Star Wars: L'Ascesa di Skywalker trova il suo peggior nemico in se stesso
In occasione dello Star Wars Day, Star Wars: L'Ascesa di Skywalker arriva su Disney+ e noi torniamo a riflettere sull'ultimo capitolo della saga
E quando c’è di mezzo il cuore è difficile osservare con lucidità ed è facile lasciarsi trasportare. Quando, poco meno di un anno fa, le prime immagini di Episodio IX hanno iniziato a circolare, nonostante il viaggio movimentato della saga negli ultimi anni, abbiamo voluto comunque sognare un finale grandioso ed epocale. E lo stesso JJ Abrams, chiamato al compito più difficile, puntava alto nelle sue ambizioni: L’Ascesa di Skywalker voleva e doveva essere la conclusione non solo dell’ultima trilogia di “sequel”, ma quella di tutti e nove gli episodi. Ragionamento giusto, ma che col senno di poi appare un obiettivo più titanico che mai, e che per essere quello che voleva essere avrebbe necessitato di tempi di realizzazione ben più dilatati e di una situazione di partenza meno controversa.
Questo non significa certo che tutto sia da buttare, anzi: nella miglior tradizione dei film di Star Wars, è una pellicola energica, appassionata, che afferra lo spettatore e lo trascina nella sarabanda di avventure, inseguimenti, drammi, emozioni e grandi battaglie che è lecito aspettarsi. Da questo punto di vista, L’Ascesa completa con successo almeno un paio di risultati importanti.
Il film supera anche la prova delle emozioni: inanella una notevole sequenza dove la posta in gioco emotiva è alta e la lacrima è spesso in agguato. Se vari rimproveri possono essere mossi a L’Ascesa di Skywalker, quasi tutti riconoscono che è un film con un cuore: l’amore, la passione e la devozione per il resto della saga e per i capitoli che lo hanno preceduto sono genuini e il desiderio di chiudere le storie rimaste in sospeso con un accorato omaggio al passato è tangibile. Proprio come accade a Rey nel suo faccia a faccia finale, difficile dire quanta dell’energia trasmessa sia propria della pellicola e quanta provenga dal bagaglio affettivo che personaggi, situazioni ed eventi del passato infondono al presente, a volte anche con soluzioni sfrontate, di facile presa o “ammiccanti”, ma non per questo meno efficaci. Man mano che le vecchie guardie escono di scena dopo un ultimo inchino o le nuove leve giungono a compimento del loro viaggio, le emozioni crescono e difficilmente si esce dalla sala cinematografica senza essere stati toccati dal “peso” che la fine di un viaggio più che quarantennale comporta.
Se però L’Ascesa di Skywalker supera la prova dell’occhio e quella del cuore, cade sulla terza e ultima prova, quella della mente. Sottoposto a un’analisi più distaccata e “adulta”, separata dalle emozioni, la storia mostra diversi difetti che rischiano di renderla insoddisfacente ai palati più smaliziati. Nella foga di riallacciare, raccontare, chiudere, correggere il tiro e suscitare emozioni, si perdono vari pezzi per strada: la “caccia al tesoro” iniziale è eccessivamente macchinosa e divora tempo e spazio in un film che ha già troppi argomenti da mettere sul piatto; ne fanno le spese i nuovi personaggi introdotti in questa pellicola, che lasciano per buona parte il tempo che trovano, quelli ereditati dalle pellicole precedenti (Maz Kanata e Rose relegate sullo sfondo) e perfino alcune vecchie glorie come R2-D2, che da simbolo della saga ed elemento risolutore di mille situazioni, scompare praticamente nel nulla. Ne risentono anche i dialoghi, che salvo qualche concessione all’umorismo rapido e fugace, sono appesantiti dalla necessità di una fitta esposizione volta a spiegare che “dobbiamo trovare X per fare Y, altrimenti succederà Z”. Vista l’abbondante mole di carne al fuoco, uno snellimento e una trama più lineare nella prima parte avrebbero liberato tempo ed energie preziose.
