Un successo in sala di Air - La storia del grande salto potrebbe cambiare molte cose ad Hollywood

Con Artists Equity Matt Damon e Ben Affleck vogliono creare un nuovo modello produttivo che consenta di produrre film come Air

Critico e giornalista cinematografico


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Ben Affleck e Matt Damon si giocano molto con Air - La storia del grande salto, primo film della loro nuova casa di produzione Artists Equity e del suo nuovo modello produttivo che promette di rendere di nuovo economicamente convenienti i film adulti

Se nel guardare Air avrete l’impressione che il film faccia di tutto per rendere accattivante, commerciale e piacevole una storia dai temi molto adulti e complessi è perché questo film è più di un semplice film, è il primo atto di un tentativo di piccola rivoluzione e come tale deve assolutamente andare bene, deve essere un successo, deve dimostrare che questo nuovo modello produttivo, creato da Ben Affleck e Matt Damon funziona e può riportare in auge i film adulti. Anche in sala. Ed è curioso (ma forse nemmeno troppo) che per tentare questo cambiamento i due abbiano scelto di partire con la storia di un grande cambiamento industriale che è passato per una trovata commerciale in un ambito creativo, cioè quando la Nike ha rivoluzionato il mondo dei testimonial sportivi, inventando un nuovo tipo di contratto per commercializzare insieme ad un atleta, e condividendo i proventi con lui, un nuovo tipo di scarpa. Commercio al servizio della creatività dividendo i profitti. Esattamente quello che i due hanno intenzione di fare a partire da Air.

Ben Affleck a novembre con un’intervista sul New York Times piena di dichiarazioni roboanti annunciava Artists Equity, una società di produzione nuova di cui loro due sono i capi (uno CEO l’altro CCO, cioè quello che si occupa dei contenuti), con un finanziamento da 100 milioni di dollari da parte di un gruppo di investimento specializzato in media, RedBird. Air è il primo film di Artists Equity e quindi anche il primo ad applicare la loro filosofia produttiva molto adatta a questi tempi. Tutti partecipano degli incassi. Non solo gli attori e i più pagati (come i registi) ma anche i tecnici. Una paga ovviamente c’è, in caso il film andasse male e non ci fossero utili da dividere comunque sono pagati, ma meno del solito così che le royalties compensino.

Sembra un’idea commerciale non troppo conveniente e una volta lo sarebbe stata ma oggi che le piattaforme non dividono niente con nessuno, danno poche royalties e non comunicano i dati di fruizione, la posizione dei tecnici è più in bilico che mai. Artists Equity promette invece rendite perpetue in caso di buon successo, perché nonostante vendano il film ad una distribuzione se va in sala o ad una piattaforma se va in streaming (Air è stato venduto a Prime Video e Prime lo ha dato a Warner per la distribuzione in sala), lo stesso detengono i diritti di sfruttamento, cioè finito il periodo in cui il film è di Prime i diritti tornano a loro. E se il film è stato un successo viene rivenduto e quindi altre royalties.

Sia chiaro non capita spesso che un film possa essere rivenduto più volte a cifre che divise per tutti gli aventi diritto creano un bel reddito, sono casi rari ma se capitano danno vita a rendite che non si vedono spesso. Almeno così dice Ben Affleck. L’esempio che fa è di Le ali della libertà, un film continuamente rivenduto e riprogrammato e rinoleggiato che continua ad essere visto e fosse stato fatto con questo sistema avrebbe prodotto una rendita per chi ci ha lavorato. Tutti. Ora, dice sempre Affleck, per quanto riguarda Air visto che il film è stato preso da Prime e quindi è già stato venduto (non deve attendere gli incassi), se si considera la paga settimanale chi ha lavorato al film è il membro di una troupe più pagato della storia di Hollywood. Se economicamente il film è già una storia di successo, il fatto che debba esserlo anche in sala o su Prime è legato a dimostrare che esiste un pubblico per queste produzioni.

Tutto ciò infatti non è solo un modo più equo di produrre ma anche uno per riuscire a tornare a girare film di livello medio a costi accettabili. Esattamente quello che gli studios hanno quasi smesso di fare. Affleck e Damon hanno creato Artists Equity non solo per distribuire la ricchezza ma (e questo è dichiarato) per trovare una maniera per girare film che non siano i soliti blockbuster e somiglino più al tipo di cinema che loro hanno sempre fatto (affiancando anche i blockbuster eh) e con il quale sono emersi nel 1997 scrivendo e interpretando Will Hunting - Genio ribelle (che gli fruttò anche un Oscar).

Questa è la strategia primaria. Secondariamente Artists Equity è anche uno studio creato da creatori, cioè come la Pixar al vertice non ci sono produttori puri ma Damon e Affleck, dei creativi che promettono di gestire le cose diversamente. Nella storia di Hollywood non è certo la prima volta che accade, il sogno di liberarsi dei produttori è vecchio quanto il cinema o almeno quanto la United Artists di Charlie Chaplin, Mary Pickford, D.W. Griffith e Douglas Fairbanks. Alle volte è andato bene, come per l’appunto nel caso della United Artists, altre, come nel caso della American Zoetrope con la quale Francis Ford Coppola aveva provato a cambiare Hollywood, meno.

Questi sembrano però gli anni giusti per provarci, quelli in cui i contenuti contano più che mai, ce n’è grande fame e il cinema che Affleck e Damon promettono (e Air effettivamente consegna) in effetti non si fa nonostante palesemente ci sia un pubblico. Ovviamente Artists Equity vuole anche costruire proprietà intellettuali, cioè vuole fare anche franchise, ma il loro focus primario rimane quel tipo di cinema che gli americani chiamano “adulto”. Nel 2023 dovrebbero uscire 3 film dallo studio, invece a partire dal 2024 la media di produzioni dovrebbe essere di 5 l’anno.

La quantità di film è un punto fondamentale. Affleck si era duramente espresso a novembre contro il fatto che Netflix e altre piattaforme producano così tanto da non poter controllare la quantità (sarà contento di sapere che è cambiato tutto anche a Netflix) e che invece bisogna curare di più i prodotti. All’Hollywood Reporter ha rilasciato un’intervista in cui racconta di essere uscito devastato da Justice League e da tutti quei problemi di produzione, depresso dall’aver recitato qualcosa che non aveva voglia di fare, lontano da casa, in una produzione infernale e quindi ora desideroso di cambiare tutto. L’insuccesso all’alba del COVID di Tornare a vincere poi è stato un’altra botta forte che lo ha spinto a rischiare.

Air è stato preso da Amazon quasi subito, già un anno fa era uscita la notizia, quindi in un certo senso Artists Equity si è ripagata perché parte della produzione è gravata su Amazon, la quale sembra puntarci tantissimo. Il film in totale è costato 90 milioni e Amazon ne ha spesi 7 solo per una pubblicità durante il Superbowl. La scommessa sembra di quelle che possono essere vinte, Ben Affleck ha girato 4 film da regista e tutti insieme hanno incassato 450 milioni di dollari (e se si leva il flop di La legge della notte ha incassato 430 milioni con tre film). Air è buono e tutti i coinvolti, cioè Warner e Prime, hanno un grande interesse a che vada bene, perché allargherebbe il mercato. Questo weekend ci saranno i primi responsi anche se bisogna considerare che per Prime il successo in sala è solo parte di quello che si aspetta dal film, che poi dopo la sala sarà un’esclusiva della sua piattaforma.

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