Tutte le novità del tax credit e dei contributi selettivi 2024 per i film italiani, spiegati dalla Direzione cinema
In un'affollata conferenza stampa a Venezia, la Direzione Cinema ha smentito voci e spiegato le nuove regole per accedere ai fondi pubblici dal 2024
Le molte indiscrezioni e i documenti (ufficiali o meno) che sono circolati nei mesi scorsi hanno reso indispensabile la conferenza che il direttore della Direzione Cinema del Ministero dei Beni Culturali ha tenuto a Venezia. Il settore è bloccato da mesi (come abbiamo raccontato) perché si attendono le modifiche alla legge che regola i contributi pubblici alla produzione. Quest’attesa ha generato, insieme alle sopracitate voci e indiscrezioni, molte paure e timori; il ministro Sangiuliano, poi, ha aggiunto timore a timore con dichiarazioni roboanti, più o meno sensate, che hanno parlato di tagli netti agli sprechi, assecondando una visione del cinema propria dei partiti cui appartiene. A conti fatti, viste le modifiche, queste dichiarazioni del ministro sono sembrate in larga parte propagandistiche e solo in minima parte reali.
La situazione prima delle modifiche alla legge
Di fatto, prima ancora di iniziare a parlare delle novità, Borrelli ha sottolineato la situazione sulla quale si è dovuti intervenire. Ha parlato di “mettere in sicurezza il sistema”, cercando di far capire che la situazione è sfuggita di mano a causa di una serie di modifiche straordinarie introdotte durante il periodo pandemico e mantenute negli anni successivi, con conseguenze nefaste. Il numero di richieste di finanziamento per film è passato da 170 nel 2019 a più di 600 nel 2023 e il credito richiesto da 126 milioni nel 2019 a 623 milioni di euro nel 2023. "Si tratta di 400 milioni di euro in più rispetto alle risorse disponibili, che rappresentano un grandissimo problema a cui queste norme pongono rimedio" ha detto Borrelli. Il rischio, se non si desse un taglio netto, sarebbe l’intervento della clausola di salvaguardia finanziaria che porterebbe alla sospensione dell’erogazione del tax credit per tre anni.
Questo nodo di una situazione rischiosa a cui porre rimedio con nuove norme è quello che, nell’accaldatissima e gremita conferenza stampa di Venezia, ha creato più malumore. Molti, capitanati da Gianluca Curti di Minerva, hanno accusato il ministero stesso di aver causato questa situazione di esubero e di rifarsi ora su di loro. I problemi e le proteste, lo anticipiamo, sono stati più che altro sulle produzioni a cavallo tra il 2023 e il 2024, iniziate con il vecchio regime e che chiederanno tax credit con il nuovo, per le quali probabilmente sarà necessario chiedere un’altra volta i contributi selettivi che erano stati concessi nel 2023 sotto il vecchio regime. Le restanti modifiche annunciate hanno generato meno malumori. Malumori che, va sottolineato e ripetuto, sono inevitabili nel momento in cui occorre dare un taglio alle domande di accesso ai fondi pubblici, aumentando i requisiti necessari affinché possano accedere solo le società serie con intenzioni serie.
Le novità
Entro settembre, è stato promesso, saranno pubblicati bandi e regole e nominate le commissioni. Per accedere ai fondi, un corto non deve durare più di 20 minuti e un lungo non meno di 52 minuti; tutto ciò che è in mezzo non può accedere a finanziamenti pubblici. C’è un set di regole che vale per produzioni sopra i 3,5 milioni di budget (quelle che fanno il 90% degli incassi dell’annata) e uno per quelle sotto i 3,5 milioni.
Come sempre, i contributi automatici sono “automatici” e quindi vanno a tutti; per le opere che hanno una natura particolare, più difficile, ci sono anche i contributi selettivi.
I contributi automatici
Le opere devono dimostrare di puntare al mercato, quindi occorre che dimostrino di investire, aver rimediato il 40% del budget da fondi privati, incluse le spese generali (il che praticamente riduce questa quota al 25%). Le risorse private non sono solo prevendite a soggetti come le televisioni, ma anche banche o singoli. Anche RAI Cinema, nonostante sia controllata da RAI, ha una natura privata. Devono avere un accordo vincolante con una società di distribuzione che preveda requisiti minimi di circuitazione (a scanso di equivoci, l’obbligo del produttore è di avere un accordo in piedi, non di garantire quella circuitazione; se non viene rispettata, non è colpa sua). Deve essere garantito un investimento in promozione non inferiore ai 300.000 euro e, entro 4 settimane dalla prima uscita, il film in questione deve aver realizzato 2.100 spettacoli in almeno 100 sale.
