Street Fighter - Sfida Finale, la storia di un disastro che fondò il blockbuster moderno
Odiato da tutti ma non di meno un successo clamoroso, Street Fighter - Sfida Finale è il nonno di tutti gli adattamenti successivi
Ma anche la storia dei primi successi dell’industria videoludica fuori dai videogiochi.
Street Fighter - Sfida Finale arriva un paio di anni dopo Super Mario Bros., in un’epoca così ingenua da pensare che il disastro di quel primo film tratto da un videogioco fosse un incidente di percorso e che i videogame al cinema fossero ottimi investimenti. Ancora si credeva alle star e alle produzioni onerose e, cosa più incredibile, nonostante un esito disastroso frutto di una produzione sfortunatissima, Street Fighter - Sfida Finale fu pure un successo. Circa 30 milioni di budget per almeno 100 di incasso in tutto il mondo con la star d’azione più importante del momento voluta da Capcom, Jean-Claude Van Damme, all’epoca alle prese con una fortissima dipendenza da cocaina che lo rese un incubo sul set.
E dire che doveva essere l’esordio alla regia di Steve De Souza, il più grande sceneggiatore d’azione degli anni ‘80 (Commando, 48 Ore, Trappola di Cristallo, Die Hard e addirittura Jumpin Jack Flash). Lui ci mise tutto il “de souza” che poteva, cioè i suoi luoghi comuni, trasformando la storia inesistente del videogioco in una trama di dittatori (Mister Bison) in paesi asiatici inventati da destituire ad opera dell’esercito (Guile), con tutto un corollario di guerrieri da strada geneticamente modificati per diventare l’esercito privato di Bison. Sceneggiatura inventata in una notte perché troppo tardi fu avvisato della presenza dei dirigenti Capcom a Los Angeles, in cerca di adattamenti.
Insomma più che l’adattamento di Street Fighter al cinema era l’adattamento di una storia di de Souza ai personaggi di Street Fighter. Eppure in questa storia da un videogame senza storia c’era tutto: la motivazione, le mosse impossibili, l’azione e l’ambientazione. de Souza era addirittura riuscito a limitare a solo 7 i personaggi principali (il massimo per lui che si poteva seguire in un film di 100 minuti, in un’era pre-Avengers), prima che Capcom insistesse così tanto da riuscire a metterli pretestuosamente quasi tutti, in una valanga di cammei senza senso.
Insomma c’è in questo sgangherato film di serie A un’anima serie B che pulsa fortissimo e che si materializza in una lavorazione leggerissima e scanzonata, a fronte di problemi immensi. Dopo 10 giorni di riprese erano già indietro di 6 sulla tabella di marcia e tutto l’ordine delle medesime era sballato. Con poco tempo a disposizione l’idea era di filmare prima i dialoghi e poi i combattimenti così che mentre si filmano i primi gli attori possono allenarsi, ma visto che Raul Julia si presentò sul set malatissimo del cancro allo stomaco che di lì a poco lo avrebbe ucciso, fu tutto ribaltato: l’azione andava fatta prima che Julia non potesse più permetterselo. Così gli scontri che dovevano essere il cuore del film sono diventati brutti, mal coreografati e noiosi. Non c’erano nemmeno diversi stili per diversi personaggi: tutti picchiano alla stessa maniera nonostante le evidenti, diverse caratteristiche, fattore che in realtà doveva essere un po’ il punto del tutto (il melting pot dell’arte marziale di strada).
La morte di Julia poi causò anche la rimozione di un finale dopo i titoli di coda in cui Bison resuscita lanciando un impossibile sequel.
Il ritardo a questo punto non fa che enfatizzare la tragedia. Pressato dalla produzione de Souza applica un vecchio trucco di John Ford per rimettersi in pari con la tabella di marcia: apre la sceneggiatura e tira via una pagina. Questo porta ad interi personaggi dall’arco inspiegabile (Dhalsim). E non è facile del resto gestire un set del genere con così tanti attori e due star. Per fortuna i ruoli non principali erano stati destinati forzosamente ad attori non famosi, visto che tutto il budget se n’era andato per Julia e Van Damme. Ming-na, allora volto televisivo, uno sbagliatissimo Wes Studi come Sagat e Kylie Minogue alla prima esperienza fuori dall’Australia erano i più vagamente famosi. Minogue poi sviluppò proprio in quel periodo una storia d’amore con Van Damme.
Tutto ciò dava a JCVD campo libero per le intemperanze da star.
Del resto lui era reduce dal suo più grande successo, Timecop - Indagine Dal Futuro (praticamente Looper ante litteram). I ritardi a presentarsi, le pretese, i viaggi periodici ad Hong Kong e i ritorni con giorni di ritardo… Tutto enfatizzato da un consumo di cocaina che (secondo lo stesso attore) negli anni ‘90 si attestava sulla cifra spaventosa di 10g al giorno, circa 10.000 dollari di spesa a settimana. Che in queste condizioni si potesse realizzare un film serio d’azione era praticamente impossibile. Street Fighter - Sfida Finale è il miglior prodotto immaginabile da una lavorazione in cui tutto era sbagliato e nella quale qualsiasi decisione era soggetta a difficoltà tali da sottometterla al caso.
Addirittura anche nel finale l’esplosione del tempio non è avvenuta come doveva, ma coinvolgendo più parti del set rispetto al previsto e quindi arrivando vicina agli attori i quali, è ancora possibile vederlo nel breve frame in cui sono di spalle, ne sono stupiti e spaventati non proprio come farebbero degli indomiti eroi (e del resto non come si vede nella successiva inquadratura frontale).
Quel poco di buono che era rimasto fu poi tagliato per ottenere un rating che impedisse il divieto ai minori di 17 anni. Il film era infatti giudicato troppo violento.
Furono rimosse le inquadrature col sangue. Ma non servì.
Furono rimosse quelle dei colpi d’arma da fuoco che colpivano le vittime. Ma non servì.
Si tagliò ancora e ancora fino a che arrivò di colpo un rating troppo basso, per minori di 8, che avrebbe comunque scacciato i teenager. Van Damme fu così richiamato sul set per dire una sola battuta con una parolaccia e rimettere il rating ai minori di 13 come era previsto.
Non c’è da meravigliarsi se poi il film negli anni ha assunto uno statuto mitologico per la sua assurdità.
https://www.youtube.com/watch?v=rN2Vz5QaJ1U
Street Fighter - Sfida Finale oggi può essere guardato solo come guilty pleasure consapevole, come un treno in deragliamento, per riderne e con pochissima soddisfazione da tutto ciò che dovrebbe fornirne. Ha Jean-Claude Van Damme a 33 anni, all’apice della forma e della fama, ma lo utilizza nella maniera peggiore. L’anno dopo avrebbe girato uno dei suoi film più concreti e impeccabili (A Rischio Della Vita) e solo tre anni dopo Double Team. Non lo sapeva ma la sua carriera aveva scavallato la montagna del successo e si avviava sul pendio discendente (solo Universal Soldier avrebbe ridato speranze di un riscatto prima del definitivo JCVD nel 2008). Street Fighter - Sfida Finale ad oggi è la dichiarazione d’impotenza e di mancato successo più forte, in un film che nasceva per essere un blockbuster e che lo è stato nonostante facesse schifo, Van Damme fu uno dei problemi principali.