The Falcon and the Winter Soldier: la terza puntata fa intravedere ciò che potrebbe non funzionare nella serie

Dopo due episodi eccellenti The Falcon and the Winter Soldier perde l'equilibrio tra intenzioni ed esigenze narrative. Sarà un problema?

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Arrivati a metà del percorso di The Falcon and the Winter Soldier la serie mostra per la prima volta alcuni segni di stanchezza. La Marvel sta puntando in alto con i suoi prodotti tv, e questo è chiaro oramai da mesi. La produzione è robusta e mostra i muscoli nelle numerose scene d’azione, senza sangue, ma violentissime. Nonostante gli episodi abbiano una struttura abbastanza circoscritta l’impressione è quella di assistere a un film lungo sei ore.

Per i primi due episodi è stata ammirevole l’abilità della regista Kari Skogland nel procedere su tre campi di gioco diversi e tutti ambiziosissimi. The Falcon and the Winter Soldier sfrutta la figura di Sam per fare una riflessione sul rapporto dell’America con le sue radici storiche. Poi c’è l’intreccio da Universo Marvel, quello legato agli altri film che porta i protagonisti a fare i conti con le conseguenze degli avvenimenti passati. Infine c’è Bucky, con il suo personale percorso di redenzione e, lo scopriamo dal terzo episodio, Zemo. 

Il barone (abbiamo avuto ora la conferma del suo titolo) è il fantasma di Bucky. Nella scena in cui il Soldato d’Inverno si finge “attivato” dall’Hydra è chiaro come la sua identità segreta non sia metaforicamente l’immagine della perdita di sé, della propria coscienza. Al contrario il suo lato oscuro è raffigurato proprio nella persona che lo controlla. Zemo, in questo caso specifico. Bucky senza il Soldato d’Inverno, le sue conoscenze, i suoi metodi, lavora a metà del suo potenziale. Accettarlo significa ricentrarsi, e tornare ad essere un soldato perfetto.

C’è tanto in The Falcon and the Winter Soldier: il sottotesto politico, la riflessione sulla popolazione americana, c’è la filosofia del simbolo e del nazionalismo e una trama man mano più intricata. Come ambizioni vola altissimo, quasi anche più di WandaVision a ben guardare. La prima serie tv Marvel cercava di parlare alla tv stessa. Il processo creativo si guardava dentro. Qui invece è chiaro il tentativo di essere un’ispirazione come Black Panther (negli States il film fu influente nell’opinione pubblica).

Il terzo episodio sembra però iniziare ad avvicinarsi troppo al sole. Le ali di Icaro (cioè i propositi della serie), iniziano a perdere i pezzi, a non muoversi più in sincronia. Nelle prime due ore i tre ingredienti si sono miscelati molto meglio di come hanno fatto nell’episodio Power Broker. Questo capitolo ha assolto l’annoso compito di portare avanti il susseguirsi degli eventi, sacrificando l’introspezione dei protagonisti e le dinamiche “macho” tra Falcon e il soldato d’inverno.

John Walker viene però messo da parte. Prende il suo posto la città di Madripoor, finalmente mostrata in live action. Bellissima, immersa nella notte al neon. Ma la smania di godersi le azzeccate scenografie fa inciampare il montaggio. Una scena in discoteca inutile e memetica (qualcuno accosti Peter Parker di Spider-Man 3 con Zemo che balla). Un intero segmento involuto e molto debole come tensione. È sembrata una tappa obbligatoria.

Falcon and the winter soldier

L’altra cosa che non convince dell’episodio è il modo in cui Falcon si inserisce nella missione che, sostanzialmente, è di Bucky. Lo ripetiamo, quello tra Bucky e Zemo è un confronto alla pari di un assassino e la sua vittima (lascio al lettore decidere chi sia chi). Sam rimane in sospeso, a riflettere sulla sua scelta, a portare il suo mondo di uomo nero in America, anche dove non è influente (cioè in un corrotto paese di fantasia).

Insomma, è chiara l’intenzione di tenere agganciati gli spettatori senza perdere i pezzi. Ma The Falcon and the Winter Soldier si appoggia su un meccanismo talmente delicato che al primo ingranaggio che va fuori sincrono tutto l’apparato rischia di crollare.

E allora ecco perché i dialoghi di Falcon sono sembrati così fuori luogo. Perché erano fuori dal luogo in cui avrebbero avuto senso. La vaghezza di Sharon Carter, che va qui a coprire alcuni buchi della trama più grande (spiega l’evasione di Civil War), non sembra strettamente giustificata dalla trama.

Il colpo di scena finale di un personaggio che appare alla fine a sorpresa, replicato identico per la terza volta, perde l’enfasi… e diventa una cifra stilistica. Prima è John Walker, poi Zemo, ora è Ayo. Gli episodi sono costruiti per sommarsi uno sopra l’altro: linee rette che salgono di livello rilanciando sempre di più le ambizioni. E ad ogni rilancio diventa sempre più difficile contenere la strabordante voglia di dire e di fare di questa serie.

The Falcon and the Winter Soldier si ingolfa un poco dopo due episodi pazzeschi. C’è ancora molto da vedere e tutto promette di prendere una piaga inaspettata prima della fine. Una cosa è certa: se sarà la prima serie Marvel a fallire non sarà certo per il mancato coraggio, ma perché con il suo pilot ha alzato la barra più in alto di quanto fosse in grado di saltare.

Se invece raggiungerà il suo obiettivo ritrovando l’armonia tra forma e contenuto - e ritrovandolo subito - potrebbe essere l’ennesimo segno della entusiasmante maturità del genere.

Cosa ne pensate della terza puntata di The Falcon and the Winter Soldier? Fatecelo sapere nei commenti!

Vi ricordiamo che commentiamo la serie insieme ogni sabato a mezzogiorno su Twitch: qui trovate il commento sul terzo episodio!

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