The Holdovers: 5 candidature all'Oscar per il ritorno di Payne e Giamatti | Bad Movie

Il Bad Movie della settimana è The Holdovers - Lezioni di vita di Alexander Payne, candidato a cinque premi Oscar

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Il Bad Movie della settimana è The Holdovers - Lezioni di vita di Alexander Payne, al cinema dal 18 gennaio

Premessa

Non dirigeva più un film da Downsizing (2017), quello che doveva essere il suo capolavoro epico stile Jonathan Swift (satira sociale attraverso il genere fantastico) e che invece, come a volte capita, era diventato il suo personale fallimento dopo l'apice toccato da Paradiso Amaro (2011) e Nebraska (2013). Pur essendo assai interessante e per certi versi genialmente anticipatore del catastrofico presente climatico (in quel film un singolo sacchetto della spazzatura avrebbe potuto contenere tutti i rifiuti prodotti da 36 persone: da romano la cosa mi portò quasi alle lacrime), Downsizing portò il cinema di Alexander Payne molto down. Ma prima cosa era successo?

Payne In The Ass

Senso dell'umorismo e amarezza. Storie fatte di piccoli e dunque non grandi uomini accidiosi e senza particolari qualità con il regista che si diverte a torturarli e metterli in ridicolo. Dopo lo “smash” al Sundance con Citizen Ruth (1998) su una donna protagonista parimenti non irreprensibile interpretata da Laura Dern, ecco partire la sua galleria di maschietti superlativamente mediocri. Nel 1999 con Election incontravamo in una high school Matthew Broderick e Reese Witherspoon entrambi belli paffuti. Lui prof democratico irritato dall'energia giovanile repubblicana della studentessa saputella. Finiva che le tirava addosso un bicchierone di soda dopo averla vista sfilare in limousine nel team presidenziale a Washington. Sono soddisfazioni, eh? Nel 2003 eravamo stati con Payne accanto a un Warren Schmidt con la faccia di Jack Nicholson. Avevamo capito il suo disorientamento di fronte alla pensione, apprezzato l’amore per la figlia, stimato l’adozione a distanza di un bambino africano, sostenuto quando lo sentivamo lamentarsi della moglie e ghignato, lo ammettiamo, quando avevamo visto crepare la sgradevole consorte in modo ridicolo a inizio film. Avevamo pensato che Warren da quel momento in poi fosse “libero” e che meritasse di più. Ci eravamo illusi. Nel 2006 con Sideways avevamo seguito on the road l'eterno aspirante romanziere Miles (Paul Giamatti) e il suo amico attore scemo Jack su e giù per le colline del vino californiane in cerca di rimorchi e piccoli surrogati di gratificazioni. Mamma mia quanto erano ridicoli, vigliacchi e bambocci pure quei due. Li salvavano un briciolo di simpatia e consapevolezza. L'aspirante romanziere avrebbe avuto addirittura le palle, alla fine, di suonare in extremis al campanello del possibile amore. Che coraggio.

Poi il regista ci trasportò alle Hawaii ma non in vacanza al mare. Paradiso amaro (2011) aveva colori invernali, traffico, povertà, gente in carrozzina, sgradevolezza in ciabatte, la moglie del protagonista in coma sgraziata e bavosa su un letto gelido d'ospedale dimesso. Paradiso? “Paradiso un cazzo” (Payne lo voleva intitolare così in italiano) come ci dice subito il Matt King interpretato da un George Clooney col capello fuori posto, i piedi a papera che gli impediscono di correre in modo decente e un'aria da “cagnone” (copyright Francesco Castelnuovo) bastonato. Mancavano alla filmografia solo demenza senile e miniaturizzazione non metaforica del protagonista ed ecco ad accontentarci il penultimo e ultimo Nebraska e Downsizing. Il primo in bianco e nero con figlio che cerca di stare dietro a padre rincoglionito e il secondo, apertura amara della Mostra del Cinema di Venezia 2017, sul fisioterapista occupazionale Paul Safranek (Matt Damon) che diventa “grande” 12 cm grazie all'invenzione di uno scienziato norvegese. Quindi proprio un uomo minuscolo in senso letterale nell'altalenante, ma tremendamente affascinante, esordio di Payne dentro il cinema fantastico (da sceneggiatore aveva anche precedentemente vergato il copione di Jurassic Park III). Mica male il bottino di tutti questi maschi zeta: 19 candidature Oscar e due vittorie per Miglior Sceneggiatura Adattata nel caso di Sideways (condivisa con l'eterno sodale Jim Taylor) e Paradiso Amaro (insieme a Nat Faxon e Jim Rash). E ora?

