The Invitation è il film perfetto per il post lockdown | BadBuster
Il film di Karyn Kusama ci ricorda l’importanza del distanziamento sociale e invita alla misantropia
Più passa il tempo e il ricordo della solitudine del lockdown sbiadisce, più ci ritroviamo a fare, prima timorosamente e con prudenza, poi sempre più spavaldamente, tutte quelle cose che facevamo anche prima di marzo 2020 ma senza farci troppo caso o darci troppo peso.
File under "Film dove non succede nulla fino a che non succede"
Il vostro apprezzamento per The Invitation dipende da dove vi collocate nella diatriba su quante cose debbano succedere in un thriller/horror perché possa essere considerato tale. Tutti i film di genere sono composti da un mix variabile di momenti di quiete e momenti in cui la tensione esplode; ci sono quelli che lasciano pochissimo spazio alla quiete e si dedicano in massima parte a spaventare e sconvolgere con la violenza (pensate, per esempio, a Saw), e ci sono quelli che sono composti all’80% da piacevolissimo nulla (in termini di azione, non di contenuto) e al 20% di ricompensa per la pazienza dimostrata fin lì (un caso mediamente recente: The Vvitch). The Invitation, quarto film di Karyn Kusama e il primo a convincere appieno dai tempi del debutto Girlfight, appartiene decisamente alla seconda categoria, quella che prevede che in un film di 100 minuti se ne spendano 80 a caricare la tensione e solo 20 a sfogarla: se non vi piace il mix è difficile che possiate apprezzarlo.
Invito a cena con culto
La tavola sembra apparecchiata per uno di quei film di dialoghi incrociati in stanze diverse della casa, ed effettivamente The Invitation dedica parecchio tempo esattamente a queste situazioni, un ottimo modo per farci conoscere un po’ meglio i personaggi e spiegarci i rapporti che li legano. Ma invece che puntare sul classico “hanno tutti un turpe segreto/una ragione per odiarsi”, Kusama punta i riflettori sulla ex coppia orfana di figlio, e usa il resto del cast per abbellire quello che alla radice è uno scontro tra due modi diversi di approcciarsi alla morte. Will ha i capelli lunghi, la barba lunga, non parla quasi mai e quando lo fa grugnisce, è il più classico dei maschi-vulcano che ribollono di emozioni maschiamente represse finché la pressione si fa insostenibile ed esplode tutto in una cascata di urlacci e lacrime; il suo metodo per elaborare il lutto per la perdita del figlio consiste nel non farlo, e nello stare costantemente malissimo.
Eden, invece, be’, diciamo che Eden ha scelto una terapia diversa, che ha a che fare tra l’altro con una misteriosa figura spirituale e un lungo ritiro in Messico a farsi le droghe e il sesso libero, e che ha portato lei e Daario (che in realtà si chiama David) a vivere in una questa sorta di forzatissimo stato di atarassia dove le emozioni negative non vengono represse ma attivamente sconfitte a forza di amore e di speranza. In altre parole sembra che i due abbiano sbroccato, e che la serata non sia solo un modo per riunire il gruppo dopo anni ma anche per provare a convincerli che c’è del buono negli insegnamenti del Dr. Joseph. Una seduta di conversione di gruppo, che suona inquietante già così e che peggiora sottilmente scena dopo scena, strato dopo strato di assurdità: l’espressione inglese “slow burn”, che indica un horror che cresce lentamente e dove la tensione è concentrata tutta nella coda, senza jump scare o altri trucchetti per tenere alta l’attenzione lungo il percorso, sembra inventata apposta per The Invitation (spoiler: non lo è).
Abbiamo usato un’altra volta la parola “horror” ma forse non dovremmo: The Invitation è semmai quello che una volta si sarebbe chiamato “thriller psicologico”, che ha imparato la sua lezione da Hitchcock più che da Carpenter o Romero. Ed è anche un gran pezzo di cinema, girato nel modo più classico possibile ma con abbastanza elementi di disturbo piazzati nei punti giusti da trasmettere la costante sensazione che qualcosa stia per andare storto, che ci sia qualcosa di fuori posto in quello che stiamo vedendo:
[caption id="attachment_443114" align="aligncenter" width="600"] Non dà fastidio anche a voi tutto quel vuoto a destra?[/caption]
Quelli tra palco e realtà
È anche un film dalla messinscena estremamente teatrale, lontano dal mumblecore di altri prodotti simili (You’re Next su tutti), un’opera in cui ogni dialogo è pesato e non capita quasi mai che i personaggi si parlino addosso: ciascuno ha la sua parte e il suo momento, e l’educazione e la formalità regnano sovrane, il che contribuisce a quello spiazzante sentore di artificialità che macchia tutti i rapporti e non dà modo a chi guarda di abbassare la guardia. C’è sempre qualcosa che non va, che non torna, lievemente spostato a destra, in ogni singolo dialogo del film, un disagio solo amplificato da questo fatto che tutti i personaggi parlano a turno e non si pestano mai i piedi.
Si dovrebbe poi discutere di come The Invitation metta a frutto tutta questa paziente opera di costruzione della tensione, ma per farlo bisogna aver visto il film e noi siamo qui a consigliarvi di farlo, per cui non vogliamo rovinarvi nessuna sorpresa. Ricordatevi però che se siete indecisi se andare o meno alla grigliata in terrazzo dall’Alfredo The Invitation è il film perfetto per convincervi a stare sul divano a guardare un film su Prime Video – per esempio, lo conoscete The Invitation? È ottimo, ora ve ne parliamo...