Steamboat Willie: tutto è cominciato con un topo
Ripercorriamo la storia di Steamboat Willie, il corto diventato oggi di pubblico dominio su cui si fonda il successo della Disney
Infine è avvenuto. A partire da oggi Steamboat Willie, lo storico corto con protagonista Topolino, ha smesso di essere di proprietà della The Walt Disney Company per unirsi alle fila di opere la cui visione o consultazione è diventata di dominio pubblico, libere dal controllo esclusivo di un unico ente, sia esso aziendale o di singoli individui. Per anni la Casa di Topolino ha cercato di conservare il più a lungo possibile la protezione legale sul corto, il cui passaggio alla libera fruizione era previsto a norma di legge già a partire dal lontano 1984, per poi essere rinviato al 2004 con l’approvazione, nel 1976, di un nuovo Copyright Act, in seguito proprio alle pressioni della Disney sul Congresso degli Stati Uniti. Successivamente, un ulteriore atto del 1998, chiamato per l’occasione proprio “Mickey Mouse Protection Act”, ha segnato ancora una volta una proroga nel passaggio del film al pubblico dominio, portandolo fino ad oggi.
Accadde tutto in quel 1928
La fine degli anni Venti non fu un periodo facile per Disney. Nel febbraio del 1928 il distributore Charles Mintz lo estromise dalla produzione della serie di corti con protagonista Oswalt the Lucky Rabbit, sottraendogli non solo, di fatto, la proprietà sul primo grande personaggio da lui ideato, ma anche la collaborazione di buona parte del suo team di animatori, i quali avevano siglato con Mintz un accordo alle spalle di Walt. Inoltre, dopo il breve boom avuto ad inizio decennio, con personaggi come Koko the Clown dei fratelli Fleischer o Felix the Cat di Otto Messmer, il mercato dei cartoon andò in contro a una decisiva flessione. L’interesse per l’animazione era notevolmente scemato e ben pochi erano i distributori disposti all’acquisto di nuove serie. Proprio questa mancanza non permise la diffusione di Plane Crazy e Topolino gaucho, i primi due corti con protagonista Topolino i quali, dopo la loro proiezione in anteprima, rispettivamente a maggio e ad agosto del 1928, non riuscirono a trovare un’effettiva distribuzione.
È da qui che cominciò la produzione di Steamboat Willie, film la cui realizzazione non sarebbe stata possibile senza la presenza di due figure chiave. La prima è quella di Wilfred Jackson, collaboratore subentrato proprio durante le prime fasi di realizzazione del corto, le cui conoscenze in ambito musicale furono fondamentali per la produzione del film. Per permettere agli animatori, in particolare Ub Iwerks, di rispettare la cadenza e il ritmo di quello che sarebbe stato il tema sonoro, venne preparata da Jackson una bozza di spartito in simultanea con i fogli macchina da parte di Walt, indicando con delle note i punti in cui avrebbe dovuto poi essere inserita la musica. Sarebbe poi seguito un lavoro di arrangiamento per amalgamare il tutto.
La seconda figura è quella ambigua di Patrick A Powers, un pioniere dell’industria filmica statunitense dalla dubbia moralità che, riuscendo ad aggirare le leggi sui brevetti, poté imporre il suo Powers Chinephone, un sistema di sincronizzazione tra suono e immagine non dissimile da quello di altri come, ad esempio, il Vitaphone o il Movietone, vendendolo a Walt per la realizzazione dei suoi film ad un prezzo decisamente inferiore rispetto a quello della concorrenza e successivamente occupandosi della distribuzione del corto tramite la sua Celebrity Pictures.
Conscio di quanto l’eventuale insuccesso avrebbe potuto decretare la fine, avendo scommesso praticamente tutto su questa produzione, dopo tre mesi di rifiuti a New York, Disney, trovò un alleato in Harry Reichenbach, direttore del Colony Theatre di Broadway, il quale accettò di proiettare il film presso il suo cinema come supplemento al lungometraggio Gang War con Jack Pickford e Olive Borden. Sebbene l’impatto non fu immediato, dopo la prima, avvenuta domenica 18 novembre 1928, ci si rese conto della portata storica di Steamboat Willie. Nel giro di pochi mesi il responso ottenuto tanto dalla stampa quanto dal pubblico fu tale da segnare il rilancio non solo della carriera di Disney ma anche di un’industria fino a quel momento agonizzante. Il successo del corto permise a quest’arte di rinascere, ampliando l’offerta lavorativa per gli animatori e, di fatto, facendo virare ogni Studio verso il sonoro, dando inizio alla età d’oro dell’animazione classica americana.
