Suicide Squad: quanto è vicina l’Ayer Cut? Sarebbe veramente una buona mossa per la DC?
Continua la campagna verso la Ayer Cut di Suicide Squad. Se mai arrivasse sarebbe veramente un segnale positivo per l'universo DC?
Persino i detrattori erano curiosi di vedere Zack Snyder’s Justice League. Anni di leggende e di leak avevano alimentato il mito di un montaggio che, fino a che non è stato annunciato, sembrava uno di quei “segreti di stato” da thriller politico. Hard disk pieni di tutta quella storia che Joss Whedon aveva tolto dal suo film. Chiusi in luoghi segretissimi. Immagini inaccessibili finalmente rilasciate al pubblico: una bomba che la produzione stessa ha deciso di rilasciare su sé stessa.
E così ecco arrivare prontamente la chiusura rispetto a nuovi restyling di questo tipo. Nessuno snyderverse insomma. Con conseguente sommossa proprio di quel popolo che si era cercato di tenere a bada dando quanto richiesto. Justice League non è infatti l’unico obiettivo della campagna #Restore. Figlio minore, molto meno di peso nella continuity, è anche il Suicide Squad di David Ayer. Una volta sazio dell’opera di Snyder, il fandom ha infatti spostato la sua attenzione verso questo nuovo bersaglio.
Leak è la parola d’ordine in questo caso. Rubare, trafugare, mostrare tutto quello che c’è a disposizione fino a che non si sarà visto quasi tutto il film. A questo punto la mossa più logica per lo studio sarà montarlo, finirlo e portarlo al mondo. Così non solo ci siamo trovati inondati di immagini, abbiamo avuto anche pagine dello script con conseguente conferma del regista. David Ayer ha smesso da tempo infatti di tenere la posizione composta e rispettosa delle decisioni dei piani alti. Ora spinge più che mai.
La campagna nell’ultimo periodo ha solo rallentato, ma non si è mai fermata. E quando ci sono questi sobbalzi, periodi di silenzio a cui seguono nuove informazioni, significa che qualcosa di sotto si muove.
Il 15 di febbraio il profilo Twitter The Film Exile Podcast ha addirittura pubblicato in rete un video che mostra una scena leggermente estesa del salvataggio di Harley Quinn da parte del Joker di Jared Leto. Non è chiaro chi gliel’abbia fornita e perché proprio ora. Fatto sta che la Ayer Cut di Suicide Squad è ancora sulla bocca di tutti.
Come nel caso di Justice League è impossibile non essere incuriositi a riguardo. Anche se non si ama questo tipo di cinema, poter confrontare versioni, osservare l’impatto concreto che le decisioni e le pressioni produttive hanno su una stessa sceneggiatura, è sicuramente una grande occasione di studio "accademico".
Il problema è che di Justice League non c’è più stato un seguito. Mentre di Suicide Squad sì, e l’ha fatto James Gunn con un film solidissimo che ha rinfrescato il brand aprendo pure diramazioni come la serie tv Peacemaker. Se i fan riuscissero a ottenere la Ayer Cut farebbero uno sgambetto clamoroso proprio all’universo che amano. Gli anni appena trascorsi sono stati per l’universo DC come delle scosse di assestamento. Ne sono usciti con la consapevolezza che non c’è bisogno di inseguire senza fiato l’idea di un “verse” alternativo a quello della Marvel. Anzi, il diffondersi del concetto narrativo di multiverso (la struttura teorica delle storie) facilita l’operazione di diversificazione che hanno intrapreso.
Stanno infatti gestendo le diverse proprietà come isolate e ben curate dai propri autori. Joker si è imposto come un grandissimo successo oltre ogni più rosea aspettativa. Perché ha incassato bene piacendo a molti, e soprattutto prendendo un nuovo pubblico d’essai che mai prima d’ora aveva visto questo tipo di film.
The Suicide Squad di James Gunn si era liberato da ogni logica di continuità dal passato. Peacemaker l’ha recuperata piano piano. Come succede con i numeri zero all’inizio di una run dei fumetti. Non sono slegati dal precedente, ma iniziano una storia perfettamente comprensibile anche senza avere letto quello che è stato scritto negli anni precedenti.
Cosa sarà The Batman è ancora un mistero, ma a giudicare dai trailer la direzione sembra decisamente quella giusta. The Flash invece promette di onorare il passato di questi personaggi, di essere il più incastonato nella mitologia (staremo a vedere).