Non siamo nati solo per noi stessi

La frase di Cicerone contenuta nel De Officis è il cuore ideologico ed emotivo del film. È il suo motto e il suo mantra. E finalmente, ci viene da dire, dopo che tutto il Concorso di Cannes 2023 ci ha sconvolto per quanto fosse pieno di adulti che se ne fottevano dei giovani facendo pessime figure come educatori, mentori o amanti spregevoli. Ora, dentro l'ottava regia di Payne intitolata The Holdovers, ribecchiamo Paul Giamatti (era dai tempi di Sideways che non lavoravano insieme) nei panni di Paul Hunham, insegnante di Storia Classica, romana e greca, presso il fantomatico liceo privato Barton del New England. Siamo a dicembre 1970. Anche lui l'emblema dell'accidia (Francesco Petrarca e Alexander Payne: separati alla nascita) come il Miles di Sideways. Snob, misantropo, semi-alcolizzato e in più puzza di pesce quando arriva la sera (un problema di pelle che però si risolverebbe con un semplice deodorante). Ha pure un occhio sbilenco. Tutti si chiedono quale sia dei due come tutti si chiedevano che lavoro facesse prima della guerra il John H. Miller di Tom Hanks in Salvate il Soldato Ryan (e infatti occhio che c'è la stessa idea di sceneggiatura del capolavoro di Spielberg scritto da Robert Rodat con rivelazione vicino al finale). Forse Paul è vergine (non come segno zodiacale) e sicuramente non lo sopportano né gli studenti (dicono di lui che mangi le feci) né il corpo insegnante.

Ma cosa è successo nel suo passato per ridurlo così? Emerge in lui un odio nei confronti dei privilegiati e altolocati. Spesso passa del tempo con la cuoca black della scuola di nome Mary Lamb. Ovviamente essendo Paul dentro un film di Alexander Payne è l'eroe tecnico del racconto insieme allo studente più volte bocciato Angus Tully (esordiente Dominic Sessa che ci ricorda il Rupert Everett di Another Country che eccitò al punto Tiziano Sclavi da disegnare su di lui Dylan Dog) e alla cuoca Mary Lamb, signora imponente sempre sull'orlo di incazzarsi come una bestia per via della morte del figlio in Vietnam l'anno prima. Eh già perché fuori dalla Barton c'è il Vietnam, la prima scoppola degli Usa dopo la II Guerra Mondiale che vede la sua escalation di morti e feriti tra il 1965 e il 1972. Anche se il film è molto dentro le mura isolate dalla neve della Barton (a tratti sembra di vedere Shining di Kubrick), il Vietnam è un fuori campo invadente che genera morti e reduci mutilati che puoi incontrare al pub come gli amiconi de Il Cacciatore (1978) incontravano il Berretto Verde ombroso all'inizio del film di Cimino. Anche quando si prende la macchina e si parte, come in Sideways, oltre a Roxbury e Boston non ci spingeremo. Perché è così importante la frase di Cicerone tratta da De Officis “Non siamo nati solo per noi stessi”? È il motto di Hunham ma se per tre quarti di film è un qualcosa da ripetere a pappagallo in chiave del tutto teorica, alla fine diventa la miccia della svolta drammaturgica più importante della pellicola.

