The Greatest Showman: non bastano un “milione di sogni” per fare un film

The Greatest Showman è un freakshow cinematografico: un inganno fatto di emozioni artificiali e di non detti storici

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The Greatest Showman è come i suoi fondali e le sue scenografie: coloratissimo e artificiale. Si parte da un non detto molto importante: P.T Barnum non è il modello ideale per un film motivazionale su ciò che conta veramente nella vita e sui sogni. I suoi freakshow erano all’insegna dello sfruttamento del “diverso”. Non c’era alcun interesse rivoluzionario, nessuna idea di uguaglianza, anzi! L’esempio di Joice Heth può contenere molte altre storie. Lei era una donna afroamericana “venduta” al pubblico come un’anziana di 161 anni. La poveretta ne aveva circa la metà, era cieca e quasi paralizzata. Per farla sembrare più vecchia Barnum le aveva estratto i denti. Siccome il pubblico non credeva alla sua età, Barnum alla morte della donna organizzò un’autopsia pubblica. Poi ammise la bufala. 

They can say, they can say it all sounds crazy/ They can say, they can say I've lost my mind/ I don't care, I don't care, so call me crazy/ We can live in a world that we design…” anche sfruttando e abusando le persone.

Ipocrisia del film a parte, The Greatest Showman è stato un fenomeno nel 2017. Pochi mesi dopo l’uscita di La La Land la coppia di parolieri Pasek & Paul che avevano contribuito al film di Damien Chazelle davano una spinta pop alla colonna sonora del musical. This is Me viene candidato agli Oscar, insieme agli altri brani di The Greatest Showman trascina il pubblico in sala dopo un inizio deludente al botteghino. Con delle gambe incredibili il film è riuscito a restare nella distribuzione per 219 giorni racimolando poco alla volta un totale di 435 milioni di dollari a fronte di un budget di 84. Un trucco alla Barnum. Perché il film diretto da Michael Gracey, ex artista degli effetti speciali qui al suo esordio, è seducente, trascinante, ma inesorabilmente vuoto.

Emozioni artificiali che scompaiono alla svelta

Avete mai notato che ci sono certi film che emozionano poco durante la visione, ma restano dentro per giorni? Altri invece regalano una soddisfazione immediata scena dopo scena, salvo poi venire dimenticati pochi minuti dopo la fine. È la differenza di risultato tra il proposito guadagnare le emozioni facendole vivere ai personaggi o indurle artificialmente attraverso trucchi retorici.

The Greatest Showman appartiene alla seconda categoria: punta tutto sul suo cast di star pressate una sull’altra e su una colonna sonora che, sin dal primo ascolto, tutti nella produzione devono avere capito essere fatta di soli tormentoni. Così il film si affida solamente ai momenti musicali. Le sequenze sono una serie di videoclip, anche piuttosto riusciti, giuntati da un filo sottile di trama. Il problema è che così facendo la storia innesta a forza una serie di momenti, spesso contraddittori tra loro, che non hanno aderenza con il percorso dei suoi personaggi.

Ad un inizio trionfale, con il tema principale del film, segue ad esempio la toccante A Million Dreams. Dall’esaltazione ci si deve preparare a piangere di tenerezza. Un salto non semplice: gli esseri umani non provano cose schiacciando un bottone, ma sfumando le sensazioni una dentro l’altra. Per azzeccare questi “tornanti emotivi” la regia deve ricorrere al trucco più basso che il cinema abbia a disposizione: la retorica visiva. Così ecco che appare un’enorme luna romantica nel cielo nero, i panni si muovono danzando con i ballerini felici per la loro semplice vita povera. Già capiamo che è quello lo stato più autentico di serenità a cui possono attingere. Il film ci metterà un'altra ora e mezza per spiegarcelo.

Il diverso sfruttato da Barnum e dal film

Altra promessa tradita di The Greatest Showman: essere un film sull’anticonformismo, sul bello del brutto, sul pensare in maniera diversa coinvolgendo gli ultimi in un’impresa straordinaria. Tutto questo c’è in qualche scena, senza che venga però mai realmente sentito dalla regia. Basta vedere in che modo repentino arrivano le sequenze di ribellione dei freak, come sono ridotti, senza amore, a spalle comiche. 

Qualcuno sembra capire lo sfruttamento che Barnum ha fatto delle loro peculiarità, ma muore lì. Non ci viene mai mostrata in maniera netta la differenza di stile di vita tra l’arricchito proprietario del circo e i suoi dipendenti. Questi, però, sono pronti a perdonare tutto e a risollevare l’uomo che li ha scoperti solo per un debito di gratitudine.

Una scena madre dopo l’altra The Greatest Showman non sviluppa mai in maniera complessa i suoi temi. Sta sempre sulla superficie di una retorica della bontà che si può sopportare, ma che chiunque avrebbe potuto mettere a parole: “dobbiamo accettarci l’un l’altro, la vita semplice ha piena dignità, bisogna fare in modo che i propri desideri non diventino di vendetta”. Roba da libro per l’infanzia. 

Io ho un sogno: avere un sogno!

The Greatest Showman arriva poco dopo che il marketing di La La Land aveva creato l’inganno perfetto. Nella locandina veniva dichiarato “dedicato ai folli che sognano”. In realtà i sogni in quel musical, sono delle coltellate.

Anche Barnum è un sognatore. O meglio, un imprenditore che ha trovato un modo di fare soldi. La piacevolezza della visione viene colpita dalla sgradevolezza del suo percorso umano. Anche con la redenzione finale, il personaggio che conosciamo all’inizio è molto più umano e autentico di quello “ravveduto” sui titoli di coda. 

Gli innamoramenti accadono, come quello verso la cantante Jenny Lind. Hanno una coerenza nella trama (l’infatuazione nei suoi confronti non è amore, è simbolo del desiderio di andare nelle alte sfere della società). Peccato che tutto questo non abbia alcuna sfumatura, sia tutto così netto da apparire frettoloso e poco giustificato. Basta la comparsa dei vecchi amici a modificare l’umore dello sconfortato P.T. Parte in un bar vuoto, curvo sul bancone, finisce per ballare pieno di gioia strizzando l’occhio al pubblico “tutto si è risolto bene”. Lo si vede, ma non lo si sente. 

Così The Greatest Showman finisce nel trovare inconsapevolmente il suo più grande pregio nella coerenza con cui ripropone l’esperienza delle attrazioni del freak show in questa operazione cinematografica. Richiama promettendo emozioni fortissime, uno spettacolo mai visto prima e coinvolgente. Riesce effettivamente a mostrare tutte le sue meraviglie, i suoi numeri per molti possono valere il prezzo del biglietto. Restano pur sempre un inganno.

The Greatest Showman è su Netflix

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