Steven Spielberg, il creatore di mondi

Quando si dice che Steven Spielberg è un dio del cinema non si sta solo lodando la sua bravura ma anche descrivendo il suo sport preferito

Critico e giornalista cinematografico


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Se c’è una cosa da cui Steven Spielberg è affascinato è l’atto stesso del guardare qualcosa sbalorditi per il piacere o per la paura. Non è difficile da credere se si considera la professione che ha intrapreso. Lo sguardo estasiato di fronte ad un film proiettato su uno schermo gigante è la sensazione che lui sembra sempre cercare nei suoi personaggi, e poco importa che non stiano guardando un film ma magari dei dinosauri o un’astronave, quel volto su cui si capisce l’emozione provata dallo scrutare lo affascina. È la Spielberg face, uno dei tratti più evidenti dei suoi film, sottolineata spesso da quei suoi fantastici carrelli al termine dei quali si trova il segreto di ogni scena. Di frequente per arrivare a questo Spielberg nei suoi film ha creato mondi, li ha creati per gli spettatori ovviamente ma anche per i suoi personaggi, in modo che ad un certo punto loro li possano scoprire sbigottiti e affascinati. E non necessariamente questi mondi sono alternativi, futuri o alieni, alle volte ricostruisce un aeroporto ma pensandolo come un piccolo universo a suo modo bello, complesso e ideale.

Anche per questo Ready Player One sembra subito pane per i denti di Spielberg. Nonostante non sia mai stato un cineasta legato alla retromania (anche perché molto di quel che si recupera sono sue creazioni), in Ready Player One c’è un doppio mondo da creare. Prima il futuro derelitto della realtà del protagonista e poi quello virtuale in cui si immerge, senza contare l’interazione tra i due, il fatto che abbiano un rapporto visivo (perché si passa dal primo al secondo e viceversa, staccando o con impossibili carrelli nel visore). Quello virtuale poi sarà la prima volta di Spielberg con l’animazione fotorealistica al 100%, cioè non dei dinosauri in un ambiente reale con attori veri, né un cartone animato in CG come Tintin ma proprio un mondo tutto digitale, personaggi inclusi.

L’inventore del blockbuster moderno, il creatore del concetto di cinema come parco giochi in cui ammirare, essere stupefatti e venire travolti dal progresso tecnologico applicato alla narrazione, mette ora in scena una storia che fonde pop culture vecchia con mondi futuri, di fatto creando un altro mondo in cui muoversi con la sua passione per l’esplorazione e la scoperta di qualcosa di sbalorditivo. In buona sostanza, quando Cameron in Avatar realizzava Pandora e lo faceva vedere per la prima volta ai suoi personaggi, a bocca aperta di fronte a quel che ammiravano, era Spielberg che imitava.

Hook - Capitan Uncino

Il primo vero atto di world building della carriera di Spielberg è l’Isola che non c’è di Hook, la prima volta in cui dopo aver raccontato di alieni ma sulla Terra, di presenze ultraterrene rinvenute nell’arca dell’alleanza o demoni che battono nel cuore dell’India, si sposta in un luogo di fantasia, uno che esiste già nelle descrizioni letterarie e che replica a modo proprio. Completamente analogico, visto oggi il mondo dell’Isola che non c’è ha molto il sapore del teatro di posa acchittato, ma è anche un luogo contemporaneamente familiare e magico, in cui effettivamente si può credere a quel che avviene, cioè che l’immaginazione dia vita a cibo colorato, consenta di volare e di rimanere bambini.

Jurassic Park

Alla seconda prova Spielberg inizia ad abbandonare il mondo reale e affidarsi più pesantemente agli effetti visivi. L’isola di Jurassic Park è un tour da fare in elicottero e poi da attraversare con la jeep, la quintessenza dello sbigottimento, pensato per essere ammirato: dietro ogni angolo una specie nuova, piante credute estinte e pericoli proporzionati. Nel nostro mondo esiste un posto lontano da tutto in cui tutto quel che sappiamo è stato scartato ed esiste il selvaggio, l’imprevedibile e creature estinte che ci appaiono come fantastiche e terribili. Un mondo in cui in una notte di pioggia un problema all’auto significa la morte, in cui su un albero si viene raggiunti dalla testa di un dinosauro erbivoro gigante e in cui attraversare a piedi il parco può essere un’avventura mortale.

