The Hitcher, il remake di cui il mondo si è dimenticato

The Hitcher fu uno dei primi tentativi di Michael Bay di farsi notare nell’horror, e non andò a finire benissimo

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The Hitcher va in onda su Italia 2 Mediaset questa sera alle 21:15 e in replica domani sera alle 23:25

Parlare di un film come The Hitcher, remake dell’omonimo horror con Rutger Hauer e Jennifer Jason Leigh uscito nel 2007 e che, come tutti i remake che si rispettino, dimentica gli eventi del sequel per ripartire da zero, è una di quelle sfide quasi impossibili che ogni tanto toccano a noi che scriviamo di cinema. Principalmente per un motivo: non c’è molto da dire. The Hitcher è una cosa che è accaduta senza che il mondo ci facesse particolarmente caso, e dopo la quale tutte le persone coinvolte hanno tirato dritto e sono tornate alle loro normali carriere. Non si può neanche definirlo un flop, o un film orrendo stroncato dalla critica con una violenza tale da meritarsi un pezzo postumo in cui, a quindici anni di distanza, analizziamo se quelle opinioni fossero affidabili o troppo colorate dalla vicinanza temporale, e quindi da sfumare con il passare del tempo.

Si può definirlo un film, come ne escono tanti ogni anno. The Hitcher fu il quarto tentativo, per la Platinum Dunes di Michael Bay, di farsi notare in quanto casa di produzione emergente e attiva nel genere horror. Fondata nel 2001 da Bay, Brad Fuller e Andrew Form, tra il 2003 e il 2006 PD fece uscire al cinema il Non aprite quella porta di Nispel (brutto, e giustamente spernacchiato), The Amityville Horror (che oggi ricordiamo soprattutto in quanto debutto di Chloe Moretz) e il Non aprite quella porta di Liebesman (prequel di quello di Nispel e altrettanto correttamente stroncato): tre remake, nessuno dei quali neanche vicino alla soglia di accettabilità.

Sophia Bush

Il buon senso avrebbe a quel punto suggerito di cambiare direzione, almeno in parte: magari non smetterla con gli horror (PD nasceva proprio perché Bay amava il genere e ci teneva a produrre film dell’orrore), ma magari abbandonare la strada dei remake per scegliere quella degli originali – che incidentalmente è quella che darà i primi veri successi a Platinum Dunes, si veda La notte del giudizio. Ma siccome Michael Bay in quegli anni aveva già litigato furentemente con il buon senso, The Hitcher fu, appunto, come scritto sopra, il quarto tentativo per la sua casa di produzione di farsi notare in senso positivo.

Partiamo da un punto fermo, già messo in evidenza da più o meno tutte le recensioni dell’epoca: il problema di fare un remake di The Hitcher – La lunga strada della paura è che è sostanzialmente impossibile replicare quelle atmosfere malsane e intimamente anni Ottanta, a meno di non dedicarsi a un’operazione millimetrica di mimesi nostalgica che però non è la cifra stilistica di Bay – e a guardare il suo palmares neanche del regista Dave Meyers, uno che dopo questa esperienza se ne tornò di corsa nel suo recinto a girare video musicali (se volete godervi uno dei suoi lavori più recenti e più noti, qui c’è il video di Bad Guy di Billie Eilish). E quindi The Hitcher parte in svantaggio: la storia la conosciamo, i colpi di scena anche, visivamente il confronto è già perso, come si fa a farsi ricordare?

Scionbin

L’idea di Bay, in qualche modo avanti sui tempi, è semplice: prendiamo il tizio al volante del primo film e sostituiamolo con una tizia al volante! (manteniamo comunque al suo fianco un tizio così abbiamo a) una quota maschile per l’identificazione e b) la scusa per farci vedere la coppia in situazioni intime e dunque bollenti) Sophia Bush, un’altra che dopo il film non si avvicinerà mai più all’horror neanche per scherzo e che oggi fa più attivismo che cinema, diventa dunque la protagonista di The Hitcher: è ottima quando deve fare la scream queen, meno quando deve comportarsi da persona normale, ma lì il problema potrebbe essere di una sceneggiatura che le impone di passare tutto il tempo in cui non sta rischiando la vita a fare moine e faccette e morsicarsi il labbro inferiore, inguainata in una canotta invisibile e un paio di pantaloncini altrettanto minuscoli.

In termini più tecnici potremmo dire che The Hitcher punta come l’originale sul lato exploitation della faccenda, ma che Meyers (e Bay, ovviamente) è più interessato a exploitare le cosce di Sophia Bush che le infinite occasioni di ultraviolenza fornite dal film. Che ha anche una trama lievemente diversa dall’originale: l’autostoppista assassino non viene immediatamente caricato in macchina dalla coppia, che anzi quasi lo investe mentre attende aiuto in mezzo alla strada di fianco alla sua auto in panne; i tre si ritrovano qualche chilometro dopo a una stazione di servizio, dove le buone maniere del tizio convincono il fidanzato di Sophia Bush (Zachary Knighton: scommettiamo che non avete visto nessuno dei film che ha fatto dopo questo) a farlo salire a bordo e dargli un passaggio fino al più vicino motel.

The Hitcher specchio

Purtroppo qui è dove finisce la spinta creativa di The Hitcher: dal momento in cui Sean Bean (che raccoglie meglio che può l’eredità di Rutger Hauer, e riesce a non sfigurare e anzi a regalarci un paio di momenti altissimi) tira fuori il coltello e si rivela per il serial killer che è, il film fa esattamente tutto quello che vi aspettate. Soprattutto se avete visto l’originale, e sapete già che il vero twist del film arriva quando l’assassino si rivela anche un genio del male e riesce a far incolpare la coppia dei suoi omicidi, aggiungendo così una torma di poliziotti infuriati al quadro generale e fornendo a Sean Bean abbastanza carne da macello da sostenere un’ora e mezza di film.

Va detto che, nella sua prevedibilità, il film di Dave Meyers riesce a fare una cosa che i precedenti tre horror di Platinum Dunes non riuscivano neanche per scherzo: farsi prendere sul serio. È un classico compitino, ma è anche fatto a modino (perdonateci la rimina): abbastanza ben diretto, abbastanza ben recitato, abbastanza ben montato. Tutto abbastanza, quasi nulla di insufficiente ma anche pochissimi momenti che vanno sopra al 7. Se non sul finale, un crescendo di violenza e catarsi che in termini di impatto e intensità supera a destra tutto il resto del film (pur restando ben lontano dall’eccezionalità). È forse il complimento migliore che si possa fare a un film altrimenti dimenticabile come The Hitcher: ha un gran finale, che in un horror vale l’80% del film.

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