The Legend of Zelda: Ocarina of Time e quelle domeniche pomeriggio del 1998

The Legend of Zelda: Ocarina of Time ha fatto molto per il medium videoludico, tra cui cambiare il valore delle domeniche pomeriggio.

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Questa è stata una settimana di importanti ricorrenze. In generale, questo è un anno di ventennali molto illustri per la storia del videogioco. Nel corso del 1998 sono usciti videogiochi del calibro di Resident Evil 2, Xenogears, StarCraft, Unreal, Banjo-Kazooie, Rainbow Six, Pokémon Rosso e Blu (negli USA), Metal Gear Solid, Grim FandangoHalf-Life, solo per citarne alcuni. Non ce ne vogliano gli altri esponenti di questa lista, ma c’è un titolo che ha bisogno di essere celebrato a dovere, con più cura ed attenzione. Perché sebbene ognuno di questi videogiochi abbia contribuito a plasmare il mercato videoludico, a creare generazioni di game designer che oggi lavorano e producono tripla A come indie (un po’ come il cinema degli anni ’80 che ha cresciuto i cineasti di oggi), c’è un videogioco che, oltre a fare tutto ciò, ha segnato inevitabilmente un prima e un dopo.

Ci riferiamo ovviamente a The Legend of Zelda: Ocarina of Time, classe 1998 (21 novembre in Giappone, 11 dicembre in Europa, per la precisione).

È curioso come, all’epoca, Nintendo 64 era una console così poco famosa e conosciuta dalla massa di giocatori (che era una minima percentuale di quello che oggi è il mercato di clienti attuali e potenziali), quanto portatrice di videogiochi così importanti. Io me lo ricordo il mio primo impatto con Ocarina of Time: fu su una rivista, con una recensione. Uno scritto che mi portò a capire che c’erano dei videogiochi che potevano fare qualcosa di nuovo, e che un giorno anche io avrei voluto scrivere di videogiochi, e raccontarli come Davide Pessach mi raccontava quel titolo sulla rivista ufficiale Nintendo italiana.

[caption id="attachment_191473" align="aligncenter" width="2850"]The Legend of Zelda: Ocarina of Time artwork Quello legato all'identità di Sheik era un plot twist dallo spessore inedito per i videogiochi, all'epoca[/caption]

Facendo uno sforzo di memoria ricordo che, dell’analisi, mi colpì particolarmente l’idea che ci fosse il ciclo giorno notte. Perché dovrebbe esserci una cosa del genere in un videogioco? A che serve? Nella recensione c’era scritto che alcuni personaggi giravano solo di notte, o di giorno, con negozi che aprivano in orari specifici e cose che si potevano fare solo in un dato momento della giornata. Figurati se era possibile una cosa del genere! Ed invece era possibile. E non solo, era anche una prospettiva fantastica.

Questo perché Ocarina of Time era uno dei primi videogiochi ad offrire un mondo vero, aperto, con eventi che succedono in maniera collaterale e personaggi che hanno un loro scopo avulso dall’avventura di Link. Una prima pennellata di open world che, vent’anni dopo, culminerà con Read Dead Redemption 2. Non prima di essere di nuovo stata rielaborata da The Legend of Zelda: Breath of the Wild, il cui unico trucco possibile per poter uscire dall’ingombrante retaggio di Ocarina era quello di ribaltare tutte le carte in tavola. Perché l’eredità di Ocarina of Time è talmente pesante che oltre che l’intero genere degli action adventure, i titoli che sfruttano le meccaniche open world e ogni titolo d’azione che ha adottato lo Z-Targeting (davvero, pensate a quanti videogiochi usano il puntamento della telecamera contro i nemici, introdotto per la prima volta in questa occasione), anche gli stessi altri videogiochi della saga hanno dovuto fare sempre i conti con quello ritenuto da molti essere il più splendente.

Già Majora’s Mask mise in seria difficoltà i fan. Le tematiche più mature, l’idea a dir poco geniale di poter giocare letteralmente con il tempo e una serie di quest secondarie costruite ad orologeria fecero del successore di Ocarina of Time un titolo che molti preferirono all'altro capolavoro per Nintendo 64. Ma Ocarina fu il primo, e nessuno gli toglierà mai quel primato.