Cosa ci lascia dunque L’Ascesa di Skywalker e, in teoria, la chiusura di una grande epopea quarantennale che ha provato a unire e coniugare storie, stili, fasi creative, meccaniche di produzione e visioni del fantastico in un epilogo che provasse ad abbracciarle tutte? Dovremmo entusiasmarci e commuoverci per la fine del viaggio della famiglia Skywalker e per le concitate emozioni che lo scontro finale tra la luce e il lato oscuro della Forza ha cercato in tutti i modi di regalarci? O dovremmo storcere il naso perché i “fili” che muovevano la vicenda al di fuori della storia stavolta erano un po’ più visibili del solito e l’ansia da prestazione, le correzioni di rotta e una narrativa convulsa ci lasciavano intravedere che il grande e potente Mago di Oz dietro la tenda era in realtà un ometto un po’ affannato?
Qui sospendiamo il giudizio, perché la risposta definitiva può darsela solo il singolo spettatore. È forse più saggio e appropriato avvicinarsi al capitolo finale della saga con gli occhi e la mente di un bambino, godersi le scorribande e le emozioni della storia raccontata e non stare a lambiccarsi troppo su certe implicazioni logiche barcollanti, che in fin dei conti accompagnano la saga fin dalla sua nascita.
Per contro, non sbaglia neanche chi apprezzava Star Wars, oltre che per le vicende umane dei personaggi, anche per la costruzione e lo sviluppo di un universo e di un’ambientazione fantastica e sterminata che cresceva in modo coerente; forse è questo il tipo di spettatore che esce più deluso da quest’ultima esperienza cinematografica, dove più che negli altri capitoli la “storia” della galassia di Star Wars ha finito per sacrificarsi all’emozione e alle storie individuali dei personaggi e alle traversie di realizzazione “extra-universe”.
Volendo riassumere in maniera iper-sintetica lo Star Wars del nuovo millennio potremmo dire che il pendolo ha oscillato e che abbiamo vissuto due approcci alla saga diametralmente opposti e parimenti esasperati. Abbiamo vissuto la monarchia assoluta del Lucas dei prequel, che faceva a meno di registi, sceneggiatori e produttori esecutivi meno che compiacenti e rispediva al mittente ogni input creativo estraneo al suo, finendo per essere cieco alle sue stesse mancanze e perdendo quel crogiolo di contributi che aveva fatto la fortuna della trilogia classica. E abbiamo vissuto l’“anarchia” creativa degli episodi VII-IX, dove al regista di turno sono state messe in mano le chiavi dell’intera operazione e dove l’assenza di una pianificazione a monte e di una visione univoca che fungesse da filo conduttore ha costretto la storia ad avanzare su un terreno troppo accidentato e il “pilota” a navigare a vista.
Dev’esserci una via di mezzo tra questi estremi e la soluzione, anche se sembra banale dirlo col senno di poi, è forse qualcosa di molto analogo a quella che fu la formula della trilogia classica, dove un visionario definisce e vigila sulla struttura e sui temi portanti della storia e il team creativo di regista, sceneggiatori e produttori si concentra sulla realizzazione delle singole pellicole.
Chiusa questa prima grande fase dell’era Lucasfilm/Disney appare più chiaro che mai che deve esserci un “Mister Star Wars” che abbia l’onore e l’onere di tracciare la rotta del franchising nei tempi lunghi. Per mille motivi, da quelli anagrafici a quelli contrattuali, non può più trattarsi di George Lucas, ma un suo successore deve farsi avanti (puntando sulla F dovremmo stare tranquilli: Filoni, Favreau, Feige). In un’appropriata simbiosi con il parterre di nomi di talento che la gestione Disney ha dimostrato di saper mettere a disposizione in termini di regia, sceneggiatura e produzione, questa storica ambientazione amata da milioni di spettatori e appassionati può e dovrebbe raggiungere le vette che merita. Molto è stato fatto, di meglio si può fare, e quando si parla di Star Wars, il meglio non solo è auspicabile, ma è doveroso chiederlo.
In occasione dello Star Wars Day, Star Wars: L'Ascesa di Skywalker è disponibile da oggi su Disney+.
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