Starsky & Hutch quando il cinema cercava di piegare le serie tv alla sua volontà
Starsky & Hutch con Ben Stiller e Owen Wilson arriva in un momento di transizione in cui il cinema si sentiva ancora superiore alla tv
Starsky & Hutch è arrivato su Netflix, ripercorriamo il significato del film nell'epoca in cui è uscito in sala.
Chi doveva fare il cinema che incassa, quello nazional popolare, avvertiva nell’aria che qualcosa stava cambiando. Prima che Kevin Feige rompesse lo schema esponenziale di sequel (e talvolta prequel) creando narrazioni interconnesse su più franchise, le produzioni cercavano di vincere facile. Un po’ per nostalgia, un po’ per lucrare su un interesse già esistente, prendono a piene mani dalla serialità. Nasce così un periodo di trasposizioni in lungometraggi per il grande schermo. Starsky & Hutch arriva nel 2004. A stretto giro è seguito da Miami Vice. Arriva il film X-Files - voglio crederci, Sex and the city ottiene un successo strepitoso. E ancora I “minori” The Dukes of Hazzard, State of Play. Arriva anche lo strambo evento A-Team e il riuscito 21 Jump Street nel 2012 insieme a Dark Shadows. Tempo di revival.
Il tempismo di Starsky & Hutch
Starsky & Hutch arriva quindi sia in drammatico ritardo che troppo presto. È un film immaturo, che rivela un pensiero dozzinale rispetto a quello che il cinema può fare con la serialità. La nostalgia è pure una matita con la punta spezzata: Todd Phillips, qui un regista ancora attaccato alla comicità, prende la coppia di poliziotti e gli mischia i caratteri. Carica poi la mano sul lato umoristico delle ultime stagioni e lo affoga nel demenziale.
Il duo Ben Stiller e Owen Wilson è qui alla sesta collaborazione. Sono rappresentanti di un’idea ben precisa di intrattenimento e parlano a un pubblico tutto loro. Sono affiancati da Vince Vaughn. Il suo Reese Feldman, comicamente cattivo, è oggi straniante data l’evoluzione gangsteristica e violenta dell’attore. Costumi, trucco, scenografie, sono piegati al preciso scopo di ricordare le immagini viste in televisione nel ’75 con una patina però simpatica, moderna e adolescenziale. Né carne né pesce, già da qui traspare l’improvvisazione di un’ operazione che quando diventa realmente nostalgica confonde ogni logica. Che senso ha l’apparizione di Paul Michael Glaser e David Soul nei panni dei rispettivi Starsky & Hutch invecchiati? Soprattutto se si tiene conto che il film è ambientato negli anni ’70 della serie. Suvvia, serve delicatezza in queste cose!
Paradossi multiversali a parte, la trama è ridotta all’osso di un episodio di 50 minuti allungato. Bay City, una città in cui scorrono sotterranee e attivissime le attività criminali. C’è in giro un nuovo tipo di cocaina che non può essere rilevata dai cani antidroga e può essere scambiata per semplice zucchero. Si trova un cadavere. I due poliziotti iniziano da lì una ricerca che li porterà a svelare il traffico illegale.
Un film formulare e ripetitivo
Al film mancano però tutti i connettori logici. Le sequenze si alternano come blocchi situazionali contenenti una (e una sola!) gag per scena. Balli interminabili come quelli che, si immagina, divertono i bambini nei cartoni animati slapstick. Allucinazioni procurate per sbaglio, cheerleader sexy e una rivalità maschile che si tramuta in una sottile, sottilissima, innocua, bromance.
Dimenticabile e poco ispirato Starsky & Hutch è il simbolo di un grandissimo errore del cinema. Quello che l’ha portato a riempire di star il film giusto per mostrare i muscoli. Appare un Will Ferrell carcerato che costringe i due a fare movimenti sensuali e a imitare pose di drago. A Carmen Electra e Amy Smart è affidata la quota adolescente, con qualche bacio comicamente piccante e la divisa da ragazza pon pon per qualche battuta a doppiosenso. C’è Jason Bateman e persino Juliette Lewis. Patton Oswalt appare così, giusto per far numero. Meno male che c’è almeno Snoop Dogg: il suo Huggy Bear è il più in linea con il film, una boccata demenziale di comicità che strappa un sorriso. Ma tutto questo non basta, perché non c'è nient'altro.
Una vittoria delle serie tv
Le serie tv, soprattutto quelle del passato, fatte da tantissimi episodi a stagione per coprire più a lungo possibile i palinsesti, sono un’abitudine di fruizione distratta. Il cinema in sala è un’esperienza totalizzante. Se non è all’altezza rischia di diventare una prigionia senza possibilità di cambiare canale.
Così la serialità continuava a vincere perché si dimostrava inafferrabile. Semplice, basilare sia nella scrittura che nella messa in scena, eppure così difficile da modellare su un altro media. Non basta la Gran Torino bianca e rossa per invogliare ad andare avanti; sarebbe servita invece un’idea che attualizzasse Starsky & Hutch per qualcosa di più rispetto alla semplice grana umoristica.
È quello che succede quando si prende un marchio pensando che basti il suo richiamo per portare a casa il risultato. È un pericolo di ubris. La superiorità di chi maneggia una materia che ritiene inferiore e cerca di fare meglio aggiungendo altre parti di materia che la nobilitino. Budget, attori, stunt spettacolari, si amalgamano male, tanto da svilire il risultato finale.
Non è colpa di nessuno, se non di una linea di pensiero che il cinema ha già pagato a caro prezzo. Cioè quella che ha portato i filmaker a credere di conoscere l’intero panorama audiovisivo. Di poter adattare le tecniche di linguaggio a tutto per poterlo far funzionare. L’impatto contro questo errore è stato devastante. Il lungometraggio su grande schermo si è riscoperto debole rispetto alle storie a puntate. Le narrazioni complesse, ripetitive, formulari, sono diventate il linguaggio del futuro. Mentre le produzioni prendevano le serie e le portavano in sala per nobilitarle, loro lo facevano da sole.
Starsky & Hutch e le operazioni simili saranno ricordate in questo modo. Piccole scintille di un cambiamento in atto. Prime crepe di una rivoluzione che ha cambiato il modo di concepire l’intrattenimento per il grande pubblico.