Impara a fischiettar
L’utilizzo del sonoro nell’animazione non fu del tutto inedito. Già in precedenza vennero portate avanti sperimentazioni che puntavano a una prima sincronizzazione tra tracce audio e immagini su schermo. Tra il 1924 e il 1927 ci fu la serie Song Car-Tunes, prodotta da Max e Dave Fleischer tramite l’uso del Phonofilm e ispirata alla tradizione del singalong. Così come, solo un mese prima della premiere di Steamboat Willie, venne proiettato a New York il cortoDinner Time di Paul Terry, anch’esso realizzato attraverso un sistema, seppur molto rudimentale, di sincronizzazione tra suono e immagini. Tuttavia, ciò che permise al film di Disney di distinguersi è da individuare non solo in un risultato nettamente superiore rispetto a quanto realizzato in precedenza ma anche e soprattutto nell’aver colto quanto la componente musicale dovesse costituire l’elemento cardine su cui l’intero cortometraggio si sarebbe sorretto. Di fatto la pellicola risulta priva di una vera e propria trama, ponendosi niente più che come una serie di trovate umoristiche messe in successione. Ciò che emerge sono le grandi potenzialità che derivano dall’unione tra cartoon e suono, tanto che ogni elemento in scena viene spogliato della sua funzione originaria per diventare un’entità musicale: che siano le pentole che si trasformano in strumenti a percussione o i denti di una mucca suonati come le barre di uno xilofono o la capra che, mangiando degli spartiti, perde la propria identità bestiale per assumere quella di un grammofono, con tanto di coda usata a mo’ di manovella.
Quel fischiettio intonante il tema della canzone Steamboat Bill è rappresentativo di quanto Steamboat Willie abbia colto ed evidenziato il profondo legame che può emergere tra suono e immagini animate. Se nel cinema in live action il passaggio al sonoro comportò, come pegno, la perdita di numerose conquiste tecniche precedentemente ottenute, diventando per diversi anni più statico e limitato, l’animazione, libera da ogni restrizione che la ripresa dal vero comportava, trovò in esso orizzonti espressivi inediti, tali da dare vita a un’identificazione immediata che perdura ancora oggi.
Una storia di padri e di figli
Non è mai stato un segreto quanto Walt Disney si rispecchiasse in Topolino, facendone a tutti gli affetti un proprio alter ego. Tale è l’identificazione con il personaggio che fu lo stesso Walt a dargli la voce fino al 1947. Non sorprende, quindi, quanto nei primi corti con protagonista il piccolo topo antropomorfo venga messo in scena l’indole anticonformista e talvolta ribelle del suo creatore, a partire dal profondo conflitto con il padre. È ben noto, infatti, il complicato rapporto che Disney aveva con il padre Elias, figura austera tanto dentro quanto fuori l’ambiente familiare e che per tutta la vita non approvò le scelte intraprese da Walt, anche una volta sopraggiunti la fama e il successo. Non è un caso quindi che Disney abbia voluto riversare nel personaggio il proprio spirito giovanile, libero dal controllo subito durante l’infanzia. Il carattere di Topolino, in particolare quello dei primi film in bianco e nero, realizzati a cavallo tra gli anni Venti e gli anni Trenta, assume i connotati di un bambino dispettoso e iperattivo, spesso in opposizione a un ordine prestabilito. In Steamboat Willie ciò appare evidente, con un Topolino intento a creare scompiglio sul battello, improvvisando con Minnie un concerto con oggetti e animali che trova a portata di mano, e il capitano Gambadilegno qui a ricoprire, a tutti gli effetti, il ruolo di un padre severo che pretende disciplina a bordo della nave, tanto da mettere in castigo il protagonista una volta colto a trasgredire.
Proprio lo scontro con una figura genitoriale (o simil tale) distopica e/o autoritaria, sarà un topos che ricorrerà per buona parte della produzione di Disney, compresa quella dei lungometraggi: da Mangiafuoco in Pinocchio, al mago Yen Sid nel segmento L’apprendista stregone in Fantasia, fino ad arrivare a tutta la schiera di matrigne che opprimono la vita delle principesse, tenendole prigioniere.