The Defenders: MCU vs MNU, le differenze tra gli universi Marvel

The Defenders è il culmine del Marvel Netflix Universe, un progetto molto diverso, per stile e linguaggi, da quello cinematografico di cui fa parte

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Il primo elemento che salta all'occhio, nel mettere a confronto il Marvel Cinematic Universe e il Marvel Netflix Universe, è il fatto che essi non sono opposti (come potrebbero esserlo i film della DC e l'Arrowverse), ma complementari. Questo significa che prima di ogni decisione creativa preesiste un ordine che deve essere tutelato, una coerenza interna da mantenere su più livelli, un approccio stilistico che può lasciare delle libertà, ma che non può mai rinnegare se stesso. Tenere in piedi questo immenso impianto che assume sempre più i contorni e lo spessore di una mitologia, è la sfida massima che il progetto nato ormai dieci anni fa con Iron Man si propone di ottenere.

E quindi, come si raggiunge questo obiettivo? Parafrasando il Nick Fury di Winter Soldier, la parola d'ordine è “compartimentazione”. E gerarchia, la stessa che permette ai lungometraggi di influenzare le opere subordinate, ma non viceversa. Daredevil, Jessica Jones, ma anche Agents of S.H.I.E.L.D., convivono su un piano orizzontale separato da canale o piattaforma di appartenenza, ma tutte loro devono rifarsi, come un canone ideale, alle Fasi cinematografiche. Avremo quindi su Netflix riferimenti con il contagocce alla battaglia di New York e cianfrusaglie di quello scontro vendute sulle bancarelle, ma nei film non saranno citati il diavolo di Hell's Kitchen o il guardiano di Harlem. Basti pensare, per spostarsi un attimo sulle serie ABC, che Coulson di per sé rimane un personaggio “defunto” nella grande storia narrata al cinema.

E potrà essere frustrante nel momento in cui una ricerca sempre maggiore di intertestualità ci porta a desiderare maggiori collegamenti, magari un'apparizione fugace dei Difensori nel dittico Infinity War. Eppure questa rimane la soluzione produttiva più logica per garantire stabilità all'universo Marvel. Un universo che contiene al suo interno altri universi, come quello del noir metropolitano di New York in cui si svolgono le vicende delle serie Netflix, e che deve riuscire a far convivere storie di abusi su minori con avventure di procioni parlanti nello spazio profondo. È straordinario che tutto ciò stia avvenendo senza perdere di credibilità e, pur rinunciando per strada a qualche sogno proibito, come l'Ant-Man di Wright, non si può che sostenere l'idea per cui la coerenza generale vale più della libertà assoluta sul singolo film.

Quel che è importante è non snaturare la natura delle storie, delle tematiche, delle ambientazioni proposte. E il Marvel Netflix Universe ha trovato la quadratura del cerchio nel momento in cui, ponendosi sempre sotto i film, ha scavato una nicchia tutta sua in cui muoversi liberamente. Addirittura, ogni serie si caratterizza per la mutevolezza delle tematiche, tutte di stampo criminale, vagamente noir e dunque legate al contesto metropolitano degradato e corrotto. Daredevil racconta il rapporto con la città, Jessica narra una storia di dipendenza, ecc...

La differenza più evidente tra film e serie allora è la portata. I lungometraggi hanno una portata globale quando non galattica, narrano di minacce immense e assolute, giocano in modo meno sfumato sulla lotta tra bene e male. La gravitas risiede nel pericolo imminente più che nel conflitto costruito, quando invece nelle serie generalmente avviene l'opposto. E non è che una sia migliore o più matura dell'altra, assolutamente no. È la natura produttiva e narrativa di un'opera a dettare le linee guida per la costruzione della visione e, restando ferma la necessità di raccontare personaggi vivi e tridimensionali prima che ruoli, in questo caso non esiste una supremazia dell'una sull'altra. Si tratta solo di valutare caso per caso.

Un esempio concreto di questa differenza lo si può vedere mettendo a confronto la scena di combattimento nel corridoio nel terzo episodio di The Defenders con il piano sequenza in Avengers durante la battaglia contro i Chitauri. In entrambi i casi le specifiche di ogni eroe sfumano sulle tecniche di combattimento diverse, e tutto restituisce un'idea di eleganza nel movimento, quasi una coreografia di esplosioni di forza in cui il gruppo appare molto più forte proprio grazie alle differenze interne. Ma se la regia di Avengers, ipercinetica e velocissima, sfrutta l'ambientazione esterna giocando con le possibilità, quella di Defenders comprime lo spazio schiacciando i quattro eroi in un corridoio. In quegli spazi angusti ogni movimento, ogni pugno risalta di più, e chiaramente si tratta di una soluzione già sfruttata tanto nella famosa scena del corridoio nella prima stagione di Daredevil, o in quella in prigione con The Punisher.

Va da sé che un esempio di questo tipo lo si può applicare a tutto il resto. Daredevil e soci combattono in spazi angusti, giocano con le ambientazioni ristrette e i bottle episode. Iron Man e gli altri sono “supereroi di massa”, senza dubbio personaggi prima che simboli, ma comunque espressioni di un genere (quello dei supereroi appunto, a sua volta sottogenere dell'action) che predispone certe ripetizioni e certi sviluppi. E non è che le serie Netflix siano più libere da questo punto di vista (il bene deve vincere sul male), ma l'idea di toccare il noir e il poliziesco garantisce qualche sfumatura in più. Sfumature di genere di cui i cinecomic non hanno bisogno perché fanno genere a sé e hanno altre armi. E nessuno potrebbe rimpiangere la cupezza di Hell's Kitchen mentre si gode l'esplosione di colori dei Guardiani della Galassia o la grande gioia del racconto trasmessa dall'apparizione di Spiderman in Civil War.

Il Marvel Netflix Universe è il paratesto ideale migliore che si potesse immaginare. Ossia è quell'opera complementare che da un lato rende più ricca la mitologia a cui appartiene, ma dall'altro non la contraddice proprio perché c'è una netta separazione tra i due stili. Una parentesi che ha una propria identità e rende migliore l'universo a cui appartiene.

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