The Legend of Zelda: Breath of the Wild | Giochi del Decennio #1

Non si può rimanere indifferenti di fronte a The Legend of Zelda: Breath of the Wild, il pieno compimento di una delle più grandi serie di tutti tempi

Un giorno troverò qualcosa di interessante da scrivere qui dentro.


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Comincia oggi la nostra selezione di Giochi del Decennio: si parte con The Legend of Zelda: Breath of the Wild, e fino a lunedì 23 dicembre, qui su BadTaste, vi racconteremo i migliori giochi usciti dal 2010 al 2019, al ritmo di uno al giorno. 

In realtà tutto quanto ci sarebbe da dire riguardo The Legend of Zelda: Breath of the Wild sta già nel titolo della nostra recensione che, nel marzo del 2017, ne accompagnò l'uscita. Perché è ancora vero, persino oggi, a due anni e mezzo di distanza e con vari congeneri pubblicati nel mentre, che tornare indietro è impossibile e fare di meglio è impensabile.

Provate, dopo aver vagabondato per le lande di Hyrule in totale libertà, a giocare produzioni che comunque vanno annoverate sotto la voce "capolavoro", esperienze sublimi come Ocarina of Time e Twilight Princess, provate a non sentirvi terribilmente limitati dal non poter scalare qualunque vetta, dal non poter oltrepassare quelli che in tali opere sono confini e che invece in Breath of the Wild sono il mezzo attraverso il quale viene esaltata un'esplorazione terribilmente stimolante, perché accompagnata da una densità ludica inaudita. In The Elder Scrolls V: Skyrim il mondo di gioco custodisce tantissimi segreti e avventure, in The Witcher 3: Wild Hunt è uno scrigno che custodisce racconti dei quali si apprezza la curatissima scrittura, ma in nessuno dei due la ludica è abbinata all'open world in maniera così sublime. Link ha a disposizione praticamente fin da subito tutta una serie di abilità e poteri che sono gli strumenti attraverso i quali giocare con il mondo e, allo stesso tempo, cimentarsi in sfide dal sapore squisitamente zeldiano.

Qualcuno ha affermato che senza i sacrari, quei tantissimi, piccoli templi nei quali affrontare sessioni di gioco concettualmente vicine ai dungeon delle precedenti iterazioni della serie, il mondo di Breath of the Wild sarebbe vuoto. Prima di tutto non è vero, perché è lo stesso pieno di luoghi significativi sia dal punto di vista del racconto (a proposito, ci troviamo di fronte a uno degli esempi più straordinari di narrazione ambientale mai visti in un videogioco) che ludico, e poi i sacrari ci sono, vanno considerati eccome, sono quanto, insieme all'interno dei Colossi Sacri, sia di più vicino alle dinamiche della saga. Perché il resto è quasi del tutto nuovo, partendo da quella componente ruolistica legata ai molteplici equipaggiamenti.

"Ciò che maggiormente stupisce di Breath of the Wild e quello che l'ha consegnato alla storia è l'essere riuscito finalmente a portare a compimento quella idea di fondo che stava alla base già del primo capitolo della serie"Ciò che però maggiormente stupisce di Breath of the Wild e quello che l'ha consegnato alla storia è l'essere riuscito finalmente a portare a compimento quella idea di fondo che stava alla base già del primo capitolo della serie, quello per NES, del 1986. Perché era già tutto lì il concetto di un mondo da vivere liberamente e senza che le esigenze del racconto o espedienti ludici ne limitassero l'esplorazione. Era quella la visione orignale di Shigeru Miyamoto, portata a compimento trent'anni dopo da Eiji Aonuma. Per decenni non era stato possibile farlo per limiti tecnici, poi finalmente lo è stato, è il risultato non poteva che essere straordinario.

Non si può rimanere indifferenti di fronte al pieno compimento della visione dietro una delle più grandi saghe videoludiche di tutti tempi, e per questo Breath of the Wild non è solo tra i migliori videogiochi del decennio che si appresta a concludersi, ma è una delle opere più importanti della storia videoludica tutta.

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