Per film che costano meno di 3,5 milioni di euro, l’investimento in promozione obbligatorio è di 90.000 euro e il film deve rimanere in 70 sale con almeno 980 spettacoli (non parliamo di opere prime e seconde, giovani autori o particolare merito artistico), con una proiezione nelle fasce 18.30 e 21.30. Questi requisiti, al pari di quelli che seguiranno, sono stati definiti da Borrelli come molto inferiori alle medie, quindi facili da raggiungere.
Molta polemica c’è stata su quali siano queste società primarie di distribuzione con cui si deve avere in piedi un contratto di distribuzione. Non c’è al momento un decreto (ma arriverà) e quindi nemmeno una classifica; saranno 20 e Borrelli ha specificato che la ventesima ha meno dell’1% della quota di mercato, per dire che tutte quelle rilevanti (almeno per il cinema italiano) ci sono. E per quelle appena fondate o da fondarsi ci sarà una possibilità di essere comprese.
I contributi selettivi
Possono accedere ai contributi selettivi (selezionati appunto da una commissione che va ancora nominata) film di elevata qualità artistica, film su personaggi ed eventi che parlano dell’identità culturale (gli esempi sono stati Dante di Avati o Caravaggio di Placido che costano ma hanno un profilo identitario) , opere prime e seconde, giovani autori ecc. ecc. O anche film che hanno avuto accesso a contributi sovranazionali anche solo per lo sviluppo. Oggi, dice Borrelli, sono centinaia i film che accedono ai contributi selettivi e queste modifiche raddoppiano quelli che possono accedervi, quindi saranno di più.
Per essere eleggibile, un film, se costa più di 3,5 milioni di euro, deve garantire un investimento in promozione non inferiore a 200.000 euro e almeno 2.100 spettacoli in 100 sale anche nelle fasce serali. Se costa meno di 3,5 milioni di euro, le proiezioni devono essere 240 nell’arco di tre mesi. Se poi costa meno di 1,5 milioni di euro, per accedere ai selettivi basta anche solo aver partecipato a un festival internazionale riconosciuto dal ministero e avere un contratto per messa in onda su una tv o una piattaforma.
Per le società straniere che vengono a girare in Italia, in una conferenza del giorno prima, è stato spiegato che non cambia praticamente niente, se non che il tax credit per produzioni di stati non europei passa dal 40% al 30% per obblighi dell’Unione Europea a cui si devono conformare tutti.
I requisiti minori
Ci sono poi una serie di modifiche minori ma non per questo meno importanti, come il fatto che non si può più spendere parte del budget eleggibile al di fuori dall’Italia (cosa che ci allinea con gli altri paesi europei), non si può più mettere le produzioni in appalto, cioè il beneficio del tax credit deve andare al produttore che mette in campo la produzione; sono meglio regolati i service, c’è un contributo di istruttoria tra i 200 e i 10.000 euro a seconda di cosa sia il progetto per cui si fa domanda (il minimo sono le sceneggiature, per esempio), il credito d’imposta viene concesso per il 40% a preventivo e il 60% a consuntivo per imprese ad elevata capacità produttiva mentre le altre possono scegliere se averlo invece al 70% a preventivo e 30% a consuntivo. Poi rimane il fatto che il limite massimo di credito per opera è di 9 milioni di euro, che diventano 18 se si attirano investimenti dall’estero, e l’intensità dell’aiuto ha un limite al 50%, che si può alzare all’80% (e non più al 100%) in caso di opere difficili in linea con le norme europee.
Ancora: il credito riconosciuto al personale coinvolto nella produzione (esclusi registi, sceneggiatori e attori principali) è nel limite del contratto collettivo di lavoro più il 20%, a patto che ci sia un contratto collettivo stipulato o rinnovato negli ultimi 5 anni (non si parla di tabellari minimi ma tutto quello che è previsto e regolato da quei contratti, quindi indennità di trasferta, straordinari…). Vengono rafforzate le verifiche sui costi delle opere da parte del certificatore. È ribadito l’obbligo per il produttore di inserire nei contratti clausole sulla base delle quali si possa avere evidenza di fruizione delle opere sostenute dallo Stato, così da poter fare valutazioni qualitative. Questa era una norma che, nei primi documenti trapelati, aveva fatto preoccupare ma è stato specificato che il produttore ha il solo obbligo di inserire le clausole nel contratto; se poi la controparte non fornisce i dati, non è ritenuto colpevole.