[caption id="attachment_191467" align="aligncenter" width="771"]The Legend of Zelda Dark Souls Twitter Parlando di riconoscenza...[/caption]

Negli anni successivi, all’avvicendarsi delle generazioni di console, tutti gli altri episodi della saga di The Legend of Zelda dovettero fare i conti il loro illustre predecessore. The Wind Waker, Twilight Princess, Skyward Sword, e tutti gli episodi usciti per console portatili, ognuno di loro era costruito sulla base di Ocarina of Time. E così molti action adventure e RPG dell’epoca, ma anche recenti, si ritrovarono allo stesso modo a dover studiare i fondamentali del loro genere. Darksiders è un omaggio ben più che ovvio al gameplay di Zelda, così come più volte Hidetaka Miyazaki, director di Dark Souls, ha rivelato più volte di ritrovare nell’originale The Legend of Zelda per NES la sua maggiore ispirazione, e in alcune occasioni si è mostrato quasi offeso dai paragoni che la stampa e i giocatori hanno fatto tra la sua opera e quella Nintendo, tale ritenga sia la magnificenza della saga ambientata ad Hyrule (e dintorni).

"Ocarina of Time era uno dei primi videogiochi ad offrire un mondo vero, aperto, con eventi che succedono in maniera collaterale e personaggi che hanno un loro scopo avulso dall’avventura di Link"Questo perché tutti hanno studiato i dettami di Zelda, li hanno rincorsi, copiati e rielaborati, come fossero una sorta di testo sacro. Ma mentre Nintendo rielaborava più che altro in chiave artistica la sua opera, lavorando sull’animazione per The Wind Waker, sull’ombrosità di Twilight Princess e sull’epica fiabesca di Sykward Sword, lasciando spesso quasi inalterata la struttura ludica di base, gli altri diventavano grandi. Uscivano quindi The Elder Scrolls V: Sykrim, GTA III, Assassin’s Creed e tanti altri esponenti del genere ben noti al pubblico che sono stati capaci di ristabilire di volta in volta nuovi standard per gli open world e gli action RPG.

Dopo l’episodio per Wii, quello Skyward Sword che non riuscì a centrare il cuore degli appassionati, Nintendo si ritrovò in un momento molto delicato. L’unico modo per andare avanti era tornare in cattedra, fare tesoro di tutti gli insegnamenti, degli errori ma ovviamente anche delle cose fatte bene, guardarsi intorno per capire le esigenze dei giocatori, cosa davvero mancasse in quel momento al genere e di cosa c’era bisogno. Così, Breath of the Wild è stato il primo capitolo della saga che è riuscito a dimenticare l’eco dell’ocarina, una produzione che a pieno titolo è possibile affiancare ad Ocarina in termini di importanza per la storia del medium.

[caption id="attachment_191468" align="aligncenter" width="1280"]The Legend of Zelda: Ocarina of Time screenshot Cartolina dal 1998[/caption]

Non è facile spiegare la grandezza di Ocarina of Time a quello stesso pubblico di giocatori che non capiva il fascino di un’avventura con un ragazzino vestito di verde, quando dall’altra parte c’era una super spia che combatteva dei robot giganteschi. Il senso di libertà che si avverte quando Link esce dal Villaggio Kokiri e, per la prima volta, si scopre che c’è un mondo interamente alla propria portata. La prima fuga con Epona, il level design dei templi, e la sorpresa quando la Master Sword fa muovere tempo in avanti cambiando per sempre Hyrule, e con esso la necessità di riscoprire il mondo. La musica, che sorpassa il concetto di motivetti e colonna sonora per diventare parte del gameplay e della storia, della quale già quella ocarina nel titolo ne suggerisce l’importanza. Un altro elemento che la saga si porterà dietro per sempre, le canzoni dei popoli che Link conosce nelle sue avventure e gli effetti che possono avere sul mondo di gioco.

Sono stati scritti molti testi sull’importanza di The Legend of Zelda: Ocarina of Time. Ne sono stati scritti anche in questa settimana, tutti i nostri colleghi si sono impegnati a studiare, ricordare e proporre le motivazioni per le quali questo, tra i tanti capolavori usciti nel 1998, è il videogioco che è sempre giusto elevare ad unico ed inimitabile. Prima del game design, dell’estetica e dell’avanzamento tecnologico, Ocarina of Time ha spiegato al mondo per la prima volta cosa potessero fare davvero i videogiochi.

Ha riscritto il valore delle domeniche pomeriggio del 1998 trascorse a giocare ai videogiochi, donandogli uno spessore del tutto nuovo. Il primo passo del cammino glorioso che l’industria del videogioco ha fatto in questi ultimi venti anni.

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