Tarantino è giunto a 60 anni, l'età in cui ha promesso il ritiro. Ed è un'ottima idea
Chiudere con le regie per il cinema e ritirarsi dalla sala cinematografica fino a che Tarantino è all'apice non è solo un modo di chiudere in bellezza ma anche di migliorare
Perché l'aver progettato un ritiro dopo 10 film fatti e 30 anni di carriera è una grande idea per Quentin Tarantino
“I registi di solito non migliorano con la vecchiaia. Di solito i loro film peggiori sono più o meno gli ultimi quattro. Io ci tengo alla mia filmografia e un brutto film ne fotte tre buoni”
Ci sono gli attori, c’è il cinema, ci sono i B movie e c’è il cinema di serie A, soprattutto c’è la relazione tra queste due dimensioni produttive, la cui unione crea i film di Tarantino: totalmente B nelle premesse, negli argomenti, nelle ambientazioni, nelle trame e nei personaggi, eppure totalmente A nella riuscita. La celebrazione dell’era del cinema che ha formato Tarantino stesso e quindi creato la sua filmografia, decantata nel suo ultimo film. Sarebbe stato perfetto ma non è così. Ce ne sarà un altro, che sarà di nuovo un film sul cinema e che è facile ipotizzare non sarà lontano da questo quanto a visione e tema centrale (l’arte alta e l’arte bassa, la fine di un’era).
Tarantino aveva iniziato con i polizieschi, ha proseguito con le arti marziali, poi i film di auto, i western e infine un film sui film con tutta una parte violenta in chiusura. La storia della sua carriera è la storia del suo invecchiamento e del modo in cui gli ideali hanno preso il posto del disinteresse (Paul Schrader nello spiegare perché non amasse Tarantino anni fa diceva: “Quando vedo i suoi film e le citazioni ho sempre l’impressione che stia affermando di poter rifare quelle cose meglio” e poi “Io vengo dalla generazione che si chiedeva ‘Chi sono io?’ attraverso i film che faceva, Tarantino con i suoi sembra invece rispondere: ‘Chissenefrega’”). Era un cinema che rifiutava una posizione etica forte, si occupava di intrecci e rapporti tra persone, sfruttava tradimenti e inganni da cinema asiatico e solo da un certo punto in poi ha cominciato a farsi etico.
È stata la svolta storica il momento del cambio, quando ha iniziato a fare film in costume, fuori dal presente, ambientati sempre in momenti cruciali per la storia dell’uomo (schiavitù, nazismo, secessione, Manson) in cui raddrizare la storia o in cui prendere personaggi come quelli suoi vecchi (si pensi al dr. King Schultz) e fargli compiere scelte etiche anche contro il proprio interesse (anche se il primo germe di tutto questo lo si trova in Butch che non riesce a fare finta di niente e scappare dal negozio di armi e decide di tornare giù a salvare Marcelus Wallace, dopo essersi armato). Questo lento cambiare e dare sempre più peso all’etica e alla morale individuali è stato il mutamento più forte della sua filmografia e quello che l’ha portato sempre più lontano dalle origini. Che probabilmente è ciò che teme di più andando avanti.
“Quando un regista è fuori dal suo tempo, non è una cosa piacevole. Non voglio un umorismo datato nella mia filmografia, non voglio film che fanno pensare alla gente ‘Oddio questo è rimasto a 20 anni fa!’”.
Tarantino ha caratterizzato gli anni ‘90 e 2000, dopo Pulp Fiction quella maniera di giocare con il postmoderno e la storia del cinema all’interno dei film è diventata di uso comune, il suo modo di trattare la violenza è diventato di uso comune, la contaminazione con i generi come li si intendeva negli anni ‘70 è diventato uso comune. E non stupisce che dopo Kill Bill tutto il resto della sua filmografia sia un monumento alla fuga da quegli stereotipi, dal citazionismo spinto (con A prova di morte come ultima corsa con gli amici di un tempo) e dalla coolness esasperata.
È chiaro che sente che quello che lo caratterizza è sempre più un passato lontano, fuori moda e datato:
“Già mi sento un po’ come un vecchio che non capisce il presente se parliamo dei film che escono in questo momento. È quello che succede”.
Non vuole fare film per le piattaforme, non vuole fare film che sembrino tirati fuori da decenni fa. Al tempo stesso sente dentro di sé di essere più legato al passato che al presente (e la svolta storica lo dimostra). Per questo fa bene. Non ci sono dubbi. Non c’è nessun dubbio che fa bene a chiudere la carriera di cineasta per il cinema, e non soltanto perché evita di consegnare al pubblico una versione degradata di se stesso, ma perché non significa smettere di essere regista.
Ha detto più volte che vuole smettere di fare film e non di scrivere o dirigere. Serie tv o film per la tv li farebbe volentieri (e li farà perché glieli offriranno, ha detto questa cosa proprio perché glieli offrano). Cambiare, costringersi ad avere un altro approccio, misurarsi su altre lunghezze e altre modalità di creazione, gli farà bene, è quello che gli impedirà di fossilizzarsi e usare il suo talento per ripetere invece che per innovare.
Moltissimi registi peggiorano con l’avvicinarsi ai loro ultimi film perché sono in giro da così tanto da avere meno idee e meno voglia, da intendere il lavoro come qualcosa che si fa e non come una ragione di vita, perché tendono a rifugiarsi in quello che già sanno fare e che è quindi più facile fare, piuttosto che buttarsi in quello che non sanno fare e che richiederebbe impegno e innovazione per poter essere tentato. Cambiare settore (anche se non di molto) scrivere libri, saggi, serie o chissà cosa sarà fantastico. Chiunque abbia letto Cinema Speculation o il romanzo che espande Once Upon a Time In Hollywood o ancora che ascolta The Video Archives, il podcast che gestisce con Roger Avary, sa bene che quell'energia, quella conoscenza e quella testa da uomo di cinema sono ancora in grado di dire qualcosa di nuovo ed eccitante anche sui medesimi temi sempre trattati se c’è un mezzo diverso.
Forse però un rimpianto c’è. È un‘idea avuta, vagliata e poi scartata tempo fa. Nel 2021 in un’intervista con Bill Maher Tarantino ha confessato di aver pensato di rifare Le Iene come suo ultimo film, salvo poi decidere di non farlo. Sarebbe stato fantastico. Per un cineasta come lui che pensa se stesso già inquadrandosi nella storia del cinema, iniziare e finire la filmografia con lo stesso film, sulla stessa sceneggiatura ma filmata diversamente e con atltri attori, a inizio e fine carriera, così da mostrare tutto quello che cambia e quello che invece rimane di un cineasta quando ha 30 anni e quando ha 60 anni (ma anche quello che cambia nel mondo in 30 anni) sarebbe stato un esperimento eccezionale.