The Last of Us Parte II si spiega soprattutto interpretando il personaggio di Abby | Speciale

Da antagonista, a personaggio preferito di molti, Abby è un personaggio fondamentale per comprendere appieno il senso di The Last of Us Parte II

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Spoiler Alert
Se c’è qualcosa che ha saputo rendere tanto speciale The Last of Us Parte II, quel qualcosa ha le fattezze di Abigail "Abby" Anderson personaggio quanto mai complesso, frastagliato, ago della bilancia che rende definitivamente impossibile dare giudizi netti sull’universo narrativo del brand di Naughty Dog, nonché su ogni singolo personaggio che calca il palcoscenico.

Ben più di Ellie, su cui comunque abbiamo già avuto modo di spendere qualche parola in più di un’occasione, l’atletica ragazza è la vera protagonista di questo sequel, una piacevolissima sorpresa che sviluppatore e publisher hanno saputo proteggere da qualsiasi leak ed anticipazione sino al debutto del gioco sul mercato.

Abby, cercando e trovando un paragone illustre, in termini prettamente narrativi somiglia al Thanos di Avengers: Infinity War, ovvero un villain che ha delle buone ragioni per fare ciò che decide di fare, le cui motivazioni vengono esplorate, indagate, analizzate da diversi punti di vista, strategia quanto mai efficace per creare empatia con chi sulle prime sembra semplicemente interessato a generare terrore o a raggiungere i propri obiettivi. Così come il Folle Titano perseguiva nella sua ordalia, legittimata, a suo dire, da una promessa di benessere universale, tesi che in buona sostanza ci sentiamo di sposare in pieno quando siamo in fila all’Ikea o non si trova un tavolo libero nel nostro ristorante preferito, la ragazza è mossa da un distorto ideale di giustizia a cercare, braccare e quindi uccidere Joel.

Il padre surrogato di Ellie, del resto, non è solo colpevole di aver ucciso il padre di Abby. La motivazione forte, che spinge anche altri compagni a seguirla nella sua caccia all’uomo, è che l’efferato omicidio ha privato l’umanità dell’ultimo (?) scienziato in grado di creare un vaccino, peccato a suo modo universale e certamente degno di una punizione esemplare.

Abby consuma una vendetta a sangue freddo, dopo una ricerca durata anni, probabilmente allenandosi ed affinando le sue tecniche militari proprio in vista del giorno in cui finalmente si sarebbe ritrovata faccia a faccia con Joel, incontro che avviene, tra le altre cose, in una situazione inattesa, fortuita, sicuramente fortunata e forse, proprio per questo, poco soddisfacente per chi sperava in una sorta catarsi, in una liberazione, in una rivelazione, addirittura, dall’omicidio di chi le aveva strappato il padre.

L’evoluzione interiore di Abby, in questo senso, è opposta rispetto a quella di Ellie, sia in termini di tempi di maturazione, che di risultato finale.

Laddove la co-protagonista del prequel viene investita da un desiderio quasi autodistruttivo di vendetta, che perde progressivamente senso e significato a mano a mano che accumula i cadaveri, per Abby le cose sono più complesse, tremendamente più interessanti se vogliamo.

Costretti a muoverci nei suoi panni, ancora scioccati dal violento assassinio, la ragazza si dimostra sin da subito un personaggio con i suoi rimpianti e rimorsi, soprattutto dal punto di vista sentimentale, ma allo stesso tempo anche in pace. Del resto, al contrario di Ellie non ha dovuto pentirsi di aver consumato il rapporto con il padre. Inoltre, è perfettamente integrata nella sua comunità, per quanto gestita con il pugno di ferro da una sorta di dittatore e coinvolta in una guerra insensata contro la fazione dei Serafiti.

L’allegoria di Abby è proprio legata a doppio filo all’incontro con Lev e Yara, alla considerazione, esistenziale ed insieme etica, che siano più le cose che legano un essere umano all’altro, di quante non siano quelle che li dividono.

Lev vuole difendere Yara, del resto, che a sua volta ha fatto di tutto per salvare il fratello da morte certa. È proprio l’affetto che nasce per il ragazzo a salvare Abby dalla spirale di odio e annichilimento che invece finisce per inghiottire e distruggere lo spirito di Ellie.

Abby fugge da una guerra in cui vittime e carnefici hanno gli stessi bisogni e desideri, decide di amare Lev, come un fratello (o un figlio) beninteso, e proprio per questo, nonostante trovi il corpo senza vita dell’uomo amato da sempre, risparmia Ellie quando potrebbe ucciderla e (ri)vendicarsi.

Laddove l’una non ha altro che il suo odio a tenerla in piedi, l’altra tenta addirittura di crearsi un futuro, rievocando valori del passato, mettendosi alla ricerca delle Luci, fonte d’ispirazione, di speranza, di tutto ciò che di buono poteva ancora esserci nel mondo post-apocalittico in cui vive Abby. Dove il viaggio di una è unicamente geografico, sempre proiettato verso l’ennesima destinazione, quello dell’altra è anche spirituale, verso un accrescimento personale ed interiore, che libera Abby dal desiderio, dal bisogno di uccidere, se non per autodifesa.

Tanto Ellie è un personaggio quasi lineare, nel suo lento sprofondare in un’ossessione che la priverà di qualsiasi affetto, tanto Abby, dopo e tra tanti sbagli, infine può finalmente salpare libera verso un futuro certamente diverso, proprio insieme a Lev, che, probabilmente, come è stato per Ellie prima diventerà a sua volta un figlio surrogato.

Due personaggi insomma opposti, che finiscono quasi per scambiarsi i ruoli, quello di eroina e villan per intenderci, non fosse che nel mondo di The Last of Us Parte II non ci sono né buoni, né cattivi. Al massimo si può sperare di trovare un senso, uno scopo al di là dell’odio e della violenza.

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