto per sé con pudore, per mantenere un’eleganza esteriore, ma che negli anni ha corroso dentro. Non tutti i suoi personaggi hanno questa rivelazione. Eppure di moltissimi possiamo intuire un passato difficile, una storia a cui non abbiamo accesso che giustifica un'anzianità vissuta in questo modo. 

L’ultima parte della carriera di Maggie Smith è oggi inimitabile. Nessuno riesce a fare quello che faceva lei con la sua costanza. Maggie Smith non era soft. Il suo cinema è fatto di donne di cui crediamo di sapere molto di più di quello che dica il film e al contempo sembrano essere dei misteri. Sappiamo che la vita non è mai stata semplice per loro, che hanno dovuto lottare, farsi strada, superare intemperie e cambiare la propria visione del mondo. Un modello femminile che parte dal cliché per superarlo. Diventando un’autentica rappresentazione degli scudi che la vita costringe a indossare. Nell’ultima parte della sua carriera Maggie Smith l’ha voluto fare con il massimo del rigore ovunque sia stata: nelle lunghe serie TV, nei blockbuster, o in un film dai buoni sentimenti che ha un’anima di malinconia. Era questa la sua missione.

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