Ci sono poi delle disposizioni che riguardano l’uso dell’intelligenza artificiale. Dovrà essere inserito in testa e in coda dove è stata usata; va inserita una clausola nei contratti con interpreti ed esecutori che preveda che le controparti possano non acconsentire allo sfruttamento delle loro opere o prestazioni da parte di sistemi di intelligenza artificiale. I costi per l’uso di intelligenza artificiale che non siano in post-produzione non sono eleggibili per il tax credit.
Le proteste dei produttori
Finita la spiegazione delle novità, alcuni produttori presenti in sala hanno rivolto domande a Borrelli. Le proteste o richieste che più hanno riscosso entusiasmo e approvazione dalla platea e che quindi sembrano più condivise, sono andate in due direzioni principali: da una parte c’è la protesta di chi ha ricevuto i selettivi nel 2023 ma non può accedere grazie a quelli al tax credit per il 2024, cioè sta tra i due sistemi, in un gap. A loro Borrelli ha risposto che non ci può essere sanatoria, che il sistema è fatto proprio per dare un taglio e che le commissioni che hanno attribuito i selettivi nel 2023 lo hanno fatto in base a criteri della vecchia legge e chi lo farà nel 2024 lo farà in base ai nuovi criteri, ragione per la quale chi è stato approvato nel 2023 non può automaticamente avere accesso al tax credit del 2024, ma se vuole può rinunciare al selettivo del 2023 e fare domanda per quello del 2024. Su questo la platea è insorta. Ci sono infatti società che hanno visto i loro film approvati dal ministero e che tuttavia ora non possono avere accesso al tax credit. È una situazione transitoria, che riguarda questo anno e questo passaggio, ma non per questo meno grave.
Ci sono state anche proteste più generali sull’impianto e soprattutto sul fatto che i fondi delle regioni non contribuiscono alla qualifica per i selettivi (problema molto sentito dalla platea), a cui è stato risposto seccamente: “No, non sono previsti”. Lucia Borgonzoni ha poi precisato che la ragione per la quale non sono stati inseriti è perché si tratta sempre di fondi pubblici e non di privati. Quando a questo è stato risposto che però i fondi pubblici sovranazionali vengono considerati, è emerso quello che era stato detto all’inizio, cioè che l’obiettivo delle modifiche è di tagliare qualcuno fuori, che non tutti possono o devono accedere, altrimenti si ritorna alla situazione che si intende sanare con queste modifiche e che la scelta è stata questa: “In un contesto in cui ci sono 600 opere che chiedono il credito d'imposta, il tentativo di restringere il cerchio a opere con un senso è andato nella direzione di ritenere che la selezione sia fatta o dal mercato o dagli esperti deputati dalla legge cinema. E abbiamo deciso di circoscrivere il tutto a fondi nazionali e internazionali”.
Gianluca Curti di Minerva Pictures, particolarmente vocale, ha chiesto al ministero di agire sulle piattaforme, perché se per i film con budget di meno di 1,5 milioni di euro c’è un obbligo di programmazione su una tv o una piattaforma, è vero che queste piattaforme spesso hanno poco interesse nei film da meno di 1,5 milioni di euro (“per logiche di algoritmo”, ha detto) e quindi andrebbero incitate e aiutate a prenderli: “Se c’è un obbligo ma poi quelle aziende non comprano i film in questione, c’è un cortocircuito”. A questo Borrelli ha risposto che è un tema che stanno considerando.
Un ultimo problema sollevato è che se il bando dei selettivi verrà aperto tra poco, quando verranno comunicate le opere che hanno accesso? E questo avverrà in tempo per presentare domanda per il tax credit prima che scadano i termini? Borrelli ha risposto che contano di ricevere le domande a settembre e rispondere a novembre. La sala ha mormorato perché in realtà nel 2023 la risposta è avvenuta ad aprile dell’anno successivo. Qui l’aria si è scaldata. Il punto è che le richieste erano state tantissime e prima che vengano elaborate ci vuole tempo. Borrelli ha scaricato la responsabilità sulla commissione, che si prende il suo tempo per selezionare.“Speriamo non arrivino 700 domande!” ha chiuso, ribadendo di nuovo che l’intento è quello: fare in modo che in molti (si spera quelli con intenzioni poco serie) non possano accedere ai fondi pubblici e non facciano richiesta.