Pedagogia

Tra una scena divertente e l'altra (Paul, Angus e Mary rimangono soli alla Barton durante le vacanze di Natale e Capodanno 1970), l'anima di The Holdovers riguarda pedagogia e classe dirigente. Il senso del motto ciceroniano è proprio l'occuparsi degli altri. L'obbligo di non pensare solo a noi stessi ma non per un peloso altruismo di facciata quanto per impegnarsi in prima persona a offrire strumenti morali e culturali alle generazioni che avranno il compito di sopravviverci. The Holdovers rientra dentro la categoria di parabola pedagogica come The Breakfast Club (1985: la punizione interclassista ci aiuta a conoscerci meglio se rimaniamo dentro le aule vuote della scuola e andiamo oltre i nostri ruoli), L'attimo fuggente (1989; il collegio maschile di Welton del 1959 somiglia parecchio alla Barton del 1970) e ovviamente Will Hunting - Genio ribelle (1997: ancora con un carismatico Robin Williams come insegnante/terapista quasi idealizzato). Ma essendo The Holdovers un film di Alexander Payne l'impegno pedagogico è inizialmente frenato da disillusione, accidia (of course), sarcasmo, cinismo e una marea di insulti (il più creativo è: “Sei un cancro del pene sotto sembianze umane”), proteste, gestacci e disfattismo. È proprio rispecchiandosi nei reciproci fallimenti che il docente indecente Paul Hunhum e “la piccola carogna” Angus Tully iniziano un sano percorso di avvicinamento dove però è essenziale che non si confondano mai i ruoli di maestro e alunno. Questo ci ha entusiasmato perché non lo ritroviamo più molto spesso nel cinema di oggi. Torniamo a quel Concorso del Festival di Cannes 2023 composto da molti film con adulti stronzi che fottevano i giovani, da tutti i punti di vista. Per non parlare delle società in cui viviamo. È un tema attualissimo perché quello che i giovani oggi chiedono è proprio ciò che noi adulti ci rifiutiamo, vigliaccamente, di dare loro: una linea, un pensiero, una filosofia, una presa di posizione, una moralità. Ecco perché The Holdovers è, al netto ripetiamo di tutti i momenti ferocemente divertenti quando non propriamente violentemente comici, il film più romantico e concretamente speranzoso di Payne in un'ottica politica e collettiva e dunque non solo intima come il lieto fine romantico di Sideways. Insegnare è darsi un tono e imparare a ferirsi per segnare l'altro e usare la cultura non come criptico nozionismo (come fa Paul continuamente all'inizio) ma come strumento di conoscenza dei passi compiuti dall'umanità per provare a capire in che direzione muoversi domani.

Conclusioni

A differenza di tanti film di Payne non c'è un libro alla base dell'operazione cinematografica. La sceneggiatura originale è opera del veterano della tv, poco conosciuto al cinema, David Hemingson (tra i due pare sia scoppiato un grande amore tanto che vogliono fare un western insieme). Al momento è in pole position per vincere l'Oscar categoria Sceneggiatura Originale e pare effettivamente sopra gli altri contender tra cui compaiono Anatomia di una Caduta, Maestro, May December e Past Lives di Celine Song. Ma colpiscono anche la candidatura al Montaggio e al suo protagonista Paul Giamatti non considerato mai dall'Academy se non ai tempi del Non Protagonista per Cindarella Man (2006). Pare incredibile nell'anno di Cillian Murphy (Oppenheimer) e Bradley Cooper (Maestro) ma al momento è proprio Giamatti davanti ad alcuni analisti per la vittoria finale. Possiamo terminare senza parlare di Da'Vine Joy Randolph nei panni di Mary Lamb? No. Questa vedova che ha perso marito e figlio nel giro di pochissimi anni è lo sguardo di rimprovero più bello del nostro 2024 (in Usa il film è uscito il 27 ottobre 2023). Verso chi? Ma Paul, ovviamente. Lui, sinistrorso che ama alzare il gomito con lei, non fa altro che lamentarsi degli altolocati, dei ricchi e dei viziati che frequentano la Barton.

Eppure è esattamente come loro e lo sguardo a volte indignato della cuoca, chiusa nel suo stoico lutto da outsider sociale, dice tutto del suo silenzioso sdegno verso quel “bianco” privilegiato accidioso che gioca a stare con i perdenti. Come il geniale John Landis di Animal House (1978) rideva sì ma non dimenticava dentro la commedia ormonale quanto la comunità black fosse lontana e avulsa dalle tribolazioni dei ragazzini collegiali bianchi del Faber College del film (ci trovavamo nel più razzista 1962), anche Payne nello splendido personaggio di Mary Lamb vede un abisso sociale che la divide da Paul e Angus. Il personaggio dei tre che avrebbe più da lamentarsi non lo fa mai. Anche questo (e ripetiamo: basta uno sguardo torvo di Randolph per esprimere in modo cinematograficamente perfetto il concetto) aiuterà Paul e Angus, e anche noi, a tirare le fila in vista del gran finale catartico. Di tutti i cinque Oscar che questo splendido film potrebbe vincere ci sentiamo di digitare che quello per Da'vine Joy Randolph come Attrice Non Protagonista sarebbe il più significativo e meritato. Ma anche Paul Giamatti sarebbe epico. Si premierebbe un personaggio dell'élite che assolve finalmente al suo compito di "manutentore" (the holdover, appunto) dell'Istituto scolastico non scappando davanti alla presa di responsabilità per un errore commesso in un atto finale che, finalmente, aiuterà concretamente le nuove generazioni. Oggi come oggi è pura rivoluzione.

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