Survival of the Dead – L’isola dei sopravvissuti, l’addio di George Romero
Survival of the Dead – L’isola dei sopravvissuti è l’ultimo film girato da George Romero prima della sua morte, ed è una lettera d’addio
Quando George Romero si trasferì in Canada, alla ricerca di una situazione fiscale più favorevole per produrre il suo ultimo film di zombi Survival of the Dead – L’isola dei sopravvissuti, non aveva idea di quanto la sfiga avrebbe preso sul serio quell’“ultimo”. Sesto capitolo di un franchise (anche se non ci piace chiamarlo così, meglio “universo” o “progetto creativo”) nato nel 1968 con un capolavoro – che oggi potete vedere gratuitamente, per intero e in HD, grazie a una curiosa situazione legata ai diritti d’autore – e proseguito con altrettante opere indimenticabili comprese quelle più sottovalutate, Survival of the Dead – L’isola dei sopravvissuti sarebbe dovuto essere, nelle intenzioni di Romero, la prima parte di una nuova trilogia, che addirittura il regista newyorkese avrebbe voluto girare tutta in una volta, back-to-back, sugli stessi set e con lo stesso cast.
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Poi, ovviamente, tragicamente, George Romero morì, con nel cassetto (e in qualche caso anche più avanti nel percorso) una lunga lista di progetti e sul curriculum, in fondo alla lista di tutte le sue opere, quasi come fosse un epitaffio, il suo ultimo, ultimo film. Nato (o resuscitato) come primo passo di un progetto più ampio e ambizioso, stroncato insieme al suo autore da un cancro al polmone, Survival of the Dead – L’isola dei sopravvissuti non riuscirà quindi mai a liberarsi da una certa aria di eterno incompiuto, un primo tentativo di cambiare un’altra volta le atmosfere della, chiamiamola così, “saga” che avrebbe avuto bisogno di altri capitoli per trovare la sua forma migliore. È il genere di opera con il quale nessuna persona di cinema vorrebbe mai chiudere la carriera, perché lascia aperte una serie di domande interessanti, e non sviluppati una gran quantità di spunti e provocazioni, e perché è un ulteriore scarto di tono rispetto ai capitoli precedenti che può lasciare disorientati – uno scarto con il quale lo stesso Romero non è del tutto a suo agio nel corso dei novanta snelli minuti di durata del film.
Le cronache dei morti viventi, il quinto film di zombi di Romero, era un esperimento stilistico, l’applicazione delle regole del found footage ma anche del guerrilla journalism a una classica storia di zombi. Con Survival of the Dead – L’isola dei sopravvissuti Romero torna invece in territori che gli sono più familiari, riprendendo le atmosfere e anche le dinamiche interpersonali soprattutto di Il giorno degli zombi, e in parte di La terra dei morti viventi. Permetteteci qui una piccola deviazione: i sei film dell’universo zombesco romeriano si possono sommariamente dividere in due categorie. Ci sono quelli più classicamente survival (La notte, Le cronache, in parte anche L’alba), nei quali i protagonisti si trovano in una situazione precaria nella quale le regole della società sono sospese, e ci sono quelli più sociologici, nei quali Romero esplora (anche) il modo in cui certi bastioni della nostra civiltà reagiscono a un’apocalisse.
Il giorno confinava la civiltà in una sacca rappresentata da una base militare; La terra, al contrario, ci presentava un’intera città che era riuscita a mantenersi relativamente umana nonostante l’assedio dell’orda. Survival of the Dead – L’isola dei sopravvissuti tende decisamente verso questo secondo approccio, ma tenta anche una mediazione con il primo, e ne approfitta anche per sperimentare con quel genere di umorismo che nasce spontaneo quando il gore diventa splatter e la violenza smette di essere realistica e diventa estrema e coreografica. È la storia di un gruppo di soldati che vagano per l’America rapinando e ammazzando e facendo qualsiasi cosa serva loro per restare vivi; ma è anche la storia (ispirata al classicone di William Wyler Il grande paese) di due famiglie che vivono su un’isola in mezzo all’Atlantico e sono quindi riuscite a mantenersi relativamente al sicuro dall’apocalisse, e hanno dunque dovuto inventarsi altri modi per rovinarsi l’esistenza.
La famiglia O’Flynn, capitanata dal patriarca Patrick e che controlla metà dell’isola, è convinta che gli zombi siano una minaccia e vadano ammazzati senza remore; la famiglia Muldoon, che controlla l’altra metà, crede invece che i non morti vadano rispettati e preservati, nella speranza un giorno che si trovi una cura per la loro condizione, o che la malattia regredisca da sola. Il risultato di queste incolmabili differenze ideologiche, che vanno ben al di là della questione degli zombi e affondano le loro radici in una rivalità che va avanti da secoli, è che sull’isola dei sopravvissuti ci sono zombi postini, zombi agricoltori, zombi incatenati al luogo che più li rappresenta e costretti a ripetere ossessivamente le stesse azioni per la gioia dei vivi.
Di tutte le idee più nere e ciniche avute da Romero nel corso della sua carriera, questa è probabilmente la più crudele: è uno spunto simile a quello di un romanzo uscito nel 2005, L’estate dei morti viventi, ma senza la malinconia e la dolcezza del libro di Lindqvist, sostituita da una generica cattiveria che sembra volerci ricordare che vivi o morti noi esseri umani siamo tendenzialmente tutti stronzi. L’intero cast di Survival of the Dead – L’isola dei sopravvissuti è composto di persone in varia misura sgradevoli: ora che è finito il mondo, anche le poche tracce di civiltà rimaste sono da buttare, una base dalla quale nessuno vorrebbe ripartire per ricostruire il mondo.
E quindi, consapevole dello spettacolo abrasivo che sta mettendo in scena, Romero decide con questo film di provare a fare qualcosa che fino a quel momento aveva solo sfiorato: come si dice tecnicamente, buttarla in vacca. Survival of the Dead – L’isola dei sopravvissuti contiene quelle che sono probabilmente le scene più assurde e comicamente estreme mai girate da Romero, dalle teste impalate parlanti al gusto con cui le parti del corpo di vivi e morti esplodono costantemente in una cascata di viscere e salsa di pomodoro. A tratti sembra un film girato da un ventenne iperentusiasta che ha appena scoperto i film di Romero ma anche quelli di Peter Jackson (in particolare uno che dà il nome a un noto sito di cinema); Kenneth Welsh da solo sputa più one-liner che il resto degli attori romeriani dal 1968 in avanti, e a tratti le dinamiche tra i soldati (che arrivano sull’isola con una scusa che non stiamo a spiegarvi e la cui presenza diventa l’elemento decisivo per destabilizzare definitivamente gli equilibri locali) fanno pensare a film come Predator.
Survival of the Dead – L’isola dei sopravvissuti è un film nerissimo, nel quale Romero che lascia ben poche speranze sul futuro (fa eccezione il finale vero e proprio, scritto però chiaramente con altri due film in testa) e sull’umanità in generale. E quindi affronta questa tragedia esistenziale nell’unico modo che non ci porti a impazzire: ridendoci su. È come se Romero si fosse definitivamente arreso e avesse deciso che sopravvivere non è importante quanto andarsene divertendosi. E in questo senso, Survival of the Dead è un perfetto “ultimo film della carriera” – altro che sfiga.
Questo speciale è realizzato in partnership con Minerva Pictures