Taverna Paradiso non è (solo) Rocky con il wrestling
Sarebbe limitante ridurre Taverna Paradiso a una formula: è un passaggio fondamentale, anche se non del tutto riuscito, nella carriera di Sly
Questo speciale fa parte della rubrica Tutto quello che so sulla vita l’ho imparato da Sylvester Stallone.
È un’esagerazione, ma neanche troppo: nel contesto della carriera di Stallone, Taverna Paradiso potrebbe quasi (quasi) essere definito un “film maledetto”, e sicuramente un flop con i suoi sette milioni di incasso a fronte dei sei di budget. La vera maledizione, però, è che, come ha raccontato più volte lo stesso Sly, Taverna Paradiso sarebbe dovuto essere, nei piani di Stallone, quello che poi fu Rocky. La prima sceneggiatura del film pre-data Rocky: Stallone racconta di averla scritta e poi proposta a un agente rivelatosi presto “un verme” (parole sue), che invece di aiutarlo a realizzarla gli mise i bastoni tra le ruote, risultando così sgradevole da convincere Irwin Winkler e Robert Chartoff a mollare il colpo e abbandonare il progetto.
La fortuna di Stallone fu che Winkler e Chartoff capirono subito che il problema non era lui né la sua sceneggiatura, e gli chiesero quindi se avesse altro da proporre, libero dalle grinfie del verme. Stallone tornò a casa e scrisse Rocky, e il resto è storia – tranne per Taverna Paradiso, che venne appunto dimenticato. Il successo di Rocky, però, fece riemergere il progetto, nel quale Sly vide tra l’altro l’opportunità di fare una cosa che avrebbe già voluto fare due anni prima: non solo scrivere e interpretare, ma anche dirigere il film. Uno Stallone in totale libertà creativa, insomma, senza alcun legame con franchise già esistenti; solo lui e le sue storie di presunti sempliciotti in cerca di riscatto.
Al contrario Lenny è il Rocky silenzioso e umorale, pessimista e cinico, quello intimamente sconfitto; che è anche quello più pericoloso, perché è quello che più facilmente perde il controllo fino a sfigurarsi quando si superano certi limiti. Ed è anche quello che altrettanto facilmente cede alla tentazione di quello che potremmo chiamare il Lato Oscuro, lo stesso che Rocky esplorava già a partire da Rocky II e che culmina nella totale decadenza di Rocky V. Infine c’è Victor, che è il fanciullino, l’animo più puro e innocente di Rocky, ma è anche il corpo, il braccio armato – nel contesto del trio di fratelli protagonisti di Taverna Paradiso, lui è quello grosso. Tonto, sì, ma una montagna umana, e sappiamo bene quanto Stallone ritenga il corpo importante per la propria affermazione.
Dove quindi Rocky era una storia di dedizione assoluta alla causa, di sacrificio e quasi di annullamento del sé in favore della vittoria, Taverna Paradiso è un costante tiro alla fune nel quale i ruoli si ribaltano continuamente: Cosmo è quello che spinge Victor ad avvicinarsi al ring, mentre Lenny è quello con i dubbi perché ha paura per l’incolumità del fratello; almeno finché non avviene esattamente il contrario, e i due fratelli maggiori si scambiano i ruoli. Manca quella capacità di sintesi, di puntare direttamente al cuore della vicenda senza perdersi in mille rivoli, che caratterizza invece la sceneggiatura di Rocky. Possiamo solo immaginare quanto Winkler e Chartoff siano stati contenti di ricevere quest’ultima come alternativa a quella di Taverna Paradiso.
Anche sul lato puramente estetico il primo film da regista di Stallone risente un po’ dell’inesperienza e del suo proverbiale eccessivo entusiasmo. Taverna Paradiso è un film barocco e sovrabbondante, che filtra e codifica ogni scena con colori accesi ai limiti dell’autoparodia (l’eponima Taverna Paradiso è illuminata con un arancione talmente intenso da far invidia ai migliori tramonti di Tony Scott), nel quale Stallone si diverte a citare, con i movimenti di macchina, più o meno qualsiasi cosa, dai vecchi noir ai film più urbani della New Hollywood. È un film nel quale Sly ha a disposizione Tom Waits (alla sua prima apparizione cinematografica in assoluto) ma scelte di cantare lui la canzone sui titoli di testa.
Con il senno di poi si tratta comunque di difetti di gioventù, di quello che succede quando vuoi strafare e dimostrare tutto quanto alla tua prima occasione. Certi eccessi sanno quasi di vendetta nei confronti di chi non l’aveva lasciato lavorare a quest’idea: “Ora che posso farlo” sembra dire Stallone “lo faccio come dico io, non mi importa se è troppo”. Ci azzardiamo anche ad andare oltre: se non fosse per l’inevitabile confronto con Rocky – e ci sarebbe qui da fare una considerazione sulla differenza tra il fare un film sportivo sulla boxe e uno sul ben più coreografato e premeditato wrestling –, Taverna Paradiso sarebbe ricordato molto meglio (o almeno sarebbe ricordato!), come un esordio interessante seppure un po’ grezzo e con la necessità di qualche limatura qui e là.
Invece Rocky esiste, e Taverna Paradiso, poverino, è stato dimenticato.