The Creator è quello che succede quando la "sceneggiatura originale" si basa sul già visto
The Creator si descrive attraverso ciò che ricorda più che per quello che è. Un film originale che è troppo dipendente da altri immaginari
Se The Creator deve rappresentare un cinema libero dalla schiavitù delle IP e dai franchise, si può dire di essere di fronte a un fallimento che fa male. Il film di Gareth Edwards si è giovato di un trailer molto riuscito e una campagna di qualità, seppur poco efficace nel far conoscere il film al pubblico. In coloro che sono stati intercettati dalla scarsa promozione The Creator si era sedimentato come un possibile esempio di come fare le cose diversamente ad Hollywood. Poteva essere il titolo che dimostrava come creare un blockbuster ambizioso e nuovo, dal grande impatto visivo e capace di costruire un universo originale.
La rivoluzione di The Creator finisce qui. Non è colpa di Edwards, si intenda, che non aveva promesso niente. È l’attesa, un po’ irrazionale, come quella che ha preso chi vi scrive, di un cinema “senza etichette” che arrivi a rinfrescare l’immaginario cinematografico per il grande pubblico. Si potrebbe dire che è proprio una fame di nuovi personaggi. Invece, ancora una volta, un caso come questo è la dimostrazione che l'originalità non è legata alla preesistenza di un universo narrativo (al cinema o in altri media) bensì dall’approccio con cui lo si sviluppa. Barbie, Spider-Man: Across the Spider-Verse, ma anche Oppenheimer, vengono da giocattoli, fumetti, libri su vite vere. Eppure sono riusciti a convogliare tanta creatività e a trovare un’identità ben chiara e distintiva.
Intelligenze e film artificiali
L’ha spiegato bene Chris Stuckmann nella sua analisi del film. The Creator assomiglia a così tante altre cose perché è così che ragiona Hollywood al giorno d’oggi. Sono pochissimi i registi che possono avere mano libera nel gestire budget importanti per realizzare una loro visione in totale libertà. Per tutti gli altri ci sono i comparables. Al momento del pitch di un film bisogna rispondere alla domanda: che cosa assomiglia? Quale fan-base catturiamo?
Gareth Edwards probabilmente ha risposto “tutte”. Poi, comunque, lo studio è intervenuto: il primo montaggio grezzo durava cinque ore (come è normale), poi ridotto a quasi tre ore. Alla fine ne è uscito un film di poco più di due ore, a seguito di test screening dall’esito -si dice- non proprio positivo. Ne consegue che la trama è un macello. Il ritmo viene costantemente azzoppato da flashback stucchevoli e l’intero primo atto soffre dell’essere un interminabile spiegone.
Però quando si entra nella prima metropoli del 2065 sembra di essere in Blade Runner. La trama richiama la struttura narrativa del "lupo solitario e il cucciolo" in un'avventura on the road, proprio come Logan, che ha saputo far maturare il genere del cinecomic portando il grande pubblico ad accettare un tono oscuro e violento, o come il più solare The Mandalorian.
In una terra distopica l’Intelligenza Artificiale pare essersi ribellata all’uomo (“ricordate, cari produttori, il successo di Terminator?”). Un’esplosione nucleare a Los Angeles (“la facciamo vedere come The Day After”) porta il mondo in guerra contro le I.A. Nuova Asia (“per prendere un pubblico globale”) non è d’accordo e continua a sviluppare la tecnologia. Nei robot forse c’è vita (A.I. - Intelligenza artificiale), ci sono sentimenti. Un dilemma di per se appassionante, ma che viene sbandierato sin da subito senza mai venire sviluppato in maniera originale.
Prima di The Creator c’era Distretto 9
The Creator poteva essere un nuovo Distretto 9. Sembra più Elysium. La differenza che passa tra i due film di Neill Blomkamp è la stessa che passa tra una vera sceneggiatura originale e una che emula altri successi. Distretto 9 riusciva, con pochi mezzi e molte idee, a raccontare una trama che si evolveva in una maniera come non si era mai visto prima. La patina realistica, quasi found footage, si spostava continuamente in un film di fantascienza spettacolare in piena regola. Dentro c’era il cuore di un film di denuncia. Gli alieni come profughi, l’umanità come mostri impauriti. Costruttori di confini per paura dell'estinzione. Elysium era anch’esso un concentrato di immaginario, ma quello che aveva da dire era molto più generico.
Così anche The Creator riesce ad avere una grande forza visiva e poco da dire. Bellissima la stazione Nomad e il suo funzionamento. Ottimo il design dei robot e la loro immersione nell’ambiente. La tecnologia sembra vera e realmente funzionante. Il futuro è un plausibile mix con il passato (raramente quando si mette in scena un possibile domani si integrano gli edifici antichi). Però tutto finisce lì. È difficilissimo connettersi con i personaggi. La scrittura è frettolosa e piena di soluzioni comode: personaggi che si imbattono l’uno nell’altro, coincidenze fortunate. Riescono persino a sopravvivere a enormi esplosioni perché la trama lo richiede.
La cosa che più fa male di The Creator è però la sua somiglianza più smaccata. Quella con Rogue One: A Star Wars Story, il precedente film di Gareth Edwards. Le scene di battaglia sono molto simili, insieme ai momenti iconici, come un uomo e una donna che si abbracciano di fronte all’apocalisse, e in parte i personaggi. Doveva essere il manifesto di un cinema che liberava i suoi creativi. È stato il fallimento di un bravo regista imprigionato nel mondo delle grandi produzioni e nel suo stesso immaginario.
The Creator è disponibile su Disney Plus.
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