The Elder Scrolls V: Skyrim Special Edition, cosa lo rende migliore di Oblivion

La saga di Bethesda ha sempre affascinato milioni di fan, ma riscoprirne l’ultimo capitolo, grazie a The Elder Scrolls V: Skyrim Special Edition, ci ha ricordato perché, per molti, resta il punto più alto toccato dal brand

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Con Oblivion mi sono sentito quasi in obbligo, costretto dal sentire comune a proseguire in un’epopea che non mi aveva mai coinvolto realmente, ostaggio della stessa smania che troppe volte mi ha forzato a sorbirmi, per intero, un romanzo, un libro o una serie TV di qualità scadente, solo per l’impegno tassativo, preso poi chissà quando, perché o con chi, di finire sempre ciò che è stato iniziato.

Non era un problema del gioco, ovviamente. Le qualità oggettive, di uno dei migliori RPG della scorsa generazione di console, sono evidenti a chiunque. Semplicemente non c’era feeling, come quella volta che ho rimandato al mittente le avances di una bionda dal fisico perfetto, solo perché non mi piacevano le sue scarpe (questa me la sono inventata di sana pianta, lo giuro).

L’esperienza è stata scottante e deludente al punto che, a torto, all’epoca della sua release originaria decisi di evitare a piè pari l’acquisto di Skyrim, per molti versi un “more of the same” ambientato nell’omonima regione settentrionale di Tamriel.

Ritrovarsi con un gameplay del tutto simile, a vagare, ore e ore, in cerca di loot per steppe nebbiose e vette innevate? Per un tipo freddoloso come il sottoscritto, fu una scelta facile, per quanto presa con un pizzico di rimorso e rimpianto.

Il gioco di Bethesda, tuttavia, ha superato la prova del tempo, riproponendosi in forma smagliante su PC, PlayStation 4 e Xbox One con The Elder Scrolls V: Skyrim Special Edition, graditissimo remastered che mi ha dato modo di recuperare una perla del passato, senza tuttavia farmi ricredere sul suo diretto prequel.

Oblivion, a conti fatti, è un gioco che ha molto da invidiare al quinto capitolo della saga. I motivi per preferirgli Skyrim, gli stessi per cui vale la pena dargli una possibilità anche se non si è mai apprezzato il brand, non sono affatto pochi.

A Skyrim non si perde neanche un bambino

Così come il Link di The Legend of Zelda inizia la sua epopea risvegliandosi da un pisolino, The Elder Scrolls vuole il suo protagonista iniziare con le mani incatenate, possibilmente dimenticato all’interno di un’oscura prigione o a due passi dal boia che si appresta a staccargli la testa dal collo. Con Oblivion i primi problemi sono arrivati una volta riconquistata l’agognata libertà. L’immensa Cyrodiil, regione centrale di Tamriel, non si fa alcun problema a circondare l’inerme avatar, immediatamente sommerso e placato da quest, PGN, menù di ogni tipo. Qualcuno, un grande qualcuno, avrebbe parlato di “un sacco di input e output”, un overflow di incombenze e meccaniche da imparare al volo che, in molti casi, ha causato un irrecuperabile scoraggiamento di alcuni videogiocatori, soprattutto quelli alle prime armi, magari poco affini al genere degli RPG.

Skyrim, in questo senso, è la lampante dimostrazione che gli sviluppatori sanno imparare dai propri errori. L’incipit dell’avventura è più equilibrato, si prende più tempo e calma per introdurre i vari aspetti e feature che l’utente dovrà maneggiare lungo il corso della sua epopea.

La differenza, tuttavia, la fa soprattutto il level design. Laddove Cyrodiil era un’immensa landa pianeggiante, sconfinata e fondamentalmente esplorabile da cima a fondo in qualsiasi momento, Skyrim, con i suoi sentieri e le sue cime impraticabili, indirettamente ma efficacemente limita, almeno inizialmente, la portata delle esplorazioni dell’avatar, costringendolo inconsciamente in una serie di percorsi utili ad attenuare quel senso di spaesamento penalizzante e disorientamento opprimente esperito, al contrario, in Oblivion.

[caption id="attachment_164059" align="aligncenter" width="600"]The Elder Scrolls V Skyrim Special Edition screenshot Nonostante la rimasterizzazione, nonostante i tanti upgrade grafici apportati, non aspettatevi una grafica al passo con i tempi. Animazioni e buona parte delle texture lasciano alquanto a desiderare, nonostante dove non arrivi l’aspetto tecnico, ci pensi l’art design a metterci una bella pezza.[/caption]

I mestieri si imparano lavorando sul campo

Il monocromatismo dei menù di Oblivion non aiutavano di certo, soprattutto se confrontato allo skill tree di Skyrim, che trasforma abilità e bonus di ogni genere in splendide costellazioni che compongono un cielo notturno ammaliante. Al di là dei gusti estetici di ognuno, c’è però da dire che la gestione del personaggio di The Elder Scrolls V è estremamente più appassionante e coinvolgente rispetto a quella, invero piuttosto classica e certamente profondissima, del prequel.

