Tango & Cash è stato troppo maltrattato?
Tango & Cash piacque al pubblico, molto meno alla critica, che però forse nel 1989 prese un mezzo abbaglio
Questo speciale fa parte della rubrica Tutto quello che so sulla vita l’ho imparato da Sylvester Stallone.
Eppure Tango & Cash è una di quelle produzioni anni Ottanta/Novanta che al tempo vennero demolite dalla critica e descritte con frasi tranchant tipo “uno spreco di talento ed energia a tutti i livelli”. In questa rubrica ci occupiamo soprattutto di Sylvester Stallone, e in questo senso è impossibile essere d’accordo con chi al tempo smontò il film: lo Sly del film di Konchalovsky (… ora ci torniamo) è eccellente, una delle sue versioni migliori di quegli anni almeno al di fuori del doppio recinto Rocky/Rambo. Ma anche guardando a Tango & Cash nel suo insieme è difficile essere così severi.
Abbiamo detto che il film è di Konchalovsky ma la realtà è più intricata di così. Riassumendo, il regista russo resistette per buona parte delle riprese, ma i continui scontri con la produzione portarono alla fine al suo licenziamento (ufficialmente per ragioni di budget sforato) e a un doppio cambio in regia: prima Peter MacDonald, una delle seconde unità più attive e affidabili di Hollywood, che era anche produttore esecutivo e che diresse qualche scena in attesa di trovare un sostituto ufficiale, poi Albert Magnoli, famoso soprattutto per essere “il regista di Prince” (è suo per esempio Purple Rain). Nonostante le sostituzioni, però, resta evidente che Tango & Cash soffre di una certa crisi d’identità, e che abbia cambiato faccia nel corso della lavorazione.
Forse è perché nel frattempo sono passati più di trent’anni, ma quello che al tempo sembrò un mix indeciso di comicità e azione brutale, oggi in epoca di postmodernismo e pastiche come ragione di vita è una formula esplosiva e che funziona meglio di quanto potesse funzionare all’epoca. La storia è, in superficie, quella di un classico buddy cop, con due PMD (poliziotti molto diversi) che si trovano costretti a collaborare e scoprono così di stimarsi nonostante le differenze. Ma Tango & Cash è anche un prison movie, che non si vergogna di concentrare le sue gag più basilari e becere nelle sequenze ambientate dietro le sbarre. Ed è anche un film che finisce come i migliori action massimalisti anni Ottanta, con inseguimenti, sparatorie, esplosioni e persino un gigantesco labirinto di morte (che verrà citato anni dopo, più o meno volontariamente, nel finale del primo Jack Reacher con Tom Cruise).
Funziona così: Ray Tango (Sly) è un poliziotto stiloso ma efficace, “Armani con il distintivo” come lo definisce il suo collega Gabriel Tango (Kurt Russell), che è invece uno sfasciato vizioso e violento che usa metodi altrettanto poco ortodossi per ottenere quei risultati che l’hanno portato a essere il miglior detective della città. O il secondo migliore: Tango e Cash non si conoscono, non hanno mai lavorato insieme ma la loro fama come paladini di Los Angeles li precede come li precedono le voci sui loro approcci differenti al mestiere, e il risultato è che i due si odiano prima ancora di essersi incontrati. E l’incontro stesso non va secondo i classici canoni del buddy cop: i due non vengono affiancati da un superiore in vena di scherzi, ma si ritrovano costretti a lavorare insieme perché finiscono entrambi nel mirino del più grande supercriminale della città.
In barba a ogni tentazione di realismo e a ogni voglia di restare ancorati a un’oncia di plausibilità, Yves Perret è un villain quasi bondiano, una mente criminale che odia le soluzioni ovvie e facili e si diverte invece a organizzare un’elaborata trappola per i due poliziotti che più di tutti gli hanno creato problemi. Tango e Cash verranno incastrati per un omicidio che non hanno commesso, e finiranno in una galera governata con pugno di ferro dagli sgherri dello stesso Perret. Quello che comincia come un classico film con una coppia di improbabili detective si trasforma quindi in un prison movie, con la conseguente sterzata violenta che ci si può aspettare.
Tango & Cash è, in effetti, un film violento, più violento della media del genere e soprattutto meno spettacolarizzato (almeno fino a un certo punto) e più genuinamente cattivo. È un film di torture e umiliazioni, nel quale a un certo punto Sly e Kurt Russell finiscono con i piedi in una vasca d’acqua con di fianco un tizio con un cavo elettrico, e vengono fritti tra le risate di centinaia di cattivi armati di mazza da baseball. Sono le sequenze nelle quali si vede ancora l’idea originale di Konchalovsky: togliere il freno a mano e lasciare quindi che le battute costanti dei due protagonisti spicchino ulteriormente su uno sfondo di marciume, violenza e turpitudine.
Sono anche i momenti migliori di Tango & Cash, che per il resto si regge in gran parte sull’interazione tra i due protagonisti. I quali, a onor del vero, sono eccezionali, e hanno anche una discreta alchimia: come coppia da buddy cop non raggiungono gli apici dei migliori del genere (Willis e Wayans, Gibson e Glover), ma regalano comunque parecchie scene da incorniciare e qualche battuta da segnarsi e riciclare a ogni occasione buona. In questo sono aiutati da una sceneggiatura che spersonalizza il più possibile i villain, scegliendo di tratteggiarli come archetipi più che come persone, per concentrare tutta l’umanità su loro due; e sono aiutati anche da Teri Hatcher, chiaramente inserita come “quota rosa” indispensabile in un film del genere, ma che trova il modo di ritagliarsi una fetta dell’azione e di non limitarsi a essere solo un soprammobile molto prezioso.
Ci sono ottimi motivi per criticare Tango & Cash, che soprattutto nel secondo atto si perde qui e là in deviazioni narrative farraginose e inseguendo personaggi più interessanti su carta che nella pratica. Il suo clamoroso mix di violenza da cinema di genere e comicità parlata e fatta di punzecchiature costanti, però, è invecchiato meglio di quanto si potesse pensare all’epoca: lo si nota già dopo meno di cinque minuti, quando un collega si rivolge a Stallone dicendogli “chi ti credi di essere, Rambo?”, in un momento così meta- da sembrare quasi fuori posto nel 1989. Forse la sua unica vera sfortuna è che non si può non parlarne mettendo nello stesso discorso anche i vari L’ultimo boyscout e Arma letale; ma se l’unico vero difetto di un film è di non essere all’altezza di due capolavori, forse è il caso di rivalutarlo.