The Falcon and the Winter Soldier, il punto sulla serie: cosa ha funzionato e cosa no?
Finita The Falcon and the Winter Soldier facciamo il punto su quello che è stato e vediamo in che direzione sta andando la Marvel
È un approccio prudente al mezzo della serialità. Un po' come hanno fatto nel 2008 iniziando a costruire la continuità con Iron Man. Non bisogna dimenticare infatti che, nonostante il budget esorbitante e la grande attesa, al momento della pianificazione non c’era una pandemia che ha fato decollare le sottoscrizioni alle piattaforme streaming. Chi si aspettava grandi colpi di scena (sopratutto da WandaVision) ragionava su uno scenario estremamente diverso rispetto a quello che ha portato alla nascita di questi prodotti. Il pubblico non era garantito come oggi.
Le serie tv, nonostante la grandissima qualità produttiva (pazzesca la scena di apertura di The Falcon and the Winter Soldier) sono il luogo dove i personaggi prendono il sopravvento sull’azione. La “fase 4” in televisione, assume i connotati di una nuova “fase 1” moltiplicata per 4. Più grande, ambiziosa, complessa. Ma pur sempre un inizio (e una promessa) in cui gli autori si prendono tutto il tempo per sviluppare i personaggi, testare stili e argomenti.
L’episodio finale di The Falcon and the Winter Soldier non raggiunge le vette dell’impeccabile atto quinto. Appare forzato in più punti, talvolta quasi incomprensibile (il senso delle azioni di Sharon Carter sono ancora tutte da scoprire. Che sia una Skrull?). Eppure ci sono un paio di momenti che ribadiscono ancora una volta quanto la Marvel sia consapevole dei propri mezzi.
È prudente rispetto al grande schema dell’MCU, ma non è affatto timida nella forma e nei temi. Anzi, che coraggio!
The Falcon and the Winter Soldier è infatti uno tra i cinecomic più politici di sempre. E quindi pieno di vita, di simpatia intesa nel senso etimologico di sympátheia ovvero "vivere un sentimento insieme". La simpatia è la capacità che ha la serie di comprendere tutti i suoi personaggi. Di annuire alle rispettive motivazioni e affermare la complessità della morale. La simpatia è quella che si prova per John Walker (che gran personaggio) proprio alla fine della sua parabola. Quando riesce a compiere il suo primo gesto eroico. Sam e Bucky non si stanno simpatici, ma si vogliono bene, crescono insieme come due facce della stessa America.
Il dolore comune di una nazione è nascosto sotto i tavoli della burocrazia. Sam Wilson lo riporta a galla conoscendo le storie nascoste, i debiti umani che ha la nazione verso le minoranze oppresse. Uomini usati per rendere grande un paese di cui non possono godere, profughi dimenticati, a cui sono affibbiate etichette che sostituiscono la più importante: quella di persone, di esseri umani. La soluzione, dice l’episodio, è quindi riscoprire la sym-pátheia verso tutti gli Isaiah Bradley, condividere le loro radici e saper chiedere scusa. O, per lo meno, dare modo ai vinti (che sono i veri eroi della serie) di andare avanti.
Il discorso del nuovo Captain America poco dopo la battaglia finale, inizia male. Appare un po’ artificiale, stonato, forse perché troppo esplicito. Eppure, man mano che prosegue, le parole di Sam prendono il posto giusto nei temi affrontati dalla serie e sono potentissime. In primo luogo perché è il primo Captain America (e quindi la Marvel stessa) che prende una posizione politica esplicita, non solo etica. Non è solo dalla parte del giusto (che cos’è il giusto nella realtà in cui è ambientata la serie?), ma è dalla parte delle sue, personali, idee e convinzioni sul governo. Non vuole che siano per forza quelle della nazione.
Il supereroe, con la sua sola esistenza, è divisivo. Non può essere di tutti. Quello scudo, quei colori e i simboli, e il colore della pelle di chi li indossa saranno automaticamente odiati da milioni di persone. Perché? Perché è così che funziona la società, perché nessuno è senza peccato (Bucky) o senza pregiudizi (i potenti) o senza idee sbagliate (John) o metodi distorti (Karli).
Sam Wilson, Captain America, esplicita alle telecamere quello che gli amanti dei fumetti hanno sempre letto in queste epiche. Ovvero la portata metaforica delle avventure. Un ragazzo morso da un ragno radioattivo non è mai stato un giovane qualsiasi, ma è da sempre il simbolo della forza che ciascuno ha dentro. Uno scienziato che si trasforma in un mostro di rabbia è da sempre la manifestazione della paura di perdere il controllo. È per questo che tante persone trovano piacere, comprensione, a volte addirittura conforto, a sfogliare gli albi a fumetti.
Allo stesso modo anche Falcon (l’uomo qualsiasi) assume i panni di Captain America (il simbolo) consapevole di questa forza delle immagini. Dice: un Dio pazzo (Thanos) non è tanto diverso da un potente che non sa agire nella giustizia. Il discorso di Sam è rivoluzionario inoltre perché non scagiona nessuno, ma coinvolge. Non motiva ma descrive. Captain America prende lo scudo, ma non per essere un superuomo che “guarisce dai mali” la terra con richiami divini. Lo fa per essere un faro nella notte, una guida che chiama il singolo alla propria responsabilità.
La Marvel trova quindi in The Falcon and the Winter Soldier la sua espressione più coraggiosa e anche la più divisiva (se la si comprende veramente), che non sarebbe stata possibile senza il contenitore “prudente” e sicuro di Disney+.
Le prime due serie tv Marvel sono quindi una piacevole conferma di come lo studio abbia ancora la creatività e l’entusiasmo al massimo. Riescono a fare bene (anzi, forse anche di più) senza i volti di peso, ma dando un senso ai comprimari. Tra Endgame e il prossimo Captain America ci sarà un’evidente continuità - dicevamo-. Ma quanto sarebbe sembrato immeritato il passaggio dello scudo solo per “elezione” da parte di Steve? Sarebbe un peccato perdersi questa esplorazione emozionante nel cuore e nei problemi di personaggi sempre considerati secondari, ma in fondo protagonisti della propria storia individuale.