Se a Cyrodiil si progrediva a suon di punti esperienza e abilità distribuiti nelle voci dello skill tree, a Skyrim è l’azione sul campo a renderci guerrieri, maghi, arcieri e cuochi migliori. Prediligendo armi a due mani, combattimento dopo combattimento, si migliorerà l’efficacia di questi strumenti nel causare danni ai nemici; forgiando nuove armature si diventa fabbri sempre più abili; lanciando incantesimi in continuazione si sviluppa un rapporto speciale con l’utilizzo della Magicka.  Certo, il fine stratega si troverà spiazzato di fronte ad una progressione del personaggio più “empirica”, ma in generale ne guadagna non solo l’immediatezza dell’esperienza, ma anche il grado di coinvolgimento dell’utente, libero di scegliere autonomamente e in base alle difficoltà da affrontare come, quando e se specializzarsi in una particolare disciplina.

La morte viene dall’alto

Non che a Cyrodiil ci si dedicasse ad allegre scampagnate del tutto prive di incidenti sul percorso e spiacevoli incontri, ma da questo punto di vista non ci sono paragoni: in Skyrim ogni momento è davvero buono per tirare inaspettatamente le cuoia.

Tra tigri dai denti a sciabola, imponenti Mammoth e Giganti tutt’altro che amichevoli, l’elenco di simpatiche creature a cui sarebbe meglio girare alla larga è già di per sé abbastanza nutrito. Ma non basta, perché questa regione del nord di Tamriel è famosa per la presenza dei draghi, giganteschi sputafuoco volanti che, tra le altre cose, è possibile incontrare anche casualmente, imbastendo inattese battaglie che, salvo rarissimi casi, si concludono con un’immeritevole e prematuro game over.

Il mix di eccitazione e paura, che implicitamente si innesca ogni volta che ci si ritrova a battere le lande gelate di questa regione, è qualcosa di largamente sconosciuto ad Oblivion.

[caption id="attachment_164060" align="aligncenter" width="600"]The Elder Scrolls V Skyrim Special Edition screenshot L’ansia di incontrare un drago è tale, che basta l’ombra di una nuova sul terreno per gettarci nel panico. Questo senso di precarietà estremo è ciò che tiene sempre alta la tensione mentre si gioca.[/caption]

Una regione tutta da vedere e ascoltare

Nonostante non è detto che a tutti piacciano gli scorci montani e dominati da neve e ghiaccio, è innegabile che artisticamente ci troviamo di fronte ad un gioco sopraffino, capace di regalare panorami mozzafiato e ambientazioni estremamente riuscite. Alcune notti di Skyrim, dominate da un cielo terso e dalla luce del satellite di questo mondo fantasy, sono semplicemente magiche, soprattutto quando si scala una montagna, i suoni si attutiscono e ad accompagnare i nostri spostamenti c’è uno dei tanti temi che compongono la straordinaria soundtrack del gioco.

Va da sé che il giudizio, almeno in questo caso, diventi molto personale, ma artisticamente, se non migliore di Oblivion, Skyrim è certamente strepitoso, tutt’ora in grado di affascinare il suo pubblico.

Vale la pena farsi un (altro) giro a Skyrim?

Finire Oblivion è stata una prova di fede, un’ordalia conseguita per il gusto di vedere dei titoli di coda che, ad un certo punto dell’avventura, erano diventati quasi un’ossessione, una ricompensa da ottenere a tutti i costi per non aver mollato, anche quando sarebbe stato il caso. Con Skyrim il conteggio delle ore sta crescendo giorno dopo giorno, nella speranza che side quest e luoghi da esplorare non finiscano mai.

Ci sarebbero altri motivi a giustificare il maggior apprezzamento personale dell’ultimo capitolo della saga rispetto al precedente, non metto in dubbio che anche le intense sessioni di binge watching di Game of Thrones abbiano una parte in tutto ciò, ma al di là di ogni giudizio personale, l’evoluzione, in termini di gameplay ma anche artistici, è sotto gli occhi di tutti.

The Elder Scrolls V: Skyrim Special Edition è un’ottima scusa per riscoprire i tanti pregi di un RPG immenso, divertentissimo, profondo. È anche un’occasione ghiotta, per tutti i neofiti del caso e per i delusi da Oblivion come il sottoscritto, quanto la saga ha saputo rendersi estremamente più attraente, immediata e facilmente padroneggiabile che in passato.

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