Un tempo la DC costruiva il suo universo senza pensare troppo in lungo. Viveva di film in film senza pianificare fasi. Ora, per lo meno, sta cercando una nuova via e per la prima volta lo sta facendo senza guardare a strutture già consolidate. Ha creato un modello originale e coerente con la storia editoriale. Film molto ambiziosi, più slegati dalla continuity e con una fortissima identità (non tanto autoriale quanto proprio di tono del personaggio).
Sono questi i progetti da supportare. Perché vanno avanti e tentano strade nuove.
Invece, riproporre ancora una volta quella Suicide Squad, seppure in una versione rimontata e molto estesa, è vissuto come un atto di giustizia verso il lavoro del regista. Anche se, per questo, ci sono contratti, avvocati e dinamiche interne che regolano i rapporti tra parti, non sono le sommosse popolari a dover dare soddisfazione ai creativi. Piuttosto è un atto di ingiustizia per i nuovi autori che prenderanno le redini dei personaggi.
Quando un amore nato con grandi aspettative delude e spacca in due il cuore, si ritorna sempre nello stesso punto di rottura. Sperando che sia meglio, sperando che sia diverso. Così anche con il cinema. Più si vuole superare una delusione passata più ci si sofferma sul fallimento, senza riuscire a guardare oltre.
Il problema della DC non è la Ayer Cut, ma è l’incapacità di ammettere che ora delle cose veramente ben riuscite e interessanti si stanno facendo. Si parla così poco di una deliziosa commedia come Shazam! mentre si continua a cercare di sistemare le cose che non hanno funzionato.
A ben guardare quello delle director's cut non è un gioco molto diverso da quello fatto dalla Disney\Marvel. Solo che loro lo operano in fase di produzione, con infiniti studi, ricerche di mercato e test screening. Poi quando esce il film è, pur con qualche eccezione (vedasi No Way Home), sempre lo stesso. Warner\DC sono costrette (anche se si sono messe da sole in questo punto) a ricevere delle analisi del sentimento della popolazione, condotte dagli spettatori stessi e a pubblicare versioni rivedute e corrette secondo richiesta.
Nel cinema poi si è fatto e si farà di tutto. Perché, per fortuna, capita che ci siano scelte contro corrente e contro ogni logica che rivoluzionano in positivo l’ambiente creativo. Però prendere alla leggera il fatto che il film che arriva in sala possa essere solo una delle tante versioni e che, sulla base dei gusti, si possa fruire di una o dell’altra, è un pensiero depotenziante e irrispettoso.
Lo è perché fa perdere ogni concetto di autore. Non lo è il regista, ma non lo è più nemmeno lo studio! Senza autore non c’è espressione di un punto di vista, se non quello collettivo. Il cinema non è democratico. Il cinema è bello perché una minoranza sceglie cosa vedrà la maggioranza. Così ci si arrabbia quando una pellicola non funziona perché ci si sente traditi. Però si può anche sposare un’idea, venire interpellati da un linguaggio diverso dal nostro.
Il rischio è che non si accetti più quello che è uno dei pochi diritti in capo all’oggetto-film. Ovvero la possibilità di fare schifo. Possono arrivare in sala cocenti delusioni, o versioni non approvate dal regista. Sarà il tempo a correggere la stortura. Se il film è veramente valido riuscirà comunque ad entrare nell’immaginario, a sopravvivere agli anni e ci sarà una filologia del cinema a rimetterlo in sesto e ricomporlo.
L’operazione forzata e artificiale della Ayer Cut, se mai si realizzerà, potrebbe portare ad un film molto migliore, se non addirittura bellissimo. Non sarebbe però un atto di giustizia. I film devono uscire dai laboratori, essere codificati dentro un DCP, trasportato in sala all’esercente che ne proietterà la forma finale. Il biglietto conta e merita di essere pagato solo se ci si presenta di fronte un’opera completa. Non un sondaggio in attesa di feedback per ritornare in studio e girare una versione diversa, ma con lo stesso titolo, trama e personaggi.
Semmai quindi la battaglia dovrebbe essere fatta su questo: cioè che lo spettatore venga sempre rispettato, così come gli autori, per mantenere intatto quel patto dialogico che si forma tra chi parla e chi ascolta. Vale la pena pretendere che ci sia rispetto sia della volontà del regista sia dell’intelligenza dello spettatore che si è recato in sala per vedere l’opera della persona che firma il film. Non dare una seconda possibilità agli studi. Perché le patch al cinema ora sono curiose novità, alla lunga inaridiranno il bello di farsi turbare da un film. Perché arrabbiarsi, essere delusi, addirittura schifati, fa parte al 100% dell’esperienza artistica come quando si rimane senza fiato di fronte alla bellezza. Non privateci di questo piacere.
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