C'era una volta a... Hollywood: tutto quello che hanno detto Tarantino, DiCaprio e Margot Robbie a Roma!
La presentazione di C'era una volta a... Hollywood è stata occasione per i due attori e il regista di parlare della carriera, del 1969 e della Hollywood di oggi
Ma c’è qualcosa di più di questo nella storia di Rick Dalton, è lo sguardo di Tarantino che modifica tutto, lo spiega sempre DiCaprio poco dopo: “Quentin ama e rispetta film e serie tv di cowboy degli anni ‘60 (roba che io non avrei mai guardato) tanto quanto i grandi capolavori che tutti veneriamo. Rispetta un attore come Ralph Meeker, che io non avevo mai sentito, ma quando ho iniziato a scorrere la sua filmografia e a documentarmi sulla sua vita con grande rispetto, ho iniziato a capire come qualcuno come lui alla fine sarà probabilmente dimenticato nel tempo. E quella è la base di Rick Dalton: non avrà i ruoli che voleva ma ha dato un grande contributo al cinema e alla tv probabilmente senza riuscire mai a capirlo”.
Missione Compiuta Stop. Bacioni Matt Helm
Una parte importante ad un certo punto del film la gioca Missione Compiuta Stop. Bacioni Matt Helm, il film (vero) a cui prese parte Sharon Tate e che in C’era una volta a… Hollywood il personaggio Tate va a vedere in un cinema per rivedersi sul grande schermo: “The Wrecking Crew [titolo originale del film ndr] l’ho visto in sala in quell’anno lì, quando uscì, avevo 6 anni” dice Tarantino “Ricordo che ero già fan di Dean Martin ovviamente ma quando i miei mi hanno portato a vederlo rimasi rapito da Sharon Tate, era davvero divertente, aveva ottimi toni da commedia ottimi e sapeva portare bene le gag slapstick. E vedere una ragazza carina che cade continuamente senza perdere l’aplomb era affascinante per me, ne ero rapito. Amo il regista Michael Ritchie anche se quel film è abbastanza scemo, però Sharon Tate è fantastica”.
Quella scena inoltre contiene diverse parti autobiografiche come il controllare il nome di lei sui cartelloni (come fece lui dopo la proiezione) e tutta la connessione con La Valle Delle Bambole e anche un altro dettaglio raccontato da Margot Robbie: “Quando giravamo Quentin mi raccontò questa storia accadutagli davvero. Andò a vedere Una Vita Al Massimo al cinema e chiese di entrare senza pagare perché aveva scritto il film [come fa Sharon Tate in quella scena ndr.]. Era una cosa tenerissima. Ci sono molti ricordi Quentin nel film è questo lo rende intimo e personale”.
Il 1969
L’anno scelto per l’ambientazione del film è cruciale per tanti versi diversi, lo stesso DiCaprio però non era a conoscenza di tutto quel che avvenne proprio in quell’anno al cinema e nella società: “Sono andato a googlarlo e ho scoperto che è stato un punto di svolta importantissimo nella storia americana e per il cinema americano. Uno che ha segnato la strada per l’era dei registi al potere ad Hollywood in cui sono stati girati alcuni dei film più importanti di sempre”.
Sia DiCaprio che Margot Robbie non erano nati nel 1969 ma anche per Tarantino (che invece c’era) è molto complicato spiegare le differenze tra quel cinema e questo di oggi: “Già quello degli anni ‘90, quando ho iniziato, mi pare così diverso, figuriamoci quello del ‘69! Già solo nei ‘90 si costruivano i set, lo sfondo non era aggiunto dopo in postproduzione. Se guardi un film della Cannon come Space Vampires di Tobe Hooper, aveva dei set immensi che creavano nuovi mondi. Ho rivisto recentemente Corsari di Renny Harlin, era un buon film ma visto oggi è pazzesco! Costruirono un intero villaggio e realizzarono davvero le scene d’azione. Qualcosa si è perso credo nei film e nell’artigianato. Non critico il digitale solo perché sono un vecchio bacucco ma perché catturare un’immagine bene richiede un’abilità incredibile e farlo come fa Robert Richardson, in modo che nonostante tutto il processo di sviluppo e degradazione poi lo stesso risulti magnifica sullo schermo, è qualcosa che non tutti sanno fare e separa chi è capace da chi non lo è. Tutto questo mestiere sta scomparendo”.
Ma il buono del film, precisa Margot Robbie, è che quello che vediamo è il 1969 di Tarantino: “Appena ho letto lo script ho capito che c’è proprio il suo punto di vista. Ti sembra davvero di essere lì in quel tempo proprio perché Quentin l’ha reso speciale e vicino. Cosa suonavano alla radio, che canzoni potevi sentire camminando…. Tutto è perfetto e questo livello di dettaglio è la creazione del mondo. Ad oggi non capita spesso di avere davanti un set e non un green screen. Non posso dire che gioia fosse essere lì in quella scena nel cinema, anzi essere lì ad Hollywood nel 1969, perché quello è quel che mi sembrava, è stata una delle più grandi gioie della mia vita”.
La carriera
“Per metterla giù semplice” dice Leonardo DiCaprio “io sono cresciuto guardando film e non pensavo mai che sarei arrivato dove sono arrivati quelli che erano i miei eroi. Quindi mi considero costantemente in gara per ottenere ruoli in film sempre migliori con personaggi migliori, perché i miti a cui guardo hanno fatto così tanto e io vivo nel tentativo impossibile di arrivare al loro livello. Anche se so che non ce la farò mai”.
Dunque al netto dell’amore professato per il 1969 quello moderno è un ottimo periodo per lavorare ad Hollywood pure secondo Margot Robbie: “Per ragioni diverse sono felice di lavorare in questi anni. Ci sono ruoli eccitanti e di svolta per le donne. Non che non ne esistessero allora, ma so che Hollywood in quegli anni che rappresentiamo è molto cambiata e sta cambiando di nuovo adesso, profondamente”.
Ad un livello diverso DiCaprio è anche diventato un attore a cui registi come Scorsese o lo stesso Tarantino si sono affezionati, compito che è un privilegio ed un peso al tempo stesso: “Se ci pensassi davvero sarei troppo intimidito per poter fare il mio lavoro. Ad ogni attore giovane che vuole iniziare consiglio di guardare film e farsi degli eroi, creare la propria identità sulle spalle dei giganti”.
Infine Tarantino, che come carriera è ad un altro livello ed un altro punto rispetto ai due attori, si guarda indietro con una chiarezza disarmante: “Il primo libro che abbia mai letto sullo spaghetti western era intitolato “Spaghetti Western, The Opera Of Violence” [di Laurence Staig ndr] che è esattamente quello che ho cercato di fare lungo tutta la mia carriera. Sono un fan del cinema di genere in generale e dei B movies ovviamente. Ho sempre amato le versioni italiani come gli spaghetti western, un po’ meno i peplum, i macaroni fight movie, le sex comedies… E quello che mi piace degli spaghetti western, dei gialli o dei poliziotteschi è che partono da grandi film americani per reinventarli in modi nuovi per un pubblico nuovo con la stessa enfasi ed è una cosa che amo. Gente come Leone, Corbucci, Sollima e Tessari, sono partiti come critici cinematografici, poi sono diventati sceneggiatori e poi registi di seconda unità, quelle che dovevano realizzare le scene d’azione. Erano tanto appassionati di cinema quanto i registi della Nouvelle Vague. Ma alla fine quel che amo davvero è quel che li rende italiani, la maniera in cui sono legati all’opera, l’essere bigger than life, il vago surrealismo, a partire dalla musica ovviamente”.
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