Suzume è Godzilla con il terremoto

Suzume è una grande metafora di uno specifico disastro naturale, che nella fantasia di Makoto Shinkai diventa un mostro grosso

Condividi

Suzume è su Netflix

Povero Makoto Shinkai: ogni volta che esce un suo nuovo film ci viene il sospetto che non si libererà mai del tutto dalla sindrome Your Name, e neanche dalla sindrome “devi diventare il vero erede di Hayao Miyazaki”. Prendete Suzume: non solo è il suo film più chiaramente Ghibli, è anche andato vicino a vincere il Golden Globe come Miglior Film d’Animazione salvo essere battuto alla fine proprio da Il ragazzo e l’airone del suo maestro e idolo. Ora che il film sul verme dei terremoti è arrivato su Netflix, però, fateci proporre una visione alternativa dell’opera, che non lo obblighi a confrontarsi con il genio di Miyazaki ma con il genio di Ishirō Honda.

Suzume e Godzilla

Non è la prima volta che Shinkai fa un film che racconta una storia per parlare d’altro, e in particolare non è la prima volta che tocca tematiche ambientali: il precedente Weathering With You era un film sul clima, una scelta che secondo lo stesso autore avrebbe fatto arrabbiare molta gente. Perché ogni tanto sembra che il destino di Shinkai sia ciclico: esce un suo nuovo film, al primo impatto viene accolto con meraviglia e stupore, poi qualcuno si accorge della metafora nascosta (o mica tanto nascosta) e la gente si divide in “smettila di parlare di queste cose e pensa a fare i cartoni!” e “se devi affrontare certi argomenti dovresti farlo in maniera più efficace e non sciacquando tutte con le tue stupide storie d’amore!”.

Your Name, ancora oggi considerato dai più il capolavoro di Shinkai, riusciva a mantenere un invidiabile equilibrio e dunque a non provocare reazioni così estreme. Suzume, invece, non fa neanche finta di voler restare sospeso tra amori adolescenziali e metafore apocalittiche, e punta quasi tutto sulle seconde. Shinkai si è ispirato a questo fatto che sicuramente ricorderete, che provocò quasi 20.000 morti e l’arcinoto danno alla centrale di Fukushima. E l’ha fatto nella maniera più esplicita che gli potesse venire in mente: dando forma fisica al terremoto stesso, e trasformandolo in un verme gigante che, be’, produce terremoti, per l’appunto.

È la stessa operazione concettuale che sta dietro a Godzilla, con la differenza, certo, che il mostro di Honda non incarnava una minaccia naturale ma molto umana. Ma al netto di questo, l’idea di Suzume è la stessa dei film della Toho: prendere un kaiju e attribuirgli un valore simbolico, lasciandolo comunque libero di sfasciare tutto.

Suzilla?

Che a Shinkai la storia d’amore interessi meno di altre volte è messo in chiaro molto presto. Suzume, la protagonista, si prende al volo una cotta per Souta, e il sospetto che viene in quel momento è che la romance possa prendersi il solito spazio, togliendo respiro al verme gigante. Invece, altrettanto rapidamente, Souta viene trasformato in una seggiolina, trasformando il film nel viaggio di una ragazza in compagnia di un oggetto di arredamento parlante. È, più ancora dell’immancabile gatto, forse la mossa più Miyazaki di tutto il film, ed è assolutamente esilarante soprattutto nel momento in cui si realizza che no, non si tratta di una gag momentanea: il bello di turno resterà una sedia per quasi due ore.

In questo modo, spostando in secondo piano il love interest di Suzume, il film può concentrarsi sul suo road trip in giro per il Giappone, nella strutturazione del quale, tra l’altro, emerge prepotente il passato nei videogiochi del suo autore. In generale, tutto Suzume è il più videoludico dei film di Shinkai, e questo lo rende libero anche di esagerare, e di puntare su soluzioni che, in assenza di termini più precisi, non esiteremo a definire “tamarrate”. Ed è giusto così: stiamo parlando di un kaiju movie, nel quale incidentalmente c’è anche un affascinante sconosciuto trasformato in mobile Ikea, non di una storia d’amore fantasy.

Ma che bello che bello che bello

E proprio le succitate tamarrate sono i momenti nei quali Suzume brilla di una luce accecante. Shinkai è un genio dell’animazione e ha un occhio e una fantasia che derivano sì da anni di studio dei film Ghibli, ma anche da una sua personale visione, e da una capacità francamente soprannaturale di coniugare animazione tradizionale e CGI senza farle mai cozzare. In parole più semplici, Suzume è proprio bello: da guardare in movimento, da mettere in pausa, da riavvolgere per godersi ancora una volta il vermone, o uno dei classici cieli di Shinkai.

Ha dei difetti? Probabilmente sì, uno su tutti la lunghezza (o quantomeno certe lungaggini), ma anche una certa leggerezza che accompagna tutta la prima metà di film e che cozza con la svolta decisamente più seriosa del climax. Ma è così piacevole da avere nel campo visivo per centoventi minuti che ci si passa sopra volentieri. Purtroppo, nessuno vi dirà mai che è il miglior film di Makoto Shinkai – a meno che non chiediate a noi dopo un paio di birre.

Cosa ne pensate? Ditecelo nei commenti!

Seguiteci su TikTok

Continua a leggere su BadTaste