The Batman mena bene ma parla male
The Batman di Matt Reeves è un film di eccessi, logorroico e pomposo ma al contempo molto azzeccato quando impara a tacere
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In questo senso è un po’ come Joker, un altro film che ha suscitato reazioni paragonabili: cinefilo o citazionista? Ispirato a o copiato da? Prendete per esempio la Gotham City di The Batman, che passa senza soluzione di continuità da Blade Runner (nelle riprese aeree) a Il braccio violento della legge (quando si scende a livello del terreno): le ispirazioni sono evidentissime, e parlano di un film che punta in alto, agli Oscar e alle lodi critiche e non solo al consenso del pubblico affezionato. Ma il tentativo di prendere qualcosa di autoriale e applicarlo a forza a una storia di Batman parecchio tradizionale è posticcio, sembra un travestimento più che un calarsi in certe atmosfere.
Il Batman di The Batman è sempre Batman
Oppure prendete il Bruce Wayne di Robert Pattinson. Da un lato è fisicamente imponente quando è in armatura, un Batman dall’enorme impatto. Dall’altro è più monodimensionale di tutti i Michael Keaton e Christian Bale del mondo, spesso criticati proprio per il loro essere un po’ troppo piatti per avere una doppia identità. Il Batman di The Batman è sempre Batman, anche quando si toglie il costume, più di quanto lo sia mai stato il personaggio al cinema finora; è sempre triste, sempre desolato, sempre arrabbiato, non ha un grammo del fascino da miliardario misterioso che caratterizza la sua controparte in abiti civili.
C’è una scena in particolare nella quale questo approccio al personaggio diventa talmente eccessivo da risultare ridicolo: Batman è appena tornato da una notte a combattere il crimine, e Alfred Pennyworth gli fa la solita ramanzina sui suoi impegni come Bruce Wayne, e sul suo vizio di ignorare l’impresa di famiglia. Bruce, gli occhi ancora cerchiati di nero dopo una notte da Batman, l’espressione di quello che porta sulle spalle tutto il dolore del mondo, gli risponde, come se fosse un adolescente qualsiasi, “tu non sei mio padre!”. È uno dei (pochi, ma non per questo meno evidenti) momenti in cui il film avrebbe beneficiato di una gamma anche solo lievemente più ampia di toni.
Che è poi più in generale un problema di tutto il film, non solo del personaggio di Bruce Wayne. Il suo vizio di mantenere sempre una faccia serissima cozza con il fatto che qui e là i personaggi (soprattutto i vari supervillain o presunti tali) enunciano one liner fumettose che stanno di parecchi metri sopra le righe, e cadono quindi un po’ nel vuoto quando il resto del film mantiene costantemente quest’espressione:
È come se The Batman facesse di tutto per non essere confuso con una di quelle cose per ragazzi con i disegni e le nuvolette di testo. Anche i personaggi più assurdi vengono spogliati di tutti i loro lati fantastici e trasformati in semplici criminali con qualche vezzo estetico più o meno marcato. È un film di supereroi che non hanno superpoteri e di supervillain nella stessa condizione, che però parlano come se uscissero dalla caricatura di un vecchio noir. Più The Batman chiede di essere preso sul serio, più diventa difficile farlo.
Zitto e mena
Per fortuna però che c’è una cosa che Matt Reeves sa fare molto bene, ed è parlare per immagini e movimenti e non per parole. Anche i più accesi detrattori di The Batman dovranno ammettere che il modo in cui mette in scena il fatto di essere Batman è il migliore da parecchi anni a questa parte – non è un mistero che nei Batman di Nolan il punto più debole sia sempre Batman e in particolare le sequenze d’azione che lo vedono protagonista (con poche lodevoli eccezioni). Qui, al contrario, basta la prima scena nella quale il nostro eroe prende a pugni una gang di bulli pittati per capire che non è nemmeno lo stesso fottuto campo da gioco.
Quello che vogliamo dire è che The Batman è al suo meglio quando tace e la smette di rendersi ridicolo, tra labirinti e ratti alati, e lascia che a parlare siano le botte, e quella cosa che fa Batman di comparire dal buio quando meno te lo aspetti per rovinarti la faccia di cartoni. Le scene d’azione sono (relativamente) tante e tutte buone, coreografate con gusto, dirette con mano salda e l’occhio giusto per evitare il temutissimo effetto confusione, la scorciatoia moderna per chi non ha idea di come si metta in scena una rissa o un inseguimento. Vuole essere un film serio, alto, solenne, The Batman, ma ottiene i risultati migliori quando la smette di provare a imitare Friedkin.
Chiudiamo con una considerazione sulla sua lunghezza, uno dei temi più discussi in questi ultimi anni, nel cinema in generale: poco da dire, The Batman è un sempre più raro caso di film che potevano essere due, in un mondo in cui si tende al contrario a trasformare in trilogie anche romanzi di poche centinaia di pagine. A tratti ha addirittura il ritmo narrativo della miniserie TV, strizzata in tre ore invece che sette/otto. Non è per forza un male, anche se lo stacco tra “il film su Batman e Selina” e “il film su Batman e l’Enigmista” avrebbe potuto essere gestito meglio. Ma è una conseguenza dell’ambizione di raccontare una storia epica e tentacolare, e l’ambizione va sempre premiata, anche quando i risultati sono discutibili.
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