A.I. - Intelligenza Artificiale

È il primo film di fantascienza di Spielberg ambientato nel futuro. Nasce da un progetto di Kubrick con un peso pazzesco addosso e il design delle città alle volte è semplicemente geniale. Le grandi bocche in cui entrare, le cosce aperte, ma pure l’acqua che scende dai leoni e ancora il futuro più remoto nel finale. C’è un che di pazzesco in questo mondo così ordinario, fatto di foreste e grandi città dominate dall’acqua, ma poi si capisce che quel che Spielberg considera degno di vera meraviglia e, di fronte al quale fa sbigottire il suo protagonista, è la città, l’artefatto umano. Perché alla fine quella è sempre la meraviglia per lui, non tanto lo spettacolo della natura ma le cose fantastiche che l’uomo crea, anche quando sono dei dinosauri.

Minority Report

Subito dopo un altro futuro, non favolistico come A.I. ma con il terribile compito di essere plausibile. Per immaginare un futuro all’altezza di una storia di Dick Spielberg convoca quelli che considera i più grandi esperti in materia. Designer, tecnici, informatici, urbanisti e ingegneri meccanici, crea una 3 giorni di brainstorming nel suo studio sulle tendenze del presente e a cosa possano portare nel futuro da cui nasce il mondo di Minority Report. Identificazione tramite l’iride, schermi giganti per tutta la città, una pubblicità asfissiante e personalizzata, strade con auto che si guidano da sole in orizzontale e in verticale. Non voleva creare una scenografia per un film ma una versione affidabile del nostro futuro fatta da lui. Tuttavia stavolta lo spazio urbano è rivisto per la meraviglia di nessuno (tutti i coinvolti sono abbastanza abituati) se non dello spettatore.

The Terminal

Nel terminal dell’aeroporto in cui Viktor Navorski rimane bloccato, né cittadino del suo paese (che mentre era in volo ha smesso di esistere, preda di una guerra) né ovviamente cittadino americano, c’è tutto quel che serve per essere definito un mondo. Nel periodo di massima fobia per gli aerei, gli aeroporti e le persone che li frequentano Spielberg crea un terminal in cui convivono tutte le razze, in cui ci sono i derelitti, i rifugiati, le élite al comando, le zone in costruzione e in cui trovare l’amore come l’amicizia, a tutti gli effetti un mondo che somiglia al nostro ma è un po’ migliore e da cui il protagonista non riesce ad uscire e in cui forse si potrebbe desiderare di vivere.

Le Avventure di Tintin - Il segreto dell’Unicorno

Finalmente, dopo decenni di carriera, Spielberg arriva al mondo interamente fasullo, dove la creazione è totale. Nulla in Il segreto dell’Unicorno sta dove sta se non è stato messo da lui. La città, i deserti, i paesi, i mercati e quell’incredibile scena con l’auto e il falco in discesa libera, tutto è possibile. Il mondo di Tintin, verrebbe da Hergé ma quel che si vede è puro Spielberg, più che un film tratto da un fumetto belga sembra un film tratto da Indiana Jones. Nei film con Harrison Ford non aveva creato molto (anche il tempio maledetto è un posto, non un piccolo mondo) qui invece ogni location è pazzesca, anche quelle solo rievocate nei ricordi. Più in grande poi questo è un mondo che promette avventura, in cui le notti sono nebbiose e anche un acquisto ad un mercatino nasconde un mistero da conquistare, un possibile intrigo, in cui l’azione si affronta sorridendo con il vento in faccia.

Il GGG - Grande Gigante Gentile

25 anni dopo Hook, Spielberg torna alla favola, torna a ricreare un mondo che era stato già descritto da qualcun altro ma trasformandolo in proprio, con un tocco di fiabesco e una certa passione per il tratto dolce. Non è un cartone animato ma un film che mescola digitale in motion capture con attori reali, eppure tutta la parte di creazione, quella fasulla, i paesaggi artificiali sembrano smussati, stondati e addolciti. Quando Sophie viene rapita dal gigante scopre un mondo diverso in cui tutto è gigantesco, lei vive una realtà di oggetti mastodontici e pazzeschi e in più lui, così grande, è in realtà un piccoletto vittima dei giganti più grossi e meno gentili. Scopre nel mondo nuovo che tutto funziona come in quello vecchio.

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